Che cosa ci facevano 50 bizzarri individui con fascia tricolore rinchiusi in una location molto chic nel centro di Bologna il 17 luglio scorso? Si trattava della prima (autoproclamata) Conferenza dei Sindaci di Foursquare, il social game che attira la maggior parte dell’interesse dei media e delle aziende da qualche mese a questa parte. L’evento aveva l’obiettivo di riunire e testimoniare la presenza, anche in Italia, di un coeso gruppo di sostenitori e fan dello strumento, al momento tutti o quasi early adopter, ma caratterizzato da una crescita tumultuosa in fatto di nuovi utenti e di attività svolta, al passo di 25.000 nuovi utilizzatori al giorno.
Sindaci
Che cosa significa essere “sindaci”? Facciamo un passo indietro: il gioco consiste principalmente nel fare check-in, cioè dichiarare – attraverso uno smartphone munito di Gps – di essere in un certo luogo in un certo istante e comunicarlo ai propri amici di gioco ed eventualmente anche ai propri contatti di Facebook e di Twitter. I sindaci, nel ruolo definito dal gioco, non sono nient’altro che coloro che hanno più check-in in un luogo definito. Assieme al check-in, l’utente può (ma non è obbligato a) lasciare un tip per gli altri “avventori” che verranno, consigliando (o sconsigliando) l’esperienza di quell’esercizio o luogo turistico, o qualsiasi altra cosa abbia una coordinata geografica (oppure non esista nemmeno: io per esempio sono Sindaco de Il Nulla, una località inventata da me nel bel mezzo della pianura bolognese). I più attivi nel segnalare venue o nel fare check-in negli stessi, si guadagnano badge virtuali, una migliore posizione in classifica e, appunto, il titolo di sindaco.
«E quindi?», ha detto Paolo Cevoli intervenendo a sorpresa alla Conferenza. In effetti, non c’è al momento quasi nulla di concreto da vincere nel gioco. La semplice competizione virtuale in salsa sociale, sia pure aiutata da un attento e continuo supporto di PR da parte dei venture capital che sostengono Foursquare (con iniezione recente di 20 milioni di dollari), ha fatto sì che questo gioco si sia trasformato nella startup dell’anno, tanto da finire sulla copertina di Wired inglese. E che il numero di luoghi (detti venue) si sia rapidamente avvicinato a quello vantato fino a poco tempo fa solo dalle varie tipologie di pagine gialle, con in più il vantaggio di avere “mappe” molto più aggiornate e personalizzate, e soprattutto inserite direttamente dagli utenti, senza costi.
Clienti sulla mappa
Vista dalla prospettiva opposta, l’applicazione realizza anche un sogno differente, quello delle aziende: la possibilità concreta di segmentare il proprio target anche geograficamente, non sulla base passiva di teorici domicili postali, ma sulla concretissima e agognata presenza, in un determinato istante del cliente, in un determinato Point Of Sale. Pensate a qualcosa che digitalizza e multimedializza la vecchia e collaudata pratica tipica dell’industria del retail, quella dei coupon di sconto, che la somma con il contatto diretto e (pressoché) verificabile del cliente nel punto vendita e la moltiplica “viralmente” per il numero di contatti di ogni soggetto che partecipa al gioco. Un uovo di colombo digitale covato dalla gallina delle uova d’oro, o quasi, limitato in pratica solo dalla fantasia creativa del titolare della venue, sia esso piccolo bar di paese, grande multinazionale del caffè, azienda di promozione turistica.
La visione di un social network composto da utenti pronti a combattere per badge, titoli, sconti e facilitazioni d’acquisto, scatenando un inferno di passaparola digitale, eccita il mondo del marketing in un gioco teoricamente a somma maggiore di zero, in cui gli utenti guadagnano dalla loro fedeltà, o semplicemente dalla loro presenza, sconti e regali, e le aziende ricavano con un minimo investimento la diffusione del proprio brand. Tutto in discesa, quindi, il futuro di Foursquare? Anche sorvolando sulle motivazioni contrapposte e aprioristiche di chi per ogni startup in rapida crescita tira fuori lo spettro di Second Life, e di chi le ribatte ricordando invariabilmente che all’inizio anche di Facebook si diceva che «non sarebbe durato», varie note di attenzione sono state citate durante la conferenza di: l’estrema brandizzabilità del principale concorrente Gowalla, che regala addirittura pins virtuali ai fan delle marche, che se le possono poi scambiare come figurine, la difficoltà di portare le modalità di game al di fuori degli early adopter, le criticità di una gestione della privacy che va a toccare la localizzazione stessa della persona e dei propri percorsi quotidiani, la possibilità che quando il gioco si farà davvero importante fenomeni come spam, infiltrazioni, spoofing della vera localizzazione, e operazioni poco etiche, possano inquinare il libero comune di Foursquare.
Orecchio distribuito
Da un altro punto di vista, altre presentazioni si sono concentrate sulle possibili funzioni di Foursquare come orecchio distribuito dell’azienda sul territorio, per migliorare il prodotto, conversare con i propri clienti in modo diretto: accettare suggerimenti, critiche e avere segnalazioni ‘in diretta’ di malfunzionamenti, che normalmente seguono inefficienti e burocratizzate trafile di customer care management. L’altro grande interrogativo riguarda la reazione dei concorrenti indiretti, molto più grandi e potenti, al momento: a partire da Google (che ha visto sfumare Latitude, ma conta su di un uso delle mappe quasi monopolistico), da Facebook (che possiede i veri social graph degli utenti e della cui geolocalizzazione si parla da tempo), di Twitter (che ha lanciato da un po’ la geolocalizzazione dei tweet), fino ad arrivare ai network incentrati attorno alle recensioni (Yelp, Tripadvisor) che hanno dalla loro una quantità ben superiore di recensioni (e una migliore utilità pratica e strumenti specializzati per scegliere ristoranti e vacanze) rispetto agli ancora (relativamente) rari tip di Foursquare.
Tutti questi potrebbero, almeno in teoria, copiare il meccanismo competitivo che ha fatto la fortuna del gioco. Ma per il momento i sindaci presenti a Bologna si sono accontentati, in un rito collettivo, di ottenere il primo badge Swarm italiano, assegnato ai partecipanti a check-in collettivi di almeno 50 persone, in un unico luogo, in un arco di tempo ristretto. Anche io ora ho un distintivo con le api da far vedere ai miei “cittadini”, che (prevedo) prima o poi si chiederanno se il sindaco non debba essere il migliore, anziché il più presente e pressante.