Nel suo ultimo e incompiuto libro The Salmon of Doubt (Il salmone del dubbio), lo scrittore di fantascienza umoristica Douglas Adams ha sintetizzato in tre regole il rapporto con la teconologia.
Anything that is in the world when you’re born is normal and ordinary and is just a natural part of the way the world works.
Anything that’s invented between when you’re fifteen and thirty-five is new and exciting and revolutionary and you can probably get a career in it.
Anything invented after you’re thirty-five is against the natural order of things.
Per milioni di persone che come me avevano tra i quindici e i trentacinque anni quando il Web si è aperto al mondo e che hanno costruito un lavoro su questo affascinante sistema di comunicazione, Sir Tim Berners-Lee – il suo inventore – rappresenta un semi-dio. In una sua recente intervista su Wired Berners-Lee si sofferma su alcune scelte tecniche e sull’evoluzione, a tratti imprevista, di questa sua intuizione. Una scelta deliberata è stata quella di proporre qualcosa che suonasse familiare agli addetti ai lavori:
[…] in designing an HTTP address, he wasn’t trying to serve the everyman. He was trying to make it as familiar as possible to those already steeped in the particulars of using hardcore computer systems.
Il 6 giugno 2012, giorno di pubblicazione di questa intervista, era lo stesso giorno del lancio di IPv6, la versione numero 6 di un protocollo che per decenni ha rappresentato parte fondamentale di Internet (di cui il Web, non occorre ricordarlo, è parte integrante).
Il nuovo protocollo garantisce, tra le altre cose, accesso ad un numero pressochè illimitato di indirizzi: una buona premessa per quell’internet of things che potrebbe cambiare in meglio le nostre vite o, considerando la terza regola di Adams, forse, in modo più efficace, le vite dei nostri figli.