Un Tribunale inglese ha condannato, nel novembre dello scorso anno, un cittadino francese di 29 anni, Stéphane Perrin, residente a Londra, a 30 mesi di prigione – quasi il massimo della pena – per violazione dell’Obscene Publication Act.
Stéphane Perrin, infatti, titolare di una start up, ospitava sul suo server Internet, con sede negli Stati Uniti, dei siti pornografici creati ad Amsterdam o a Parigi e contenti immagini ritenute oscene dai giudici inglesi.
Proprio il fatto che la società Metropole News Group avesse la sede a New York e si occupasse dei siti pornografici attraverso un server situato a Phoenix, in Arizona, è stato l’elemento principale utilizzato dai legali dell’accusato nelle loro argomentazioni difensive.
Secondo la giustizia inglese, tuttavia, la localizzazione della società non ha nessuna importanza: nel momento in cui il materiale incriminato – vale a dire le immagini a contenuto sessuale, anche a carattere omossessuale, considerate dalla polizia lesive della pubblica moralità – è stato scaricato dagli ispettori, è diventato una pubblicazione locale.
Internet, pertanto, risulta soggetto alle stesse regole che valgono per gli altri supporti. Quello che è illegale off line lo rimane anche una volta che sia pubblicato on line.
Qualche tempo fa, il medesimo Tribunale aveva condannato per gli stessi fatti “un barone del porno”, Graham Waddon, ma gli aveva inflitto una pena meno severa, 18 mesi di reclusione (pena che però era stata sospesa per i suoi problemi di salute).
Finchè coloro che sono considerati responsabili dei siti incriminati vivono all’estero,le autorità non possono fare nulla, ma se si trovano sul territorio britannico, è possibile procedere all’arresto.
Al fine di tutelarsi nei confronti della giustizia, i professionisti del Web hanno creato perciò una struttura di autoregolazione (Internet Word Foundation), sul modello del Brithish Board of Classification che censura i prodotti cinematografici.
Attualmente Stéphane Perrin, che è stato condannato come responsabile dei siti, ha iniziato uno sciopero della fame e ha ricevuto il sostegno di numerose associazioni che si battono contro la censura, per i diritti degli omosessuali (Out Rage), per i diritto umani (Liberty) e per la tutela dei diritti degli internauti (Cyber Rights).
Stéphane Perrin ha dichiarato, inoltre, che, dal momento che la sua compagnia ha la propria sede negli Stati Uniti, egli rifiuta di chiudere un sito Web o di modificarne il contenuto senza un ordine della giustizia americana, anche in considerazione del fatto che tra i 50.000 siti ospitati dalla società, di cui alcuni a carattere pornografico, non ce n’è nessuno che contenga messaggi riguardanti la pedofilia, la droga, i paradisi off-shore o gli hackers.