Poco prima di If Book Then, eccezionale giornata riepilogata da Ivan Rachieli, si è conclusa a Palazzo Giureconsulti di Milano la Mostra internazionale dei libri antichi e di pregio, quasi in antitesi all’avanzata del digitale.
Al bancone di ingresso, destinato alle riviste di settore, compariva una testata in edizione digitale, su relativo iPad. Altri quattro iPad avvistati a uso personale degli espositori, ma è (per ora) un’altra questione.
Delle tante meraviglie vedute e vendute, a prezzi (almeno quelli esposti) tra i dieci e i cinquantacinquemila euro, mi ha colpito la piccola storia di un manoscritto dannunziano, che riepilogo a memoria:
D’Annunzio chiede a un mecenate di investire duecentocinquantamila lire nella casa editrice fondata da lui e un amico. Il mecenate parla con l’amico e, non convinto, gli risponde che donerà volentieri cinquantamila lire in cambio di una poesia autografa. Il Vate replica che, se si parla di una sua poesia, manca uno zero. Il mecenate replica inviando cinquantamila lire più un crocifisso di epoca giottesca, con un messaggio allegato: la cifra non corrisponde a un controvalore, bensì intende liberare il poeta dal rischio di sentire un qualsivoglia debito futuro nei confronti del mecenate.
Il Principe di Montenevoso – questo lo ricordo testualmente – capisce l’antifona e completa senza altre obiezioni la transazione, con la spedizione del manoscritto che cominciava così una centenaria marcia verso la mostra dei libri antichi e di pregio.
Un tempo la narrazione acquistava un valore, anche monetario, come somma di numerose componenti. Certo il testo, l’autore, ma poi la firma, il manoscritto, l’edizione unica o limitata, la tipografia, la copertina, la rilegatura, la sua storia e via dicendo.
La storia del libro è stata forse una progressiva eliminazione delle componenti attorno alla narrazione. Via il manoscritto, via la firma, la replicabilità illimitata al posto della tiratura definita, il servirsi direttamente invece che conferire con un libraio di fiducia. Solo la tipografia sembra timidamente riaffacciarsi sotto forma di CSS, dopo un periodo buio di messa al bando per via di tecnologie troppo rozze da contemplarla. L’autore potrebbe scomparire perfino lui, o cambiare fino all’irriconoscibilità in mezzo alle storie collettive, le libere aggregazioni di contenuto, la creatività da community.
È un’idea che mi piace, il valore della narrativa che finisce per corrispondere esattamente a quello della narrazione.
Ho solo una perplessità, leggendo da If Book Then di libri linkati ad altri libri, dati e metadati a uso marketing, trasformazione in fornitori di servizi, piattaforme social. Attenzione a diventare il Web dei libri. Ce n’è già uno di Web, fatto esattamente così. Crearne un altro è perdente.
Certo appropriarsi della tecnologia, imparare a misurare il mercato e mettersi a dialogare con il pubblico, subito, sono imperativi per chi riafferma con orgoglio e capacità la propria vocazione editoriale.
Prima di tutto questo, tuttavia, gli editori devono (continuare a) dare vita a grandi narrazioni. È lì che sta il (vero) valore.