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Il video consuma troppa banda: repressione o tassazione?

30 Ottobre 2008

Il video consuma troppa banda: repressione o tassazione?

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Se Internet è il sistema vascocircolatorio della nostra società, il video ne potrebbe essere il colesterolo. Si parla del 30% dell'intero traffico consumer di Internet nel 2008. Un conto salato che nessuno sembra voler pagare, aprendo scenari non sempre auspicabili

Se Internet è il sistema vascocircolatorio della nostra società, il video ne potrebbe essere il colesterolo: questo è il senso dell’allarme lanciato da autorevoli fonti come IDC o Cisco Systems. E non un colesterolo buono ma quello del tipo cattivo, che fa le placche nelle arterie e causa infarti, ictus e gomito del portinaio. L’allarme ha un certo senso: è incontrovertibile che uno streaming video occupi molta più banda di un flusso di dati che video non è – in un contesto in cui i siti web diventano sempre più pesanti e ricchi, in cui si comunica molto in VoiP e così via.

Una crescita di carico della Rete, dunque; in cui il video (includendo Tv streaming e video comunicazioni) viene indicato come un fattore tanto pesante da poter rappresentare più di un 30% del traffico (consumer) di Internet in questo 2008. E fin qui uno ce la potrebbe anche fare, non fosse per i tassi di crescita molto robusti di questo tipo di traffico – tanto prolifico da arrivare nel 2012 ad un volume di dati complessivo pari a 400 volte la capacità del backbone Internet che gli Stati uniti avevano nel 2000. Come a dire, un carico di traffico pazzesco.

Oltre Youtube e Youporn, arrivano a manetta operazioni televisive come quella di Hulu, che trasmette episodi integrali di telefilm CBS (per ora con un portafoglio alquanto limitato) e poi tutte le internet Tv e simili, affamate di utenti e mangiatrici di banda.

E i soldi per l’infrastruttura, chi ce li mette?

Ora, in nuovo scenario macroeconomico che come certo sappiamo non è favorevolissimo agli investimenti, in una situazione italiana (ma non siamo i soli) di ritardo delle infrastrutture, c’è da domandarsi se e quando (e in fondo perché) gli operatori dovrebbero investire cospicue cifre di denaro per effettuare upgrade dei sistemi e della banda disponibile allo scopo di permetterci di godere gratuitamente di YouTube senza guadagnarci nulla in cambio. E c’è già chi propone, come certi operatori statunitensi, di farsi coprire i costi dall’advertising: non nel modello classico di inserimento di pubblicità, ma chiedendo alle aziende che usano video streaming per la loro pubblicità di pagarne i costi, devolvendo magari un cospicuo obolo all’Isp preferito.

Entrano poi nell’arena gli operatori di Tv via cavo (che negli Stati Uniti operano spesso anche come Isp) che hanno una fifa boia che la Tv via Internet (o Internet in generale) li porti alla rovina, offrendo contenuti molto più interessanti di quei programmi televisivi che un numero sempre crescente di americani sembra voler snobbare. Pensa quindi l’operatore via cavo, che non vede perché dovrebbe facilitare la vita ad un pericoloso nemico, “che almeno pagasse un conto più salato mentre tenta di uccidermi…”.

D’altra parte, coi miliardi di biglietti verdi che Google ha (ad esempio) cacciato per comprare YouTube, l’azienda dalle tante “o” ha tutto l’interesse e la necessità di far crescere il più possibile la fruizione dei video contenuti, cosa che sarebbe messa in forte discussione se la Rete si saturasse (eventualità peraltro scartata dagli analisti); e d’altra parte se Google iniziasse a pagare un dazio a qualche operatore, poi tutto il mondo, tutta la filiera si affretterebbe a chiedere a Google, Yahoo, Microsoft e al mio blog un saporito pedaggio per poter percorrere il proprio tratto di autostrada informatica.

Facciamo pagare il conto all’utente?

Una soluzione possibile appare una riduzione del traffico poco remunerativo sulla rete attraverso azioni sul’end user, aumentando le tariffe, eliminando le flat o inventando nuove fasce tariffarie legate al tetto di download giornaliero e così via, portando dunque il costo dell’upgrade delle infrastrutture sull’utente finale (che manco le intasca lui, le revenue pubblicitarie). Esiste in realtà, per risolvere il problema del traffico, una soluzione più semplice e più risolutiva. Se il video fa un bel po’ di volume, altrettanto o più pare ne faccia il download in ambito P2P; audio, video, software che trovano la via dell’aggiramento del pagamento. In quest’area una netta e dura iniziativa porterebbe molti vantaggi a un sacco di attori; ai proprietari di diritti che vedrebbero vendicata la propria proprietà intellettuale (quanto questo poi riporterebbe in su i fatturati, lo sappiamo, è tutto da vedere). Avvantaggerebbe i gestori di rete che vedrebbero meno traffico aggirarsi sui loro cavi e quindi la possibilità di rimandare investimenti per l’upgrade; e gli Stati che con pesanti sanzioni economiche ai piratoni (nel caso del download illegale di materiale altrimenti posto in vendita si configurerebbe pure l’evasione fiscale:se rubo invece di comprare, frodo anche lo stato) potrebbero rimpinguare i bilanci, come hanno fatto certi comuni con certi semafori.

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