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Informatica libera, dagli USA all’Italia al resto del mondo

03 Febbraio 2003

Informatica libera, dagli USA all’Italia al resto del mondo

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Proteste e pinguini accolgono Gates al Senato, mentre prosegue la crociata globale di Stallman

“Informatica libera per l’Italia”. Questo lo slogan che ha animato, venerdì 31 gennaio, la manifestazione di protesta contro la visita di Bill Gates al Senato. Oltre ad alcuni pinguini in carne ed ossa, è scesa in piazza una folla multicolore: addetti del settore, hacker, titolari di aziende produttrici di software, curiosi. Nutrita anche la presenza dei giornalisti, perfino quelli dei cosiddetti media mainstream. Organizzato da varie associazioni, tra cui Free Software Foundation Europe e Associazione Software Libero, l’evento rientrava tra le iniziative della giornata tese a creare una sorta di “par condicio” tra due ambiti dell’informatica, il software proprietario e il software libero, le cui dinamiche e interessi appaiono sempre più in netta contrapposizione tra loro. Nel senso che se quasi ogni parola di Gates (e di MS) viene presa per oro colato, ahi noi, importante per tutti e ciascuno è fare corretta informazione su altri sistemi e programmi in rampante crescita sul mercato, a partire naturalmente da GNU/Linux.

Per saperne di più su quanto sopra nonché sulle ulteriori iniziative attualmente avviate in Italia, ecco un ottimo resoconto: Pinguini al Senato.

Per chi invece vuole continuare a ripercorrere in dettaglio la nascita del movimento del software libero, dagli antefatti del progetto GNU agli odierni sviluppi, non resta che leggere la biografia “ufficiosa” del suo artefice, Richard Stallman, curata dal giornalista Sam Williams. In attesa dell’arrivo del volume cartaceo, ormai imminente, ne proseguiamo l’anteprima. Di seguito, alcuni stralci interessanti (almeno tali a giudizio del vostro umile traduttore) tratti dalla seconda parte di Codice Libero: Richard Stallman e la crociate per il software libero.

Riguardo un intervento dal vivo di Stallman al Maui High Performance Computing Center delle Hawaii:

Ascoltando Stallman in persona enunciare il proprio credo politico, sembra difficile notare alcunché di confuso o repellente. Il suo aspetto può forse sembrare poco stimolante, ma il messaggio è del tutto logico. Quando una persona tra il pubblico chiede se, nel rifiutare il software proprietario, i proponenti del software libero finiscano per perdere la capacità di stare al passo con i più recenti sviluppi tecnologici, Stallman replica sulla base delle proprie opinioni. “Credo che la libertà sia più importante del puro avanzamento tecnico,” dice. “Sceglierei sempre un programma libero meno aggiornato piuttosto che uno non-libero più recente, perché non voglio rinunciare alla libertà personale. La mia regola è, se non posso condividerlo con gli altri, allora non lo prendo.”

“C’è qualcuno che sostiene cose tipo, ‘Invitiamo prima la gente nella comunità, e poi insegneremo loro cosa significa libertà.’ Potrebbe anche rivelarsi una strategia ragionevole, ma quello che succede è che quasi tutti ci diamo da fare ad invitare gli altri, e poi finisce che quasi nessuno dice nulla sulla libertà.”

Il risultato, aggiunge Stallman, è qualcosa di analogo a una città del terzo mondo. La gente vi si ammassa nella speranza di far soldi o quantomeno di partecipare ad una cultura ricca e vibrante, tuttavia chi detiene veramente il potere impiega nuovi stratagemmi — ad esempio, i brevetti sul software — per tenere lontane le masse. “Arrivano in milioni e finiscono per insediarsi in quatieri-ghetto, ma nessuno s’impegna per il passo successivo: farli uscir fuori da tali ghetti. Se ritenete una buona strategia parlare del software libero, allora prodighiamoci per la fase successiva. Ci sono parecchie persone che lavora per arrivare sul primo scalino, ne servono assai di più per raggiungere il secondo.”

Sull’attrito con il giro open source e relativi sviluppi:

Quattro anni dopo l’uscita di “The Cathedral and the Bazaar,” egli prova ancora irritazione per le critiche di Raymond. Né manca di lamentarsi per l’elevazione di Linus Torvalds al ruolo di hacker più famoso del mondo. Al riguardo ricorda una maglietta che iniziò a circolare parecchio nelle mostre commerciali di Linux verso il 1999. Ricalcando il manifesto promozionale originale per Star Wars, nel disegno della maglietta si vedeva Torvalds brandire una spada luminosa come Luke Skywalker, mentre sul corpo del robot R2D2 c’era la testa di Stallman. Qualcosa che gli dà ancora sui nervi non soltanto perché lo presenta come spalla di Torvalds, ma anche perché assegna a quest’ultimo la leadership della comunità free software/open source, un ruolo che lo stesso Torvalds appare assai restio ad accettare. “È ironico,” fa notare Stallman con una punta di tristezza. “Raccogliere quella spada è esattamente l’azione che Linus rifiuta di compiere. Prima fa in modo che tutti lo considerino il simbolo del movimento, e poi non vuole combattere. Cosa c’è positivo in tutto ciò?”

Ma è esattamente tale rifiuto a “raccogliere la spada” da parte di Torvalds ad aver lasciato la porta aperta a Stallman per confermare la propria reputazione in quanto pilastro etico della comunità hacker. Nonostante le lamentele, Stallman deve ammettere che gli ultimi anni hanno portato frutti positivi, sia per sé stesso che per la sua organizzazione. Relegato in periferia dall’imprevisto successo di GNU/Linux, Stallman è riuscito comunque a riconquistare efficacemente l’iniziativa. Il suo programma di interventi pubblici dal gennaio 2000 al dicembre 2001 includeva fermate in sei continenti e una serie di incontri in quei paesi dove la nozione di software libero riveste un significato tutto particolare — Cina e India, ad esempio.

Sul lascito futuro di Stallman e annesse attività:

Pur non essendo certo il primo a ritenere il software una proprietà pubblica, è grazie alla GPL che Stallman si è garantito almeno una nota a piè pagina nei testi di storia. Muovendo da questo dato di fatto, potrebbe aver senso fare passo indietro per esaminare l’eredità di Richard Stallman oltre l’epoca attuale. Nell’anno 2102 la GPL verrà ancora usata dai programmatori, oppure allora sarà caduta completamente in disuso? Il termine “software libero” apparirà politicamente bizzarro come toccherebbe oggi a qualcosa tipo “argento libero”, oppure verrà considerato stranamente premonitore alla luce degli eventi politici successivi?

Così replica John Gilmore, ex-programmatore di Sun e co-fondatore di Electronic Frontier Foundation:

Secondo me gli scritti di Stallman acquisteranno una levatura analoga a quelli di Thomas Jefferson; scrive in maniera assai puntuale e difende dei principi genuini… Difficile stabilire se il suo lascito risulterà pari a quella Jefferson, poichè ciò dipenderà dall’importanza che quelle astrazioni chiamate “diritti civili” rivestiranno o meno da qui a cento anni, rispetto alle altre astrazioni che definiamo “software” oppure “restrizioni imposte a livello tecnico.”

Prima dell’arrivo di Internet, era alquanto difficile poter collaborare a distanza su un software, anche all’interno di gruppi fidati. Richard è stato il primo ad avviare questi sforzi cooperativi, coinvolgendo soprattutto una serie di volontari disorganizzati, che finiscono per incontrarsi assai di rado. Richard non ha realizzato nessuno degli strumenti di base necessari a concretizzare tutto ciò (il protocollo TCP, le mailing list, diff e patch, i file tar, RCS o CVS o remote-CVS), riuscendo tuttavia ad impiegare al meglio quelli già disponibili per dar vita a gruppi sociali di programmatori capaci di collaborare efficacemente tra loro.

Infine, l’opinione, ugualmente ottimista, di Lawrence Lessig, professore di legge a Stanford e autore nel del fondamentale “The Future of Ideas”:

[Stallman] ha spostato il dibattito da ‘è’ a ‘dovrebbe.’ Ha messo in chiaro l’importanza della posta in gioco, realizzando un sistema in grado di portare avanti questi ideali… Ciò detto, non lo vedrei di fianco a Cerf o Licklider. L’innovazione è qualcosa di diverso. Nel suo caso, non si tratta soltanto di qualche tipo di codice, o del lancio di Internet in generale. Riguarda molto più la capacità di mostrare alla gente la validità insita in un determinato sviluppo di Internet. Non credo esista nessun altro in quest’ambito, prima o dopo di lui.”

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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