Come anticipato qualche tempo fa, nel corso della CIO Conference 2005, l’evento annuale organizzato da IDC, abbiamo incontrato Andrea Pontremoli, Amministratore Delegato e Presidente di IBM Italia, al quale abbiamo rivolto alcune domande su temi estremamente attuali: dalla ricetta per ridare all’Italia la giusta Competitività, al problema della Sindrome Cinese, al futuro dell’IT ed alla figura del CIO nel nostro paese, alle prospettive di IBM anche alla luce delle recenti decisioni quali la ristrutturazione in atto ed il rilascio alla comunità degli sviluppatori di più di 500 brevetti.
1) Parliamo di Competitività: quali sono a suo avviso le scelte strategiche di cui necessita il mercato italiano per poter recuperare il gap accumulato negli ultimi 10 anni in particolare nei settori tecnologici che sono il principale volano dello sviluppo dell’economia moderna?
Dove abbiamo sbagliato, tecnologicamente parlando?
Innanzi tutto, ne parliamo troppo: dovremmo “fare” più che “parlare”.
Inoltre pensiamo che la competitività sia data dalla Tecnologia: oggi ne abbiamo fin troppa e la vera domanda è come usarla per rendere competitiva l’azienda.
Non è infatti comprando computer più potenti o servizi fantasmagorici che la mia azienda diviene più competitiva. Prima bisogna analizzare il proprio Modello di Business e da quel Modello di Business pensare a come l’IT possa essere abilitante nel rendere competitiva l’azienda. Andare a grandi convegni dove si spiegano le meraviglie della tecnologia può far tornare l’uditore “a casa” ancora più sconfortato.
Per quanto riguarda le Aziende, posso dire che oggi si parla troppo di IT in funzione della riduzione dei costi invece di considerarlo elemento che permette la crescita. È chiaro che in uno scenario come questo operare una riduzione dei costi rimane una delle maggiori preoccupazioni ma attenzione: estremizzando il discorso, a una riduzione totale dei costi corrisponde anche un ridimensionamento sistematico dei ricavi.
Per quanto riguarda il Sistema Paese, il fatto è che il “Sistema” da noi non esiste: questo è il vero problema. Anche se fossi la più competitiva azienda del mondo e, fabbricando le migliori scarpe, impiegassi 20 giorni – a causa dei trasporti, della logistica, della burocrazia – per farle giungere ad esempio in Inghilterra, risulterei comunque fuori mercato perché un competitor mi batterebbe sicuramente sul tempo.
Dovremmo quindi pensare più all’IT quale “collante” di un Sistema fatto essenzialmente di tre elementi: le Imprese (e nelle imprese includerei anche le Banche), le Istituzioni e la Ricerca prodotta dal mondo Universitario. Se noi riuscissimo a vedere questi tre elementi uniti in un circolo virtuoso in cui l’azienda è aiutata nel superare la burocrazia e nello stesso tempo si avvale in modo eccellente delle idee innovative prodotte dall’intelligenza dei nostri ragazzi, ecco, questo circolo sarebbe la fotografia del Sistema Paese.
Nello stesso tempo, anche all’interno della singola azienda vedo l’IT come “collante” tra i tre fondamentali elementi – Clienti, Dipendenti, Fornitori – che hanno bisogno di interagire tra loro in maniera virtuosa.
2) L’attuale Ministro dell’Innovazione Tecnologica (MIT) Lucio Stanca è stato per anni suo collega e suo predecessore nella dirigenza IBM. Ritiene che ad oggi sia stato fatto tutto il possibile a livello politico per recuperare il gap di cui alla domanda precedente?
Quello che ancora a noi manca da questo punto di vista è la velocità.
Ritengo che a livello politico si stiano facendo le cose giuste e lo stesso Ministro Stanca ha fatto un lavoro nella giusta direzione. Eppure la velocità con cui vengono attuate le misure per la competitività non è ancora sufficiente. Per essere competitivi non è solo importante cosa viene fatto ma con quale rapidità metto in atto le misure rispetto ai miei competitori. A noi manca questo concetto di “Relatività”.
Per dare velocità dovrei dare più “strumenti”, più “leve”. Ecco perché bisognerebbe garantire al Ministro dell’Innovazione Tecnologica la capacità di veicolare investimenti e di dettare le regole, creando in sostanza un Ministero “con Portafoglio”.
Il concetto di velocità si lega anche alla possibilità di prendere decisioni rapidamente, anche correndo il rischio di sbagliare. Una decisione giusta presa con un anno di ritardo può produrre lo stesso effetto di una decisione non presa, portandoci fuori mercato.
3) Ritiene che anche il CIO debba ricoprire un ruolo più importante rispetto al passato, ad esempio cominciando a far parte del C.d.A. nello stesso modo in cui avviene ciò negli Stati Uniti o nei paesi anglosassoni?
Penso che anche in Italia arriveremo a questo assetto. Negli Stati Uniti, parlo di IBM, l’acronimo CIO è divenuto Chief Innovation Officier ossia l’uomo che rende possibile l’innovazione usando l’Informatica.
Anche altrove, il CIO dovrebbe sedere nel Board, il consesso all’interno del quale si possono comprendere pienamente i Modelli di Business aziendali e garantire quindi gli “strumenti” tecnologici all’azienda per renderla competitiva sul mercato.
In Italia questo avverrà più per le aziende che competono a livello internazionale: le altre continueranno a percepire il settore IT come un costo da tagliare, come un problema.
Tale evoluzione sarà guidata da due elementi: l’accresciuta capacità del CIO di avere una visione di Strategia e di Marketing e la consapevolezza da parte dei CEO che la figura del CIO deve crescere di peso all’interno delle realtà aziendali.
Sempre più frequentemente sono chiamato dagli Amministratori Delegati di grandi aziende a valutare il livello di efficienza dell’informatica aziendale che in genere è buono: quello che non risulta corretto è il modo in cui è usata.
4) IBM è un marchio, un brand, che opera in un settore in cui i cambiamenti sono rapidissimi: è quindi facile non stupirsi se dopo 100 anni nel settore automotive sono presenti ancora marchi come Ford, Fiat ecc… mentre ci si stupisce del fatto che IBM nel suo settore esista e resista ancora a quasi 90 anni dalla sua fondazione quando i suo principali competitors oggi non hanno più di 30 anni.
La rivoluzione dei PC (’80), la rivoluzione di Internet e del Networking (’90), la rivoluzione del Software Libero (’00), non hanno indebolito il Colosso numero uno dell’informatica Mondiale.
Ma ora arrivano i Cinesi: esiste la possibilità che la “Sindrome Cinese” possa veramente mettere a rischio il futuro della Corporation?
Tutt’altro. Noi guardiamo alla Cina come un’opportunità, non come a una minaccia. D’altronde sarebbe perfettamente inutile “fare muro” perché la storia è piena di battaglie di questo tipo perse in partenza. Al contrario, dobbiamo lavorare assieme sfruttando ciascuno le proprie competenze, le proprie capacità.
L’accordo con la Lenovo, e sottolineo il termine accordo, è appunto un esempio di tale modo di procedere.
Oggi IBM sui PC ha tre punti forti: l’innovazione tecnologica, il marchio ed i servizi legati al prodotto (installazione, sistema di vendita ecc…). Già “ieri” la produzione era in Corea. Con Lenovo continueremo a fare leva su questi tre punti ma portando la produzione a basso costo dalla Corea alla Cina e operando su un Mercato come quello Cinese che genera un’economia di scala formidabile.
Nella nuova realtà, IBM mantiene la posizione di secondo azionista mentre il Governo Cinese, primo azionista, sarà chiamato a fare di più nella protezione dei brevetti e del marchio.
Ecco un sistema che, senza la necessità di dazi, porterà il mondo cinese ad aderire alle regole commerciali del mondo occidentale.
5) Proprio a proposito di Lenovo, nello scorso gennaio a Shanghai ho potuto verificare di prima persona lo stato dell’arte dell’High-Tech in Cina.
L’esempio è quello del Maglev di Shanghai costruito da Siemens-Tyssenkrupp: oggi i cinesi si avvalgono della tecnologia tedesca. A breve per le prossime tratte del treno superveloce utilizzeranno le tecnologie tedesche ma con operai ed ingegneri cinesi e società cinesi. Non temete che anche questo possa accadere nell’accordo Lenovo, nonostante i patti siano come da lei indicato estremamente chiari e vincolanti?
Questo è sempre accaduto. Negli Stati Uniti mezzo secolo fa il 50% della popolazione lavorava nell’agricoltura: oggi la percentuale è del 2. Non è che per questo gli USA siano divenuti meno competitivi o abbiano perso quote di mercato.
In questo mondo bisogna sempre stare “avanti” nei settori che si ritiene siano trainanti e vincenti.
Per quanto riguarda il know-how, o sono in grado di farlo evolvere oppure sarà preda di qualcun altro. In ogni caso, ritengo sbagliata la paura di non concedere ad altri il know-how per evitare che se ne impossessino.
Se non viene “copiato”, il know-how verrà in qualche modo creato autonomamente.
Non dimentichiamo che sommando il numero di tutti i laureati del “Mondo Occidentale” – Europa, USA e Giappone inclusi – otteniamo un numero inferiore del 25% rispetto all’insieme dei laureati di Cina ed India.
Noi dobbiamo unire il nostro know-how con la loro “capacità di fare” per migliorare la qualità di vita complessiva. Ciò che avverrà in Cina creerà a sua volta la richiesta di nuovi prodotti e servizi. Il nostro obiettivo non è ridurre la qualità di vita del Mondo Occidentale ma quella di innalzare gradualmente il livello di vita e la capacità di spesa di queste grandi nazioni emergenti.
6) Credo che la recente decisione IBM di “rilasciare” alla comunità degli sviluppatori circa 500 brevetti software si ricolleghi molto alla sua ultima risposta.
Dopo il pesante investimento nel mondo Linux, IBM ci stupisce nuovamente distanziandosi sempre più da Microsoft nella filosofia di approccio con gli sviluppatori.
Quale sarà l’approccio IBM – Microsoft su un mercato quale quello cinese?
L’operazione di apertura dei 500 brevetti è stata una scelta strategica o una necessità?
La scelta è strategica, molto ben ponderata. I 500 brevetti rilasciati rappresentano il più grande numero di brevetti software mai concessi alla comunità degli sviluppatori nella storia dell’Informatica. Questo, non perché i brevetti del Software non serviranno: anzi, alcuni settori di produzione andranno ulteriormente protetti.
La nostra visione strategica guarda però alla creazione di Standards che per caratteristica sono pervasivi.
Quanto più favoriremo la creazione di standard tanto più saremo vincenti. Questa è la lezione che IBM ha imparato nel ’93 quando rischiò di sparire per l’errore commesso di essere rimasta troppo tempo “in posizione”.
Ringraziamo Andrea Pontremoli, Amministratore Delegato e Presidente di IBM Italia, per la disponibilità concessaci, e IDC per l’accreditamento garantito.