Jen Sorensen è una delle più quotate e interessanti fumettiste satiriche del circuito alternativo americano. La sua striscia settimanale, disegnata fin dal 1998, si chiama Slowpoke, che in gergo indica una persona che prende la vita lentamente. «Deriva dalla mia personale filosofia di prendersi il tempo per godersi la vita. Odio essere di corsa», ci dice. La sua strip è stata selezionata per Cartoonist with attitude: The New Subversive Political Cartoonists, un’antologia edita da Ted Rall (altro famoso vignettista politico, nonché editorialista e autore americano e presidente dell’American Association of Editorial Cartoonist). Una sua antologia pre-Obama, dal titolo Fermate L’America, è stata pubblica in Italia dai tipi del Becco Giallo. A lei chiediamo di aiutarci a capire la differenza fra il mercato (o anche solo dell’ambiente) della satira politica americana e di quella italiana.
In America, quando si parla di vignette satiriche, si usano spesso i termini “political cartoon” e “editorial cartoon”. Ci sono delle differenze reali fra i due, o sono semplicemente sinonimi? E quali altri generi di satira politica e sociale a fumetti si trovano negli Stati Uniti?
Ci sono fondamentalmente due generi di fumetti politici negli Stati Uniti. La tradizionale vignettona, chiamata “editorial cartoon”, che appare nei giornali principali, e i fumetti in più vignette, assimilabili alle striscie o alle mezze tavole, che osano un po’ di più e che si trovano sui settimanali gratuiti nelle città. E online, naturalmente! Slowpoke è un esempio di quest’ultimo genere. I fumetti alternativi, spesso chiamati “alties”, tendono ad avere più testo, a essere più complessi, e meno focalizzati su semplici gag visive rispetto ai corrispettivi “mainstream”. I termini “political cartoon” e “editorial cartoon” sono spesso usati in maniera intercambiabile. Ma personalmente, quando sento il termine “editorial cartoon”, penso più alle vignette tradizionali, sebbene recentemente il termine venga usato anche per descrivere i cartoon politici “alternativi”.
In Italia qualche vignetta si pubblica sui quotidiani nazionali (più raramente le strisce). E nemmeno su tutti. Qual è la situazione americana?
Come in Italia, i giornali principali tendono a pubblicare vignette singole, ma negli Stati Uniti siamo abbastanza fortunati ad avere un altro tipo di giornali chiamati appunto “alt-weeklies”, che sono pubblicati in quasi tutte le principali città. Questi giornali sono gratuiti e tendo a essere più irriverenti e orientati a un pubblico giovane rispetto ai quotidiani maggiori. I miei guadagni derivano principalmente da questi settimanali che pubblicano la mia striscia, sebbene, come tutta la stampa, attualmente sono un po’ in difficoltà. Da quel che so, nessun altro Paese ha un mercato di settimanali alternativi simile a quello statunitense, dunque in quel senso sono fortunata.
Come ha cambiato internet il tuo lavoro? E come credi stia influenzando il cartooning in generale?
Internet è stata sia una benedizione che una sfida. Da un lato rende la consegna dei lavori ai giornali estremamente semplice. E i social media (Facebook, Twitter ecc.) si sono rivelati ottimi per la diffusione della mia striscia. Ma, d’altra parte, io guadagno molto poco dal mio sito, rispetto a quanto guadagno dalla carta stampata. Se la crisi di questi settimanali continuasse oppure decidessero di abbandonare il fumetto, io sarei nei guai. Molti siti di notizie non credono di dover pagare gli autori (sia disegnatori che giornalisti) oppure pagano davvero poco, il che è frustrante. Internet e le altre nuove tecnologie sono state una grande fonte di argomenti e informazione. Lo scorso anno mi sono trovata a dedicare molte strisce a Twitter, all’iPhone e ad altri aspetti della vita digitale. In qualche modo ho una relazione di amore-odio con le mode alla Twitter. Le prendo in giro, e poi mi ritrovo a usarle!
Credi che la libertà di espressione in internet sia in qualche modo differente rispetto alla stampa? O che dovrebbe esserlo?
Io penso che dovrebbe essere la stessa. A proposito del recente caso della sentenza italiana contro Google, credo che una responsabilità della libertà di espressione sia di cercare di essere veritieri e di evitare la diffamazione, scritta e orale. Non importa se il contenuto è su carta o sul web; le regole della decenza si applicano in entrambi i casi. Non vorrei che le leggi sulla diffamazione venissero abusate, ma tutti dovrebbero avere la possibilità di ricevere giustizia, nel caso siano ingiustamente chiacchierati o diffamati su internet.
C’è una qualche forma di censura nel mondo del cartooning? L’hai mai sperimentato direttamente?
Molti vignettisti che disegnano per i quotidiani principali hanno prima o poi dovuto vedersi rifiutare la pubblicazione di qualche lavoro, perché giudicato toppo controverso. I settimanali alternativi sembrano molto più tolleranti, perciò sono felice di dire che non sono mai stata censurata. Ho dovuto cambiare un’illustrazione, una volta. Avevo disegnato la copertina della rivista studentesca al college e il presidente dell’associazione degli studenti mi ha fatto cancellare un pezzo di carta igienica attaccato al piede di uno studente.
La crisi dei quotidiani sta in parte cambiando il lavoro del fumettista?
La crisi ha determinato la fine della carriera per alcuni vignettisti che avevano un lavoro fisso in alcuni quotidiani. La maggior parte di noi che lavoriamo per i settimanali alternativi continua a lavorare nonostante le difficoltà economiche. Però io mi trovo a pensare sempre più spesso a come attirare sempre più lettori online. Credo che i miei lavori siano diventati meno verbosi e complicati, ma forse è una cosa positiva.
Noi non abbiamo un’associazione per i vignettisti satirici in Italia, mentre negli Stati Uniti ne esistono diverse, come l’Aaec, di cui sei membro. Puoi parlarci della tua esperienza?
L’Aaec è principalmente un gruppo attraverso il quale i vignettisti si possono conoscere fra di loro, ma ci mantiene anche informati su concorsi e opportunità di lavoro. Ho trovato alcuni clienti proprio grazie alla mia partecipazione nell’associazione. L’Aaec serve anche a diffondere informazioni sulle leggi che minacciano gli artisti, come le modifiche alle leggi sul copyright. Teniamo ogni anno una conferenza in una città differente. E trovo che i miei colleghi siano molto collaborativi, c’è un clima di aiuto reciproco.
In Italia abbiamo questa tendenza degli autori a unirsi, ad aggregarsi in siti collettivi, in riviste online, mentre gli spazi su carta scarseggiano. Esiste una tendenza simile negli Stati Uniti?
C’è una tendenza da parte di illustratori e autori a formare blog di gruppo. Molti fumettisti, me compresa, sono comparsi nel Cartoonist with Attitude di Ted Rall, un blog che aggrega molti feed individuali degli autori. Ma non mi risulta esista ancora una tendenza verso web magazine satirici o a fumetti. Anche se potrebbe esserci qualche iniziativa che non conosco.
Ritieni che le vignette siano solo un modo per continuare la lotta politica facendo sorridere, o che, piuttosto, debbano sottolineare le contraddizioni e i paradossi che esistono in una società? O, magari, prendersela semplicemente con il potere in quanto tale?
Una buona vignetta o striscia satirica dovrebbe in realtà dire qualcosa, invece di scherzare solamente su quello che succede nell’attualità. I cartoonist migliori disegnano a partire da una prospettiva precisa. Io non mi oppongo indifferentemente a chiunque abbia una posizione di potere, ma solo se fa cose stupide. Cioè, negli Stati Uniti, il più delle volte.
In Italia abbiamo una scarsa tradizione di satira sociale. Preferiamo concentrarci sui personaggi, caricaturizzandoli. A me pare un po’ limitante. Negli Stati Uniti, tu e molti tuoi colleghi fate spesso satira sulla società, i media, la cultura pop in maniera molto efficace e arguta. Non soltanto su Bush o Obama, ma su argomenti più vari, sulle lobby, sui comprimari (come Cheney all’epoca Bush). Ci sono delle radici precise per questo tipo di satira? C’è un metodo che hai appreso o è una sorta di istinto che c’è nel vostro Paese?
Buona domanda. Come dici anche tu, trovo limitante focalizzarmi solo sui singoli uomini politici. Io chiamo quella satira un po’ terra-terra. Voglio dire, non c’è grande spazio per l’immaginazione. A me piace combinare il mondo reale con il surreale, affrontando i problemi in modi più simbolici. Probabilmente potresti definirlo un istinto. A volte mi annoio con la politica, perché da noi ci sono sempre le stesse discussioni da decenni. A volte la cultura mi sembra più interessante, e in futuro voglio non fare strisce di argomento politico per alcune settimane.
Negli Stati Uniti ci si aspetta che i vignettisti satirici siano neutrali, obiettivi, o è accettato che siano faziosi? Lo chiedo perché spesso nelle biografie degli autori si trovano dichiarati gli orientamenti politici, mentre in Italia è insolito. Sebbene in Italia tutti si aspettano che gli autori satirici siano prevalentemente di sinistra.
Credo che i migliori autori partano da una chiara prospettiva politica. Negli Stati Uniti ci sono molti vignettisti dei quotidiani nazionali che evitano di prendere una posizione precisa. Le loro vignette sembrano insipide battute di Jay Leno. Ci sono bravi vignettisti, invece, come Tom Toles del Washington Post. In genere, i vignettisti “alternativi” tendono a essere più espliciti e ammettere il proprio orientamento politico. I nostri settimanali non si aspettano che noi facciamo cose “non faziose”. Si aspettano opinioni forti.
Hai anche bloggato durante la campagna di Obama. Ci racconti quell’esperienza?
Il mio settimanale mi ha ingaggiato per bloggare durante la Convention nazionale dei democratici a Denver, in Colorado, dove Obama ha ufficialmente accettato la nomina del partito a candidato presidente. È stato uno spettacolo stupefacente. Non ero mai stata a una convention nazionale in precedenza, ed è stato eccitante vedere i presidenti precedenti, i politici e le celebrità attraversare la sala. Molti vignettisti erano lì, compreso Tom Tomorrow, così avevo un po’ di compagnia. È stata una settimana di festa, ma anche di duro lavoro per cercare di vivere direttamente tutto l’evento e trovando pure il tempo per scrivere. In seguito, il giornale mi ha chiesto di continuare a bloggare durante tutta la campagna per le elezioni. Mi sono occupata della visita di Michelle Obama all’Università della Virginia e ho coperto anche una manifestazione con Sarah Palin. Scrivere mi piace quanto disegnare e spero di farlo ancora.
I tuoi fumetti dalla convention verranno raccolti in un libro?
Alcuni dei miei fumetti dalla convention verranno inclusi sicuramente in una prossima raccolta, ma potrebbe volerci qualche anno. Preparare un libro occupa un sacco ti tempo e rende poco per la quantità di lavoro richiesto. Vedremo.
Dopo questa esperienza di reporting sul campo, trovi ci sia differenza fra fumetto satirico e giornalismo?
Direi che dipende dal fumetto. Le mie strisce dalla convention nazionale dei democratici e dall’inaugurazione di Obama sono state una forma di giornalismo, poiché erano resoconti autobiografici della mia esperienza laggiù. La maggior parte dei miei fumetti, però, si basano sui resoconti di altri. Sono piuttosto un commentatore sul giornalismo, un’editorialita o un’opinionista che disegna.