Chi ha letto l’articolo dell’avvocato Gili su come Internet viene vista in Cina, potrà capire fino in fondo cosa comporta lo studio realizzato dalla Fondazione Carnegie per la pace internazionale.
Alcuni regimi autoritari sono riusciti a controllare Internet, considerato spesso come un mezzo per promuovere la democrazia e ad utilizzarla a loro vantaggio.
Questa la conclusione dello studio della Fondazione che, aggiunge, ben lungi dall’accelerare la propria fine autorizzando Internet a penetrare le frontiere “uno stato autoritario può servirsi del Web per il proprio interesse e aumentare la sua stabilità grazie a questa tecnologia”.
Lo studio prende in considerazione Cuba e la Cina come esempi di paesi che sono riusciti a controllare il Web con diverse strategie.
Mentre Cuba controlla strettamente gli accessi all’interno delle proprie frontiere, la Cina ha adottato una strategia di “controllo del contenuto”, di sorveglianza, di dissuasione e di autocensura.
Malgrado tattiche differenti “ci sono forti somiglianze negli sforzi dei due governi per canalizzare lo sviluppo di Internet con mezzi che rafforzano il potere dello stato”.
In Cina, dicono fonti internazionali, sono 17 milioni le persone che avevano accesso a Internet nel 2000, malgrado le cifre ufficiale fissassero il tetto a 22,5 milioni.
I siti considerati come “politicamente sensibili”, quelli dei media stranieri e delle organizzazioni di lotta per i diritti umani per intenderci, sono sistematicamente bloccati.
A Cuba erano solamente 60 mila le persone che al marzo 2001 disponevano di un indirizzo elettronico su circa 12 milioni di cubani.
Da un terzo alla metà di loro può inviare messaggi internazionali e sui 110 mila computer presenti sull’isola, solo qualche migliaio hanno un accesso completo al Web.