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Interviste via e-mail: sono credibili?

07 Giugno 1999

Interviste via e-mail: sono credibili?

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La posta elettronica può essere usata senza particolari accortezze per realizzare interviste oppure ci sono "effetti collaterali", aspetti negativi di questo nuovo strumento di lavoro?

La posta elettronica si sta diffondendo sempre di più tra i giornalisti, anche come strumento di lavoro. L’e-mail non viene usata solo per comunicare con diversi interlocutori o per ricevere e consegnare articoli, ma anche per effettuare interviste che tramite la posta elettronica risultano più rapide e meno faticose: niente più lunghe sbobinature di registrazioni audio o riscrittura di valanghe di appunti: un sollievo.

Ad aver adottato con maggior entusiasmo la posta elettronica come strumento di lavoro sono stati soprattutto i giornalisti dei siti Web, ma anche i colleghi delle testate tradizionali ne stanno scoprendo le potenzialità e l’entusiasmo cresce. Ma come sempre accade, esiste un risvolto della medaglia.

In effetti, è lecito chiedersi se le interviste via e-mail siano credibili. La posta elettronica può essere usata senza particolari accortezze per realizzare interviste oppure ci sono “effetti collaterali”, aspetti negativi di questo nuovo strumento di lavoro? La risposta è: le interviste via e-mail sono poco credibili, spesso superficiali, a volte noiose.

I vantaggi

Uno dei vantaggi principali della posta elettronica come strumento per la realizzazione di interviste lo abbiamo appena visto: riduce i tempi di lavoro. L’intervista tradizionale, sia dal vivo che per telefono, richiede molto tempo. In genere si tratta di una lunga chiacchierata che il giornalista registra o della quale prende molti appunti.
Successivamente, la registrazione viene sbobinata e l’intervista stessa rielaborata rendendola maggiormente leggibile dal punto di vista del linguaggio (quando si parla non si presta molta attenzione alla grammatica e alla sintassi) e di dimensioni ragionevoli e congeniali alla pubblicazione (quando si parla in genere si tende ad essere più prolissi che per iscritto).

L’intervista via e-mail funziona, invece, in modo diverso. Dopo aver contattato la persona da intervistare (o anche senza averlo fatto, a volte) gli si inviano le domande via posta elettronica per ricevere un messaggio con tutte le risposte. I vantaggi pratici sono ovvi: un file di testo già digitato, scritto in un italiano più corretto di quello che si usa quando di dialoga, di una lunghezza non eccessiva. In poche parole: un’intervista pubblicabile senza ulteriori particolari aggiustamenti e senza nemmeno dover essere ridigitata.

Ma questo è vero giornalismo?

“L’intervista – come scrive Sergio Lepri nel suo manuale “Professione giornalista” (Etas libri, 1991) – è e deve essere un colloquio, e quindi una certa risposta può suggerire una domanda diversa da quella preparata”.
Dice inoltre Lepri: “Vero è che qualche volta è proprio l’intervistato a pretendere che il giornalista presenti domande per iscritto e per tempo. Questo, però, non è più giornalismo, è altra cosa”.
Le osservazioni di Lepri sono pertinenti. L’intervista non può essere considerata solo come un’occasione per l’intervistato di esprimere la sua opinione, magari tacendo su alcuni aspetti. È il giornalista che deve decidere i temi da affrontare quindi le domande da porre in relazione agli interessi dei propri lettori.

Ovviamente l’intervista non deve essere una lotta o una sfida, non ci si può limitare a “provocare l’intervistato – è sempre Lepri a parlare – con domande cui l’intervistato non vuole, non può o non sa rispondere”, ma nemmeno – aggiungiamo noi – un discorso a distanza durante il quale i due interlocutori non si scambiano che qualche riga di testo. Si tratta di interviste simili a quelle di molti giornalisti televisivi e radiofonici che si limitano a chiedere: “Qual è la sua opinione in merito?” e piazzando il microfono davanti alla bocca dell’intervistato.

Un’intervista seria non può che basarsi su un rapporto di fiducia tra i due interlocutori e su un rapporto di fiducia tra il giornalista e i suoi lettori. Questi ultimi si aspettano che il cronista abbia usato lo strumento dell’intervista per cercare notizie e informazioni attendibili, magari scavando a fondo, con domande appropriate, alla ricerca di qualcosa in più di quanto l’intervistato avrebbe voluto dichiarare. Da non sottovalutare, inoltre, che gli intervistati spesso sottovalutano l’importanza o l’interesse di una dichiarazione, di un’informazione, e proprio la professionalità del giornalista può far emergere aspetti che rischierebbero di rimanere sotto silenzio.

Un altro vantaggio delle interviste via e-mail è rappresentato dalla possibilità di raggiungere facilmente e a basso costo, personaggi famosi o realtà, entità particolari. Ma anche questi vantaggi hanno un lato oscuro. Tramite la posta elettronica, infatti, non sempre abbiamo la garanzia che il nostro interlocutore sia realmente la persona che crediamo. Due esempi.
Nel caso di un personaggio famoso, a gestire la corrispondenza via e-mail potrebbe essere un suo incaricato o addirittura uno staff di persone. Un’intervista via e-mail in questo caso avrebbe un valore limitatissimo. Nel caso di una persona assolutamente sconosciuta, i dubbi sulla reale identità dell’interlocutore aumenterebbero ulteriormente.

Immaginiamo, ad esempio, di essere venuti a conoscenza che un’associazione australiana poco o per nulla nota sta promuovendo un’azione politica clamorosa contro il proprio governo. Ci troviamo insomma davanti ad un’informazione che “fa notizia” e siamo ovviamente interessati a parlarne sul nostro giornale o sul nostro sito. L’associazione in questione ha un proprio sito Web e tramite questo noi entriamo in contatto con il loro leader che ci rilascia dichiarazioni clamorose. Che garanzia abbiamo, pubblicando l’intervista, che si tratti di informazione attendibile, credibile, corretta? Nessuna.

Le interviste via e-mail, inoltre, hanno spesso un altro grave inconveniente: sono troppo brevi. Spessi l’intervistato fornisce risposte secche, brevissime, di poche righe. Ne risultano interviste mortificanti che a volte rasentano il ridicolo, con dialoghi di questo tipo:

Lei pensa che Microsoft risentirà del successo di Linux?
“No”

Ha mai usato questo sistema operativo?
“No”

Pensa di adottarlo?
“Non so”

Eccetera…

Ecco perché anche noti giornalisti del settore High Tech, professionisti che con le nuove tecnologie non hanno un rapporto fobico e usano giornalmente posta elettronica e Web, non utilizzano mai l’e-mail per effettuare interviste. È il caso di John C. Dvorack, uno dei più noti “columnist” di “PC Magazine”, che utilizza l’e-mail solo per raccogliere informazioni secondarie.

Lawrence J. Magid, del “Los Angeles Times”, ad esempio, utilizza la posta elettronica solo per i primi contatti con la persona da intervistare e per comunicare i temi generali, ma mai per effettuare l’intervista vera e propria. “Quando faccio una domanda – dice Magid – non sempre so già quale sarà la successiva”, confermando in questo modo quanto sostenuto da Sergio Lepri e confermando al tempo stesso che per fare del buon giornalismo è necessario rispettare sempre le stesse regole, anche su Internet.

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