Tutti gli esseri viventi hanno una capacità fondamentale: quella di adattarsi al loro ambiente e al variare di questo variare le loro interazioni. L’adattamento è stato per milioni di anni di tipo biologico, i figli per selezione naturale tendevano ad essere più adatti dei genitori all’ambiente. Un processo lento, quindi. L’apprendimento, invece, avviene nel corso della vita ma a differenza dell’adattamento non viene trasmesso dai genitori ai figli. Ogni generazione deve, quindi, imparare di nuovo.
Gli uomini, molto recentemente, parlo di 5000 anni fa, hanno sistematizzato il processo di apprendimento con un’innovazione organizzativa chiamata insegnanti e scuole. Le prime tracce le abbiamo in tavolette numeriche del 2800 ac.
Un salto fondamentale è avvenuto con i greci che, probabilmente per primi, non solo insegnavano quello che la generazione precedente sapeva ma insegnavano ad imparare e a scoprire nuove cose. E non solo. I greci hanno sviluppato anche delle tecniche per facilitare l’apprendimento, la logica e il lavoro di gruppo. Nella figura un quadro del Rinascimento in cui l’artista immagina Aristotele mentre “insegna” dialogando con un suo allievo. In mano non c’è il libro ma una raccolta di pagine di pergamena. La carta non era ancora conosciuta in Europa, sarebbe arrivata molti secoli dopo insieme alle spezie dall’oriente.
I greci, pur senza la carta, avevano però la pergamena su cui scrivere e su cui tramandare il sapere. Lo scritto era un formidabile strumento per imparare in quanto lo studente poteva leggere e rileggere fino a quando non aveva memorizzato in modo permanente (o quasi) quelle informazioni. E come tutte le nuove tecnologie anche la scrittura aveva suscitato forti obiezioni dagli insegnanti in quanto, alcuni, ritenevano che con l’esistenza di pagine scritte consultabili a piacere i “pigri” studenti avrebbero perso la capacità di mandare a memoria quanto l’insegnante diceva.
In Australia gli aborigeni non avevano la scrittura (e non la hanno mai inventata). Conoscevano la pittura anche se per noi era una pittura strana. Era usata per comunicare e sostanzialmente rappresentava una mappa i cui simboli erano i segni che un uomo, un animale o un arbusto, un ruscello sotterraneo avrebbero lasciato sul terreno sabbioso del deserto così come una persona che cammina li avrebbe visti. Nella figura a lato una di queste rappresentazioni, in questo caso due sorgenti di acqua separate da un certo insieme di increspature. Nelle enormi distese, a prima vista uniformi dell’outback australiano era fondamentale che i ragazzi imparassero bene dove erano i pochi posti in cui si poteva scavare per raggiungere l’acqua e i riferimenti stavano tutti sul terreno, non c’erano in genere altri punti di riferimento. Occorreva guardare le impronte degli animali che essendo più sensibili alla presenza di umidità sapevano dirigersi ai punti in cui poteva esserci acqua. Di qui l’attenzione alle impronte e una visione “del mondo” dall’alto al basso.
Per insegnare usavano i canti. Il sapere era codificato in canzoni e queste venivano insegnate ai ragazzi. La tecnica è efficace in quanto il canto utilizza diverse regioni del cervello (parole, melodia, suoni sentiti e emessi e sincronizzazione) ed è proprio l’uso contemporaneo di tutte queste zone che rafforza l’apprendimento e lo rende anche più veloce. Il nostro cervello, infatti, ha una capacità di imparare cose nuove abbastanza limitata. I più bravi possono imparare fino a 6 cose diverse nell’arco di qualche ora. I meno dotati 5. Non vale quindi la pena di disperarsi se non si è così dotati… Dopo un po’ di ore, tuttavia, queste novità, se opportunamente rinfrescate, vengono stabilmente memorizzate, fanno parte di quella che i medici chiamano la memoria lunga (per differenziarla da quella breve). Questa memoria lunga è tale perché si formano tra le cellule del cervello delle connessioni stabili e queste sono il risultato di segnali che le cellule si scambiano sistematicamente per un po’ di tempo. Si può dire che hanno “imparato”: repetita juvant non era quindi solo un modo di dire ma una corretta osservazione di un fenomeno biologico tipico degli animali evoluti.
Non è cambiato molto… anzi, è cambiato tutto
Immaginiamo di avere un ospite un po’ strano che arriva a casa nostra. È una persona del 1700. Qualunque cosa ci veda fare in casa non mancherà di stupirlo. La luce viene “accesa” con una levetta, non c’è più candela e stoppino, l’acqua esce da uno strano tubo, non si va più in cortile con il secchio, c’è una macchina che riesce a tenere freddi gli alimenti invece di portarli in cantina, c’è persino una scatola che ha sostituito il giullare che, ma solo nelle occasioni importanti, veniva invitato a cantare e a fare musica.
Se lo accompagniamo in strada il suo stupore continuerà. Per spostarsi la gente utilizza scatole con dei cavalli nascosti da qualche parte, a volte degli strani aggeggi con due ruote che vengono messi tra le gambe come una volta si faceva con il cavallo…In campagna vedrà raccolti che crescono rigogliosi pur senza che centinaia di contadini lavorino tutto il giorno.
Il mondo di oggi fa le cose in modo molto diverso rispetto a quello che faceva due secoli fa, mentre le cose che si facevano due secoli fa non erano molto diverse rispetto a quelle che si facevano mille o duemila anni fa.
C’è solo un posto dove potremmo portare questo nostro strano ospite e farlo sentire ancora nella sua epoca: la scuola. Rivedrebbe gli stessi banchi, la stessa lavagna con il professore da un lato e gli studenti dall’altro, uno insegna, gli altri imparano. Sì, è vero, alcune delle cose che vengono insegnate sono diverse ma il modo con cui si insegna è rimasto sostanzialmente uguale…
Abbiamo le interrogazioni programmate, non si usa più la bacchetta per stimolare studenti recalcitranti, non si da più del “voi” all’insegnante ma si continua a leggere e sottolineare il libro, a fare esercizi sul quaderno…
Eppure, abbiamo visto, intorno a noi è cambiato tutto e quello che sta succedendo è che aumenta la rapidità di questo cambiamento. Chi giovane non è più si ricorderà bene l’andare al mercatino dei libri usati per acquistare i libri di scuola dell’anno precedente pagandoli la metà. Oggi non si può più perché ogni anno c’è un nuovo libro.
La biblioteca di Alessandria era il centro delle conoscenze del mondo: 700.000 rotoli di papiro e pergamena contenevano tutto il sapere del mondo (occidentale).
Questi rotoli erano posti in scaffalature riprodotte nella figura a lato tramite un computer 1 sulla base delle descrizioni che ci sono arrivate. E se quegli scaffali erano arrivati a contenere 700.000 “libri 2” oggi ogni giorno vengono prodotti più di 1.000 nuovi libri “ufficiali 3“. Pensiamo anche che la produzione di libri oggi rappresenta neppure un quinto rispetto alla produzione di informazioni che vanno su Internet, meno di un trentesimo rispetto alla produzione di informazioni che avviene negli uffici ogni giorno. E se fa impressione pensare che ogni 3 giorni si producono informazioni equivalenti a quelle che erano contenute nella biblioteca di Alessandria forse fa ancora più impressione pensare che, secondo alcune stime, ogni tre anni raddoppiamo la conoscenza del mondo, cioè nei prossimi tre anni impareremo, complessivamente, un numero di cose pari a quelle che abbiamo imparato dalla nascita dell’uomo ad oggi.
Prima di passare a considerare come ciascuno di noi possa fare per imparare almeno parte delle informazioni che vengono generate attorno a noi, vale la pena di riflettere se avere tante informazioni sia un valore.
Borges aveva immaginato l’esistenza di una biblioteca enorme 4 in cui esistessero tutti i libri che erano stati stampati ma anche quelli in corso di stampa e tutti quelli che avrebbero potuto essere stampati da qui all’eternità. Da un punto di vista logico non è difficile immaginare un modo per produrre questa straordinaria biblioteca. È sufficiente fare un piccolo programma di stampa che generi tutte le possibili permutazioni delle lettere dell’alfabeto ed avremo pubblicato tutto ciò che è possibile pubblicare 5 (ed in tutte le lingue che utilizzano i caratteri del nostro alfabeto).
In un certo senso però questa enorme biblioteca esiste già oggi in quanto abbiamo già oggi a disposizione una enorme quantità di informazioni che pongono nuovi problemi, simili a quelli che Borges identifica nella sua biblioteca di Babele; di Babele appunto in quanto a dispetto dell’ordine la confusione regna sovrana.
Immaginiamo che un incendio distrugga una sala di questa biblioteca. Avremo subito una perdita enorme di conoscenza? No, perché esisteranno milioni di altri libri che differiscono da quelli bruciati solo per uno o due caratteri e probabilmente non ci accorgeremmo neppure della differenza. Visto da un altro punto di vista: come faccio a sapere se il libro che sto leggendo è proprio il libro che cercavo o magari uno che differisce da quello per solo un carattere? Si potrebbe sostenere che in fondo è irrilevante ma se quel carattere diverso fosse un numero “sbagliato” sul nostro conto in banca forse non sarebbe così irrilevante…
Sono molte le osservazioni che si possono fare sul valore della quantità di informazioni.
Uno dei punti importanti è la possibilità di scegliere ciò che serve nel momento in cui serve. E di imparare ciò che serve, a qui è ancora più complicato in quanto l’apprendimento è un investimento per il futuro: imparo non solo quello che mi serve oggi ma anche quello che potrebbe servirmi domani come conoscenza e come tecnica per acquisire la conoscenza 6.
In una società che cambia a ritmi velocissimi occorre essere aggiornati e continuare ad imparare. Quello che sa oggi un bambino di 10 anni è molto di più di quanto sapesse un vecchio saggio 100 o mille anni fa. Ma è molto meno di quanto saprà un bambino di 10 anni…tra dieci anni. Se i bambini hanno tempo per imparare, e lo fanno per mestiere, i grandi sono travolti da un quotidiano che non lascia spazi. Occorre allora trasformare il quotidiano e fare diventare molti momenti della giornata delle occasioni per imparare, aggiornarsi, migliorare. E senza stress. Parole come edutainment suonano strane e sembrano spesso sogni irrealistici. Nuove tecnologie stanno arrivando, però, per trasformarli, almeno in parte, in realtà. Vediamo.
Tecnologie per imparare
Ricordo che da ragazzo quando andavo a scuola e dovevo mandare a memoria poesie e date di battaglie fantasticavo di un futuro in cui si potesse attingere a questo tipo di informazioni da un chip collegato in qualche modo al cervello. Non entravo nei dettagli di come questo potesse essere realizzato e eventuali procedure cruente per l’impianto. Mi interessava sapere senza dover passare ore sui libri.
Ricercatori della università di Tokyo hanno fatto una dimostrazione che ha suscitato molte domande, anche di tipo etico, ma di cui qui non mi occupo in quanto non centrate sul tema.
La dimostrazione riguardava il collegamento di un microchip alle antenne di un coleottero che in questo modo poteva venire pilotato via radio. Durante la conferenza stampa è stato chiesto ad un giornalista di tracciare con un pennarello una linea su di un grande foglio bianco appoggiato alla scrivania e quindi un ricercatore ha posato il coleottero sul foglio. Ha quindi preso un joystick e via radio ha fatto camminare il coleottero sulla linea appena disegnata. Poi ha preso una scatola e l’ha messa come un ostacolo ad interrompere la linea e ha fatto ripartire il coleottero dall’inizio. Arrivato alla scatola il coleottero si è fermato e ha cominciato a “guardarsi attorno” fino a che ha trovato un sistema per aggirare la scatola e riprendere a percorrere la linea dall’altra parte.
Questa dimostrazione ha quindi evidenziato come sia possibile trasmettere al coleottero delle informazioni (sostituendosi a quelle che gli forniscono le antenne) ed anche che il cervello del coleottero integra queste informazioni che riceve con altre che gli permettono di decidere come far fronte agli imprevisti.
Analoghi esperimenti sono stati fatti con dei topi 7 e con delle persone che hanno perso la vista riuscendo a fornire loro una pur minima capacità di visione. Nella figura un recentissimo esperimento della Georgia Tech mirato a comprendere meglio i meccanismi biologici dell’apprendimento con due finalità. Da un lato permettere alle macchine di imparare e dall’altro restituire questa capacità a persone che per malattie o incidenti l’hanno persa. Il sistema in figura è un ibrido, chiamato Hybrot (hybrid robot), che utilizza 2000 cellule del cervello di un topo per comandare un robot (nella parte bassa della figura) a muoversi in un ambiente. Le cellule del topo sono contenute nel sistema in alto nella figura e sono monitorate tramite misuratori elettrici delle attività neuronali e microtelecamere in grado di osservare le alterazioni alle interconnessioni tra neuroni derivanti dall’apprendimento.
A livello cerebrale gli stimoli che portano ad una elaborazione del pensiero, alla concettualizzazione e memorizzazione, sono stimoli elettro-chimici che partono dai nostri sensi. È quindi possibile stimolare elettricamente il cervello “sostituendosi” ai nostri sensi. La cosa è tutt’altro che semplice ma è probabile che diventi realtà nei prossimi 10-20 anni. Avrebbe interesse utilizzare una tecnologia di questo genere per “imparare”?
Diminuirebbe il valore dell’apprendimento 8? Si potrebbe ipotizzare che in realtà l’apprendimento diventa superfluo nel momento in cui posso accedere istantaneamente a tutte le informazioni che possono servirmi in un certo istante? Alcune università stanno studiando un sistema che posto sugli occhiali permette di intercettare la faccia di una persona a cui stiamo avvicinandoci e di bisbigliare nell’orecchio il suo nome. Molte persone con l’avanzare dell’età hanno difficoltà a ricordare i nomi e questa potrebbe essere una soluzione…
Il libro si è evoluto in questi 5 millenni, in figura quello che è forse il proto-libro, la tavoletta di argilla utilizzata dai Sumeri che veniva incisa con una canna tagliata obliquamente per ricavarne una estremità appuntita che portava a delle incisioni sulla argilla a forma di cuneo. Cotta dal sole l’argilla si induriva e questo proto libro, ad oggi, è ancora la miglior tecnologia disponibile per tramandare nei millenni le informazioni. Molto più robusto del papiro, che a sua volta era più robusto della pergamena, e questa della carta….I CD di oggi, ultimo grido in fatto di memorizzazione delle informazioni hanno una vita inferiore ai cento anni. Li avessero utilizzati gli Assiri oggi non sapremmo più nulla di loro!
Se rimarchevole è la durata di una tavoletta di argilla le sue altre caratteristiche non sono molto piacevoli tanto è vero che è stata abbandonata circa 2.000 anni fa. Il libro che conosciamo oggi deriva prima dalla invenzione della carta in Cina e poi dalla invenzione di Gutenberg della stampa a caratteri mobili. Negli ultimi 500 anni non si sono più avute evoluzioni significative 9 e leggiamo oggi un libro così come lo leggevano i nostri bisavoli 10.
La tecnologia oggi offre una alternativa, i libri elettronici. Questi possono essere letti sullo schermo di un computer o di un palmare oppure su dei sistemi appositamente costruiti per la lettura di questi libri come quello in figura. Quello che cambia non è tanto il supporto (elettronico) o la capacità (è possibile memorizzare decine di migliaia di libri su questi sistemi) ma il modo con cui si interagisce con il libro e quindi anche il modo con cui si imparano le cose. Il libro elettronico infatti permette un approfondimento immediato dei concetti: basta “cliccare” su di un termine che non si conosce per avere una sua definizione oppure perché venga visualizzato un documento che approfondisce quell’argomento. Il libro può ricordarsi che cosa abbiamo letto e presentare le informazioni che si collegano a quanto già sappiamo fornendo più dettagli dove servono. Diventa quindi un libro personale che si adatta al singolo lettore. Gutenberg aveva dato inizio ad una rivoluzione passando dal libro come oggetto per pochi al libro per tutti. L’e-book può in prospettiva dare inizio ad un’altra rivoluzione facendo passare dal libro per tutti al libro per ciascuno.
La possibilità di creare più canali di comunicazione, aggiungendo al testo animazioni, filmati, suoni e voce, offre una possibilità di imparare molto maggiore, oltre a rendere l’attività più piacevole. Pensiamo a studiare la storia della musica su di un libro di carta oppure su un e-book (ben fatto…). Potremmo ascoltare i brani che vengono descritti, potremmo anche ascoltare interpretazioni diverse…e perché no potremmo anche provare a creare sul libro le nostre musiche in quel particolare stile musicale.
Anche uno studente di medicina può avere un enorme beneficio da questo tipo di libri. Vedere in un filmato gli organi che sta studiando oppure la loro immagine e ruotarla per vedere l’organo da vari punti di vista, sovrapporre gli effetti di una patologia…sono solo alcune delle possibilità offerte dal libro elettronico per migliorare l’apprendimento.
Una nuova tecnologia, l’inchiostro elettronico e-ink, promette di rendere ancora più semplici questi dispositivi conservando alcune delle caratteristiche del libro di carta come la flessibilità. E-ink è un foglio sottile di carta (può essere anche più sottile di un normale foglio di carta) che in realtà è formato da due strati di materiale plastico che racchiudono una matrice di microbolle. All’interno di ciascuna vi sono delle microsfere formate da pigmenti colorati che possono essere indirizzati ad aderire alla parte superiore della bolla (quella che si vede). L’addensamento più o meno grande fornisce la gradazione di colore, dal bianco al nero con vari grigi intermedi.
Immaginiamo di avere uno di questi fogli in mano. Il foglio è in grado di riconoscere la mano che lo sta tenendo e su questa base ci riconosce e ci presenterà automaticamente la pagina su cui avevamo interrotto la lettura l’ultima volta. Una semplice “sfogliata” con l’indice, così come faremmo con un libro di carta, fa avanzare o indietreggiare le pagine. Se poso il mio libro elettronico e mio figlio lo prende diventa “il suo” libro e vedrà le informazioni che gli interessano. Un libro, quindi, per tutta la famiglia.
Il libro elettronico ovviamente può catturare i nostri commenti, non dobbiamo quindi perdere l’abitudine a sottolineare o scrivere ai bordi. È anche in grado di organizzare i commenti tenendoli ad esempio separati a seconda di chi li fa. Può catturare commenti vocali, non solo quelli scritti. Può consentirci di comunicare con altri e condividere quella pagina e quei commenti.
E-ink, ed altre tecnologie, possono permettere di realizzare delle lavagne sulla scrivania, come quella nella fotografia.
Queste lavagne potrebbero avere una zona riservata in cui possiamo scrivere i nostri appunti e su cui possiamo incollare informazioni disponibili nella nostra lavagna (i libri di testo, i documenti dell’ufficio…) e anche quelle presenti in rete.
Un’altra zona è dedicata alla condivisione delle informazioni con persone che fanno parte del gruppo. Altri studenti e l’insegnante oppure altre persone del gruppo di lavoro nella azienda o in altre aziende che cooperano ad un progetto. Indipendentemente dalla distanza di ciascuno dei componenti del gruppo diventa possibile condividere informazioni in tutte le forme, compreso il suono. Infatti è possibile sovrapporre un foglio di materiale trasparente che funziona come un altoparlante. Via le casse dalla scrivania!
Le informazioni che avevamo nel nostro spazio privato possono essere condivise semplicemente spostandole, magari con il dito, nello spazio pubblico.
La terza zona è invece uno spazio pensato per comunicare con l’esterno (all’esterno quindi del gruppo). Immaginiamo di seguire una lezione di storia in cui l’insegnante parla degli antichi egizi. Nella nostra area privata avremo il materiale che l’insegnante ci ha suggerito di consultare e che possiamo, ciascuno per conto suo, annotare. Nella area comune possiamo via via condividere idee e schizzi di piramidi. Utilizziamo la terza area per collegarci con l’altopiano di Giza e vedere “dal vivo” una piramide. È come se avessimo una finestra che si apre a Giza 11. E potremo anche parlare con persone che casualmente si trovano a passare vicino alla nostra..finestra. È probabile che queste persone non siano italiani e non capiscano l’italiano. Niente paura. Un progetto di IBM promette di fornire entro il 2010 la possibilità di disporre di un traduttore automatico tra 28 lingue. Non molto rispetto agli oltre 6.000 idiomi che esistono al mondo ma più che sufficienti per aprire il nostro orizzonte di comunicazione 12.
Imparare diventa più coinvolgente ed anche più facile visto che si può disporre di migliaia di professori, compresi i turisti all’ombra della grande piramide.
Se i progressi sono notevoli per quanto riguarda la lavagna, non da meno lo sono quelli per il gessetto. In questo caso una penna elettronica, come quella in figura, che ha al suo interno una telecamera in grado di leggere quello che stiamo scrivendo. La penna è in grado di trasmettere le informazioni via radio ed un computer potrebbe analizzarle fornendo indicazioni ad esempio se l’operazione è giusta o meno. La penna infatti ha un piccolo led a due colori che può essere usato per avvertire lo studente che i conti “non tornano”.
È quanto accade quando si scrive al computer ed il correttore ortografico trova un errore di battitura. Immediatamente sottolinea la parola attirando la nostra attenzione. I correttori stanno diventando sempre più sofisticati e sono in grado di dirci anche quando la frase è un po’ troppo intorcinata e spesso di suggerirci una alternativa. Questi suggerimenti sono importanti per imparare. Se fare un errore di battitura in italiano è probabilmente la conseguenza di un tasto schiacciato male quando scriviamo in un’altra lingua l’errore è probabilmente dovuto ad una nostra incompleta padronanza del vocabolario. Avere una segnalazione immediata e un suggerimento su come correggere è facilita il graduale e continuo apprendimento.
Nelle imprese si possono realizzare dei sistemi di apprendimento continuo per diffondere e fare crescere le capacità di tutti. Se ad esempio sto scrivendo una relazione al computer una applicazione può monitorare quanto scrivo e conoscendo le informazioni presenti in azienda segnalarmi in una finestra sullo schermo che una certa informazione pertinente a quanto scrivo è disponibile in un dato documento, mi può far apparire i dati più aggiornati sulla vendita di un prodotto, semplicemente segnalare che un nostro collega sta lavorando ai temi che vengono trattati in quanto scrivo.
E che dire della possibilità di avere al nostro fianco nello studio un professore come Einstein? Immaginiamo di dover studiare la fisica della gravitazione. Chi meglio di Einstein potrebbe aiutarci? Sistemi come quelli sviluppati dalla Carnegie Mellon University ci consentono di fare proprio questo. Diventa possibile dialogare con un Einstein virtuale, virtuale nel senso che è stato ricreato elettronicamente ma reale in quanto dice cose che il vero Einstein aveva effettivamente detto nel corso della sua vita, e chiedergli di chiarificare dei nostri dubbi ed anche di raccontarci come gli sono venute certe idee…Il dialogo si evolve alla velocità del singolo studente adattandosi quindi alle esigenze del momento. Inoltre imparare diventa molto più coinvolgente e quindi più efficace. Essendo virtuale è possibile parlare con Einstein da qualunque luogo, in qualunque momento e ad quell’Einstein è possibile parlare a centinaia di studenti in contemporanea, rivolgendo a ciascuno tutta la sua attenzione.
È come aver un professore tutto per noi. Questa possibilità è anche offerta dalle tecnologie degli assistenti, o come dicono gli inglesi “dei maggiordomi” (digital butler).
In questo caso l’assistente osserva continuamente i nostri progressi nell’apprendimento e suggerisce nuovi esercizi, ripassi, approfondimenti sulla base delle nostre conoscenze. Non solo. Se ci viene dato un compito, conoscendo le nostre capacità, può suggerire di fare prima alcuni tipi di esercizi che ci preparano ad affrontare meglio il problema sottomano. Questi assistenti non solo ci aiutano ad imparare ma imparano da noi come ci riesce più facile apprendere nuove cose e quindi si fanno in quattro per presentarcele in quel modo.
L’apprendimento, infatti, può seguire molte strade. È un modo tutto sommato recente quello dello studio sui libri. Dicevo all’inizio degli aborigeni australiani che non avendo conosciuto la scrittura hanno trovato un modo di imparare attraverso il canto.
Per molto tempo l’apprendimento passava attraverso la manualità. Persino i pittori apprendevano l’arte iniziando a fare intonaci e colori come illustrato in questa riproduzione di una bottega del rinascimento.
Sentendo con le mani le miscele di pigmenti il pittore componeva la pittura e solo dopo essere completamente soddisfatto passava al pennello. Spesso guardando ammirati i capolavori di Giotto ci si scorda della tecnologia che questo riusciva a dominare. I colori che noi diamo quando pitturiamo (imbianchiamo) il salotto dopo qualche anno iniziano a sbiadire, in alcuni punti il muro si scrosta…invece nella chiesa di Assisi vediamo ancora i colori usati da Giotto mentre alcuni usati da altri artisti sono molto sbiaditi. Non era solo arte sublime, era anche alta tecnologia, ed era una tecnologia appresa con il tatto.
Non sono poche le cose che richiedono di sviluppare, e imparare, capacità tattili, motorie…Queste si possono descrivere sui libri ma il toccare con mano è completamente un’altra cosa.
Pensiamo ad esempio ad una visita medica. Si può descrivere a parole come si presenta al tatto un fegato colpito dalla cirrosi o dall’epatite ma per quante pagine si leggano queste non riusciranno a dare la sensazione reale, che in fondo è soggettiva. La tecnologia delle interfacce aptiche offre la possibilità di ricreare sensazioni tattili (e anche di temperatura e accelerazione) tramite periferiche adattate alle esigenze specifiche. Non esiste una periferica universale (e probabilmente non esisterà per parecchi decenni ancora 13). Nella foto a lato un esempio di periferica che ricrea sensazioni tattili.
Questo tipo di periferiche viene utilizzato per imparare in modo più semplice una varietà di cose. Ad esempio a Stanford questa viene utilizzata per insegnare ai futuri chirurghi come effettuare operazioni. Lo studente impugna il bisturi che costituisce il punto terminale della periferica e vede sul video l’immagine dell’area da operare. Inizia l’incisione e la sua mano percepisce il tessuto “reale” quindi con sensazioni diverse a seconda del tessuto che il bisturi sta incidendo ed anche in dipendenza dalla presenza o meno di una patologia. Un rene policistico viene percepito diversamente al taglio da un rene normale, così come un tessuto canceroso rispetto al tessuto sano. La capacità di ricreare sensazioni reali va anche oltre. La periferica può infatti essere collegata ad un sistema in grado di catturare le forze che agiscono sul bisturi che un chirurgo sta utilizzando in una operazione e quindi queste possono essere ricreate a distanza. Lo studente può quindi seguire con la sua mano quella del chirurgo che in quel momento sta operando. E può anche “ripassare” quelle sensazioni centinaia di volte visto che queste possono essere memorizzate e riutilizzate a piacere. Non solo. Lo studente potrà effettuare lui stesso quella operazione (sullo schermo) e ricevere indicazioni sensoriali dal sistema che lo aiutano ad imparare ancora meglio.
Ricordate l’O di Giotto 14? Una impresa impossibile per tutti noi, ma incredibilmente una cosa che tramite una interfaccia aptica possiamo imparare a fare in una decina di minuti. Infatti possiamo impugnare la matita virtuale e disegnare un cerchio su un foglio di carta. L’interfaccia farà resistenza ogni volta che la nostra mano devierà dalla circonferenza obbligandoci a mantenere la giusta curvatura. Dopo un po’ inizieremo ad accorgerci che l’interfaccia ci correggerà sempre più di rado e dopo circa dieci minuti i nostri gangli spinali avranno imparato a controllare perfettamente il movimento circolare della mano. A quel punto anche impugnando una penna vera saremo in grado di disegnare l’O di Giotto.
Non solo gli studenti utilizzano queste periferiche per imparare ad operare. Anche i chirurghi stanno iniziando ad utilizzarle per comandare dei robot che duplicano il movimento delle loro mani (ma togliendo anche un impercettibile tremore o scalando il movimento consentendo, ad esempio, di effettuare dei tagli di qualche millesimo di millimetro a fronte di un movimento della mano di un millimetro, cosa essenziale in operazioni sulla retina o al cervello. Inoltre i chirurghi possono imparare a fare una specifica operazione su di un paziente portandosi il paziente all’interno dello schermo tramite la sua digitalizzazione con esami come la TAC e la PET 15. L’operazione virtuale viene effettuata incidendo, asportando, cauterizzando e suturando tramite la interfaccia aptica e vedendo sullo schermo i risultati. Se una manovra “non convince” si prende la gomma e la si rifà. I punti più difficili dell’intervento possono essere ripetuti fino a quando non si acquisisce una completa padronanza. Con questo sistema operazioni complicate possono essere effettuate anche in metà del tempo precedentemente richiesto. Inoltre un chirurgo può chiedere assistenza ad un collega magari all’altra parte del mondo per effettuare un certo passo dell’operazione. Invia il file contenente quanto lui ha fatto fino ad un certo punto ed il suo collega andrà avanti restituendo poi il file. A questo punto il chirurgo potrà vedere quanto e come l’altro ha fatto e provare lui stesso, sotto la guida virtuale del collega a fare quella manovra operatoria.
In questo esempio, ma ce ne sono molti altri in cui le interfacce aptiche costituiscono un importante aiuto all’apprendimento, ho introdotto anche lo schermo come elemento che aiuta. In effetti apprendere diventa più facile quando possiamo sfruttare più canali informativi in contemporanea. Schermi e applicazioni possono oggi offrire delle rappresentazioni 2D (dimensioni) ed anche 3D che aiutano a capire come è fatto un oggetto e quindi a memorizzare in modo più rapido.
Oggetti in 2D possono essere ruotati sullo schermo per farci apprezzare anche l’altra dimensione, possono essere “sezionati” in modo da farci vedere l’interno.
Nuove tecnologie consentono inoltre sempre più efficaci rappresentazioni tridimensionali come quella della figura a lato.
In questo caso è riprodotta in dimensioni reali un’automobile ed è possibile attribuire alle diverse superfici vari gradi di trasparenza consentendo quindi di osservare anche quanto “sta sotto”. La riproduzione è proiettata ed è quindi possibile “girarci attorno” elemento questo molto importante per facilitare l’apprendimento spaziale al nostro cervello. Si pensi solo al fatto che bambini tetraplegici non acquisiscono le capacità matematiche normali dei bambini in quanto manca loro la possibilità di muoversi e sperimentare lo spazio.
Le tecnologie non solo permettono di apprendere in modo più facile, e rapido: consentono di facilitare l’apprendimento a chi ha delle disabilità adattando ritmi e presentazioni alle specifiche esigenze del portatore di handicap. Nella figura a lato uno zainetto prodotto dalla Xybernaut per ragazzi in età scolare. È simile all’esterno agli zainetti di tanti ragazzi ma all’interno ha una varietà di sistemi che facilitano l’apprendimento a chi ha problemi di vario genere. Non esiste lo zainetto “per tutti”. Ciascuno viene specializzato per rispondere al meglio alle esigenze di quel particolare ragazzo. Chi ha difficoltà a ricordare le cose avrà modo di ascoltare e riascoltare diverse volte al giorno la lezione, chi ha difficoltà di attenzione potrà essere stimolato dal sistema che è in grado di accorgersi quando l’attenzione cala e cambia immediatamente il modo di presentazione per riagganciare l’attenzione del ragazzo, chi ha problemi a leggere può sentire la lezione…e così via.
Inoltre il sistema assicura un apprendimento graduale, ogni giorno un piccolo passo avanti.
Alcuni sistemi sono in grado di tradurre il movimento delle mani utilizzato dai muti per esprimersi in voce in modo da permettere la comunicazione anche con chi, la maggioranza, non conosce questo tipo di comunicazione.
L’apprendimento è facilitato dal “divertimento”: quando ci si diverte la nostra attenzione è molto più focalizzata, inoltre lo stare attenti non ci pesa. Ancora: divertirsi è una forma di partecipazione attiva (anche al cinema quando ci si diverte in qualche misura ci si immedesima in quanto accade). Tutti elementi che favoriscono l’apprendimento. Si è anche inventata una nuova parola per descrivere situazioni e strumenti che associano il divertimento all’imparare: edutainment.
Ragazzi che trovano noiosa la visita a musei o che quando sono in una nuova città tendono a guardare i negozi piuttosto che l’architettura dei palazzi possono essere indotti ad apprezzare gli aspetti culturali se questi sono proposti in un modo accattivante. Un esempio è lo sviluppo di un gioco educativo che si svolge a Venezia 16, di cui a lato una “schermata”, in cui squadre di giocatori armate di un PDA che si collega alla rete di telecomunicazioni effettuano una specie di caccia al tesoro a tappe. Ciascuna tappa porta in una zona di Venezia e richiede l’effettuazione di una serie di prove, da test di attenzione ai dettagli alla ricostruzione di un puzzle di un quadro ad una ricerca sul dialetto locale. I ragazzi possono comunicare tra loro e scambiarsi indizi verificando alo stesso tempo “la classifica”. Le indicazioni derivanti dalla sperimentazione enfatizzano come l’apprendimento sia piacevole ed efficace, specialmente per quei ragazzi che normalmente non sono interessati all’arte e alla cultura storica.
L’automobile diventa essa stessa un luogo in cui l’apprendimento è facilitato dallo spostamento continuo (e questo se ben gestito può stimolare l’attenzione) ed al tempo stesso la possibilità di imparare rende più piacevole il viaggio.
Immaginiamo di essere diretti a Rimini per le vacanze estive con i figli sul sedile posteriore. Un sistema di comunicazione e localizzazione agganciato all’ambiente auto può consentire di far apparire sugli schermi dei sedili posteriori un breve videoclip in cui si attira l’attenzione dei ragazzi sul fatto che di li a poco si attraverserà il Rubicone con immagini dell’esercito di Giulio Cesare e del fatidico dado. Si invitano quindi i ragazzi a guardare fuori dal finestrino, la realtà reale, per individuare il Rubicone e premere un pulsante appena lo vedono…Poi sarà la volta di un campanile particolare, poi di una cava…tanti piccoli elementi in grado di attirare l’attenzione e di legare la vista di un posto a delle informazioni.
Il futuro sarà quindi un posto in cui apprendere sarà facilitato da diverse tecnologie, potremo dosare l’apprendimento sulla base dei nostri ritmi e possibilità, sfruttando in modo automatico tempi morti o attività che si prestano a facilitare l’apprendimento.
Certo la figura dell’insegnante non è in via di sparizione, anzi. Il bravo insegnante sarà tale anche in assenza di tecnologie ma quello ancora più bravo saprà aggiungere a questo anche un mix di nuovi stimoli che le tecnologie renderanno sempre più disponibili, a costi bassi, ovunque e soprattutto …per tutti.
Note
1 http://www.unesco.org/webworld/alexandria_new/vrml_virtual_visit.html
2 È improprio paragonare un rotolo ad un libro in termini di quantità di informazioni. Un rotolo al massimo poteva raggiungere 5 metri di lunghezza, equivalenti a meno di una ventina di pagine (tenendo conto che il rotolo era più largo di una nostra pagina ma essendo scritto a mano conteneva meno caratteri di una riga di oggi). Probabilmente i 700.000 rotoli possono corrispondere a meno di 100.000 libri di oggi, la produzione editoriale di 3 mesi.
3 con un numero ISBN. Solo in Italia la produzione supera i 40.000 libri all’anno.
4 La biblioteca di Babele, Borges, raccolta Fictiones
5 Il problema pratico è che le combinazioni possibili superano di gran lunga il numero di atomi presenti nell’universo per cui anche ipotizzando di poter scrivere tutto un libro su di un solo atomo finiremmo gli atomi dell’universo ben prima di aver scritto tutti i libri possibili, anzi saremmo appena all’inizio.
6 Non si impara l’aritmetica perché poi si dovrà fare quella particolare somma ma per imparare a fare le somme…
7 In questo caso la ricerca è stata svolta dall’università di New York e il topo era “influenzato” trasmettendogli segnali che normalmente gli arrivano dalle vibrisse (baffi).
8 Era la domanda che si ponevano alcuni quando venne “inventata” la scrittura…
9 È migliorata, e di molto, la qualità della stampa, abbiamo libri con fotografie a colori impensabili 100 anni fa, i sistemi di produzione hanno permesso un abbattimento dei costi..
10 Anche se di bisavoli in grado di leggere ce ne erano proprio pochi. L’analfabetismo è stato una realtà fino a quaranta anni fa in Italia e lo è ancora in alcune parti del mondo.
11 Esistono decine di migliaia di web cam collegate ad internet (ad esempio: http://) e il numero continua a crescere. Alcune di queste oltre alla immagine offrono anche la possibilità di parlare e ascoltare.
12 Certo qualcuno potrebbe obiettare che un tale traduttore scoraggi ad imparare nuove lingue…o forse può aiutare ad impararle visto che potremmo utilizzarlo anche come supporto allo studio. Già oggi se si ha un dubbio su come si pronuncia una parola in inglese si può andare su www.webster.com e farsela pronunciare….
13 I progressi della bio-elettronica consentiranno di collegare in modo sempre più efficace dei computer ai nostri sensi ed al cervello. Tuttavia le sensazioni tattili (e di accelerazione…) sono estremamente più complesse da ricreare rispetto, ad esempio, alla vista. Infatti mentre nel caso della vista un interfacciamento a livello retinico è teoricamente in grado di ricreare una sensazione completa nel caso di una sensazione tattile occorre collegare molte terminazioni nervose distribuite su di un’area potenzialmente grande ed anche terminazioni presenti in profondità per apprezzare la durezza e consistenza di un materiale. Basta pensare a quanto risulta ridotta la percezione tattile se sfioriamo solo una superficie rispetto a “toccarla”. Ancora più complesso il ricreare sensazioni di accelerazione dove occorrerebbe collegarsi a terminazioni nervose presenti nelle articolazioni. Interfacciare direttamente il cervello non risolve il problema in quanto la percezione delle sensazioni coinvolge diverse aree del cervello stimolate in parallelo da vari nervi.
14 Si dice che venne chiesto a Giotto di preparare un quadro per poter valutare quanto fosse bravo in un “concorso” per selezionare il pittore che avrebbe poi fatto dei quadri per il papa. Quando venne il messo a chiedere il quadro Giotto prese una tela bianca e in un solo movimento disegno un cerchio perfetto dicendo: “dite al vostro padrone come è stato fatto”.
15 La TAC è in grado di ricreare le strutture interne, la posizione di organi e vasi, la PET fornisce le indicazioni di consistenza dei tessuti che permettono di ricreare le sensazioni tattili.
16 Frutto di una collaborazione tra TILAB e Università di Genova