“In guerra, si vedranno sempre meno uomini e macchine sui campi di battaglia e sempre più elettroni e fotoni”, dice uno specialista di scenari di guerra presso il Lexington Institut di Arlington in Virginia. Dunque, più vittime civili che militari nelle guerre del terzo millennio.
Un dato che potrà far piacere all’amministrazione americana, da sempre preoccupata di limitare al massimo le perdite di uomini e mezzi propri e poco preoccupata delle conseguenze sulle popolazioni civili.
Ma tant’è e nella prossima guerra contro l’Iraq l’esercito americano avrà un’arma in più: Internet e le nuove tecnologie della comunicazione. Queste verranno usate soprattutto per portare scompiglio nel campo nemico, confondere i comandi avversari e organizzare trappole e imboscate.
Ad esempio, falsi messaggi sui cellulari dei generali iracheni con l’indicazione che arrivano direttamente da Saddam Hussein, mentre sono pilotati da un marine seduto a chilometri di distanza dietro un computer con un tazzone di caffè fumante di fianco al mouse.
In realtà, sono strumenti vecchi e collaudati rinnovati con nuovissime tecnologie di comunicazione.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, i comandi alleati erano riusciti a far credere ai tedeschi l’esistenza di piani di attacco con truppe che non erano mai esistite, facendole filtrare attraverso canali segreti. In questo modo avevano distolto l’attenzione dei nazisti dal vero obiettivo: lo sbarco.
Da allora, molte cose sono cambiate, soprattutto nel campo delle comunicazioni umane e alle staffette si sono sostituiti satelliti, telefonia mobile e Internet.
Sono cose che più che sapute si intuiscono, visto che il Pentagono non lascia filtrare nessuna informazione su come intende usare i nuovi strumenti.
La paura è che il nemico (l’Iraq) possa realizzare piani simili.
Secondo gli esperti, però, una cosa è certa: i comandi militari americani si muoveranno su tre direttrici: spionaggio, confusione e illusione.
Così, l’esercito più potente del mondo si è dotato degli stessi strumenti che abitualmente usano i pirati informatici: i virus.
Usando quelli nella versione “cavallo di Troia” aprire le “backdoors” nei sistemi nemici, intrufolarsi senza farsi vedere e creare scompiglio. Ad esempio, distruggere le infrastrutture irachene che servono alla codifica delle comunicazioni.
Eppure questi strumenti possono diventare boomerang. Agli iracheni basterebbe cercare con un motore di ricerca informazioni sull’esercito americano o consultare i giornali americani e le riviste specializzate per scoprire cosa bolle in pentola e individuare la dislocazione dei reparti nemici. Senza contare che potrebbero anche loro far ricorso alla pirateria informatica trovando strumenti e istruzioni sulla rete.
Secondo notizie di agenzia gli avventurosi consiglieri della Casa Bianca, starebbero studiando il modo per disturbare il sistema bancario.
Ancora una volta, strano a dirsi, sono i militari a cercare di far ragionare l’amministrazione Bush.
Alan Campen, ex colonnello dell’aviazione militare americana, scrittore di quattro saggi sulla cyberguerra, è dubbioso su questo tipo di azioni che potrebbero infettare il sistema finanziario mondiale.
“Quando lanciate un attacco informatico contro qualcuno – si interroga l’ex colonnello – come potete sapere se ha avuto esito e se questo non si ritorca contro di voi?”.