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Internet? Dovremmo farla più intelligente

06 Novembre 2009

Internet? Dovremmo farla più intelligente

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Di morale, di società e di cambiamenti culturali. La provocazione della settimana scorsa ha sviluppato un dibattito ricco, ripartiamo da "noi" e da "loro"

Grazie (citando Pennac). Grazie a tutti quelli che sono entrati in una conversazione centrata sul mio precedente articolo, quello che sostiene che Internet, se vogliamo allargarne la portata, dobbiamo farla più stupida (in realtà più semplice). E comunicarla meglio. Quello che parlava della differenza tra “noi” che facciamo i siti e/o ci godiamo appieno il mondo del digitale e “loro” che al mondo della rete sono alieni. Perché questa, in fondo, è un’altra forma di digital divide: chi vive la Rete e chi ne è fuori, e non la capisce, trovandola inutile o pericolosa.

Questione di educazione, dicono molti che hanno commentato il pezzo. Vero, anche se preferirei parlare di cultura. E la cultura non è una cosa che si formi a scuola, dove al massimo si può tracciare una strada da seguire poi personalmente. Perché il problema vero non è la tecnologia, né l’usabilità. Il problema è che la Rete ha portato con sé un cambiamento culturale stridente, una serie di modelli di comportamento che urtano violentemente coi paradigmi passati.

Preconcetti

Oggi ancora ne ho avuto un esempio: una persona che non capiva, guardando Twitter, perché la gente lo usasse, perché voleva far sapere agli altri i fatti propri, e catalogava questa pratica come forma estrema di alienazione, di sostituzione dei contatti reali con altri virtuali, di morte delle amicizie sostituite da fantasmi digitali. Noi sappiamo che spesso invece i social network ci aiutano ad amplificare le relazioni, non a svuotarle (benché per qualcuno sia comunque vero proprio il contrario). Come è possibile farlo capire a gente che ha un’impostazione mentale totalmente, radicalmente ancorata su modelli di comportamento “tradizionali” (non dico meno validi, sia ben chiaro)? Che quando osserva e prova vede una realtà ovviamente filtrata dal proprio pre-concetto, interpreta cose sconosciute sulla base di schemi e parametri conosciuti da tutta una vita?

La rivoluzione della rete potrei compararla al Flower Power del movimento hippie, un modo diverso di intendere le relazioni sociali che sconfinava nel libero amore e in un distacco dal consumismo e che sconvolse gli americani (e non solo) allevati in una morale calvinistico/bacchettona e in uno stile di vita fondato sul mantenere i propri livelli di consumo uguali o superiori a quello del vicino di casa.

Si entra in un’altra dimensione, insomma. Un salto culturale che può sconfinare nel morale, una rottura di abitudini e convinzioni maturate da anni, difficili da scardinare dopo una certa età, difficili da scardinare se uno è imbevuto di culture non digitali e fortemente tradizionalistiche (qui l’età c’entra meno), difficili da superare se non c’è l’elasticità mentale di accettare che le cose, nel tempo, possono cambiare e quindi anche i propri stili di vita, il proprio modo di vedere il mondo. Tutto ciò non succede in genere attraverso folgorazioni sulla via di Damasco: ci vuole tempo. Per tutti loro o quasi, se vogliamo comunque fare business con la Rete, dobbiamo pensare a quell’internet meno rivoluzionaria che ho definito a effetto “più stupida”.

Per noi, invece

E per “noi”, invece, che cosa dovremmo fare? Questa è una bella domanda. Forse è la domanda. A quanto pare la crisi economica che stava per rimandarci tutti al paleolitico con una zappa in mano non ha insegnato molto. Internet è ovviamente sostenuto dalle iniziative di business, volte a far preferire il nostro prodotto, a far fruttare la nostra marca: e nel nostro sistema economico è giusto che sia così ed è il modo in cui io riesco a sbarcare il lunario. Ma penso che non di solo consumo viva l’uomo (e anche la donna, ovviamente). Internet deve diventare più intelligente – in termini pratici e in termini, passatemi la parolaccia, “politici”.

Internet deve diventare più intelligente in termini di tecnologie, a partire ad esempio da motori di ricerca che ci diano quello che ci serve, non “parole chiave” decontestualizzate. Più intelligente in termini di un entertainment più intelligente, in contrapposizione a quello “stupido” che noi tutti conosciamo. Un entertainment più interessante per i nativi e gli immigrati digitali, forse un buon motivo per immigrare per chi ancora non c’è. E qui per fortuna i buoni esempi non mancano. Più intelligente in termini di “far fare” rispetto  un “lasciarsi intrattenere”. Più intelligente nel senso di rendere più intelligenti le persone.

Teste flessibili

Qui sì che sposo il tema dell’educazione. Una educazione non alla rete per sé stessa, ma un’educazione che usi la Rete per lavorare su generazioni più giovani, su teste più flessibili, per innescare un ragionamento, un pensiero su dove vogliamo andare in termini sociali, ecologici, anche morali. Un internet più intelligente in termini di capacità di proporre stimoli, ragionamenti, pensieri per una società che deve necessariamente evolvere in direzioni meno autodistruttive. Qui non è una questione di interfacce o di tecnologie: ancora una volta è questione di persone. La sfida colossale, in un mondo condizionato dall’entertainment, dall’engagement, dallo show biz, dal wow factor sarà proprio la capacità di rendere interessanti e pressanti temi sconfinanti con l’etica – che in prima battuta molti possono vivere come mortalmente noiosi, meglio coltivarsi il proprio pezzo di terra virtuale su FaceBook.

Qui ci vorrà tutta la nostra intelligenza. Con lo scenario mediatico che si sta profilando, i media tradizionali che scricchiolano, i conglomerati mediatici che sospettiamo (ehm ehm) perseguano finalità proprie, forse l’ultima chance che abbiamo per fare collettivamente un salto culturale ce la può dare la Rete. Un salto che forse potranno vedere i nostri nipoti. Roma non è stata fatta in un giorno e ci vorrà tempo ma ogni viaggio inizia dal primo piccolo passo… per evitare di finire, come diceva Fassbinder, come i nani – che anche loro hanno cominciato da piccoli.

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