Potreste aver letto di un recente ed inatteso accordo fra l’ex monopolista British Telecom e la comunità transnazionale di foneros che, promossi e coordinati da Fon, condividono banda passante su connessioni WiFi, e nell’insieme, vanno costituendo una rete senza fili globale ed ad accesso pubblico. Magari siete inciampati un qualche breve articolo sulle voci di un telefonino targato Google, la quale ha anche partecipato all’asta per l’assegnazione di frequenze radio per cellulari negli Stati Uniti (tempo fa partecipò al bando del comune di San Francisco per fornire copertura WiFi). Questi, e molti altri possibili esempi non sono tanto per ripetere che nel mondo delle ICT molto bolle in pentola. Più specificamente volevo parlare di integrazione, a un livello più ampio della consueta integrazione di archivi aziendali o pubblici.
BT e Fon (BTFon), che cosa stanno integrando? I profili dei loro utenti? I flussi di dati sulle rispettive reti? I profitti delle loro attività? Sì, ma perchè non anche le loro, radicalmente diverse – almeno finora – concezioni di rete telematica? Una originata da un ministero, l’altra dalla spontanea partecipazione degli utenti. Skype è un esempio sorprendente, essendo l’integrazione di una rete peer-to-peer con reti telefoniche fisse e mobili di tutto il mondo (e, conseguentemente, miliardi di utenti raggiungibili). Insomma integrare reti significa mettere in relazione, in maniere impreviste e non raramente creative, gli elementi tecnici e socio-organizzativi, sempre più mutuamente interdipendenti.
Altri esempi di integrazioni inattese: Skype distribuito su cellulari economici da 3 nel Regno Unito. La prima esce dall’ormai stretto mondo dei personal computer, l’altra fornirebbe comunicazioni illimitate al prezzo dell’accesso flat alla sua rete mobile. I cellular-dipendenti potrebbero esserne contenti. Ancora: avete conosciuto qualcuno nel metaverso di Second Life. La stessa persona, sul cellulare della vita “reale” (o la “prima”, almeno) può essere contattata dal vostro avatar con un servizio di Vodafone. Meebo e Flick integrano il frammentato mondo della messaggeria istantanea attraverso il web, davanti agli occhi dell’utente, oltre l’ultimo miglio. Le basi dati degli utenti di Microsoft, Yahoo!, AmericaOnLine non scambiano dati direttamente.
Analogamente, all’annosa questione dell’integrazione di sistemi operativi, Synergy propone una soluzione dell’ultimissimo metro: macchine con sistemi diversi possono condividere la stessa tastiera, mouse e clipboard (per copia/incolla). Per l’utente il passaggio fra sistemi è invisibile come il cursore che raggiunge il bordo di un monitor e appare sull’altro. Sistemi di social networking (Facebook per esempio) offrono un social layer per altri servizi (Trillian Astra, per esempio). Google da anni sta integrando tutto (profili, pubblicità mirata, parole chiave, informazioni finanziarie) con tutto (libri, immagini, mappe, rappresentazioni tridimensionali, flussi Rss).
Più a livello macro, proprio per la necessità di integrare reti in maniera a priori imprevedibile, rende la regolamentazione difficile. La Commissione Europea sembra per esempio determinata a separare le reti di telecomunicazioni europee dai fornitori di servizi, con il giusto intento di evitare situazioni tendenzialmente monopolitistiche. Chi controlla l’accesso alla rete, ha infatti il duplice vantaggio di rendere difficile l’ingresso ai concorrenti, e di beneficiare di una base di utenti per i propri servizi. La soluzione pare quindi essere una rete alla quale tutti abbiano imparziale accesso, e concorrenza sui servizi. Il problema è che allora la rete, sottratta alle tensioni di diverse parti in causa, rischia di vedere rallentata la sua evoluzione.
In altri termini, le infrastrutture informative sono costituite sia dall’hardware delle reti, sia da un’indefinita serie di livelli di software e dati. In astratto, tutte le integrazioni sono potenzialmente vantaggiose – o svantaggiose. Ogni taglio legislativo, inevitabilmente arbitrario, rischia di limitare possibilità di sviluppo. Il problema è che non si può dire quali finchè non ci sono le condizioni perchè succedano (o siano anche solo immaginate). Per esempio, quattro anni fa, chi avrebbe trovato credibile che Google sarebbe stata interessata a una propria rete mobile e terminali? Per farne che cosa, visto che Gmail, Maps eccetera non c’erano?
Le reti – Internet ma non solo – hanno bisogno di mantenersi generative, non di diventare elettrodomestici, il cui uso è definito una volta per tutte (vedasi The Generative Internet, di Jonathan Zittrain). E soprattutto, le società hanno bisogno di infrastrutture generative che sono insieme vincolo e possibilità di molte libertà contemporanee. Integrazioni, come anche separazioni, sono i necessari ingradienti di tale dinamica.
Guardando avanti, quali sono le possibili integrazioni fra siti web, telefonia, frigoriferi, negozianti e dietologi? E fra rete elettrica, gasdotti e reti giornalistiche? Nessuna? Eppure quando le tensioni Russia/Ucraina sono riportate dalla stampa infleunzano le politiche continentali e il prezzo dell’energia. Integrare fonti alternative aiuterebbe la flessibilità della distribuzione. Nel bene e nel male, abbiamo bisogno di abituarci all’idea (ed alla pratica), che nessuna soluzione può essere “per sempre”, che ogni confine fra reti tecniche e sociali-organizzative è arbitraria. La soluzione migliore non può forse venire da una legge risolutiva, ma dalla capacità – tanto di organi dedicati quando di privati cittadini – ad amministrare le reti sulle quali sono attivi e di trovare equilibri adatti alle variabili esigenze e contingenze.