Se ci chiedessero a bruciapelo quale è il media pubblicitario più innovativo, molto probabilmente la nostra mente partirebbe in una vorticosa rassegna delle tecnologie più avanzate, delle connessioni più wireless, delle evoluzioni creative delle menti più progressive, delle frontiere artistico-comunicazionali delle metropoli più in voga.
Ammettiamolo, siamo un po’ tutti technology-oriented, qualcuno customer-driven e generalmente affetti da tunnel vision.
Andiamo tutti di fretta, quindi pensiamo che il media efficace e davvero innovativo debba essere un media rapido, immediato, multimediale, tecnologico.
Dato che, però, una gran parte della popolazione umana considera ancora elettricità e telefono delle tecnologie fuori della propria portata, forse a livello globale (o non-globale, se vi piace di più) le nostre elucubrazioni elettroniche hanno una validità universalmente limitata.
Un target è un target, ovunque
Non va dimenticato che, anche se non si ha una borchia telefonica a portata di mano, si resta comunque un target.
Un mercato potenziale per aziende (spesso micro aziende locali) che hanno qualcosa da venderci e che cercano quindi mezzi idonei per costruire awareness, equity e perception… ops, detto in termini meno primomondisti, farsi conoscere e convincerci della bontà dei loro prodotti.
Un’ulteriore riflessione da fare sta nel fatto che, lo sappiamo, dal punto di vista pubblicitario i nostri media sono troppo veloci. Un 30 secondi televisivo si brucia subito, lo dice la parola stessa. Un’affissione pubblicitaria passa e va mentre sfrecciamo sulle nostre asfaltate e fluide vie di comunicazione.
Un media lento, a maggiore persistenza, è per molti product, brand e marketing manager un sogno proibito, che nemmeno la mitica Emmanuelle dei bei tempi che furono, diva del cinema erotico, ci si può paragonare.
New Media made in India
La New Wave dei New Media (scusate, parlo così per essere certo di essere capito in un paese progredito come il nostro) ci arriva allora dall’India.
Un paese dalle sorprendenti contraddizioni, una nazione da un miliardo di persone con un’età media sui 24 anni. Una nazione dove convivono un numero infinito di nuclei familiari che vivono sui marciapiedi, sotto tende di fortuna, e tecnologie atomiche. Dove si va a morire a Benares per arrivare prima al regno dei cieli e dove, per andare in cielo in modo più indolore, ci sono oltre 330 aeroporti.
Come già anticipato dal titolo, il new media in questione è il cammello, o più correttamente, il carrettino trainato dal cammello.
Si tratta di un oggetto comunissimo in quegli scenari, colonna portante del sistema logistico nazionale per il trasporto merci e fonte di inenarrabili pericoli per gli altri utenti della strada (ho ancora negli occhi l’espressione atterrita di uno di quegli animali evitato per pochi millimetri dall’assatanato conduttore Sikh del nostro bus, uscito dritto da un libro di Salgari).
Bassi costi per contatto, soglie d’accesso ridotte
Il carretto cammellato è un media che presenta innegabili vantaggi.
In primis, bassi costi di infrastruttura, gli “impianti” sono ampiamente disponibili; solo nel Nord dell’India oltre 200.000 persone possiedono almeno un cammello impiegato per trasporti a breve e medio raggio.
E poi l’animale è contraddistinto da bassi costi di manutenzione (come è noto i cammelli possono anche fare a meno di bere per lunghi periodi).
I bassi costi di impianto e gestione si trasformano in bassi costi per gli inserzionisti, ampliando l’accesso al mondo della comunicazione ad aziende con budget altrimenti troppo ridotti – esercitando quindi un benefico effetto sulle dinamiche di crescita delle PMI locali.
A tutto ciò si aggiunga la persistenza del messaggio, attraverso un loro oculato piazzamento nei punti più nevralgici del traffico del subcontinente – dove si rischia di trovarseli davanti per qualche ora di fila.
Un media di successo
Questo nuovo media, messo alla prova, sta dimostrando il suo potenziale; gli inserzionisti non mancano, il numero di carretti pubblicitari è in rapida crescita e molti operators (cammellieri) stanno già facendo evolvere il proprio business model dal faticoso trasporto merci ad un terziario avanzato, in cui sul carretto viaggia solo la pubblicità – e a questo scopo stanno già ampliando le flotte.
Secondo Kunjal Patel, boss della Market Movers Advertising Company (big del settore cammelli, proprietaria di ben 10 “camel carts” a fini esclusivamente pubblicitari) “la gente è stanca di media statici. Desidera qualcosa di nuovo rispetto agli altri mezzi pubblicitari. Per rendere il cammello più soddisfacente (inoltre), aggiungiamo (all’affissione) anche la musica….”.
Un ruolo sociale
L’uso pubblicitario del cammello ha, dal punto di vista sociale-economico, una funzione anticiclica; permettendo ai proprietari di questo mezzo di affissione quasi dinamica di garantirsi un reddito maggiormente costante nel corso dell’anno, svincolandosi da trend fortemente stagionalizzati nel trasporto merci locale.
Se un cammelliere può guadagnare in media 3 dollari al giorno trasportando merci (sufficienti per mantenere una famiglia), il potenziale di guadagno con l’advertising è molto più alto, con tariffe pubblicitarie che possono tranquillamente arrivare a 21 dollari giornalieri per cammello.
Attenzione alla creatività
È assolutamente evidente, d’altra parte, la necessità di una rigida autodisciplina da parte degli operatori sul fronte dello sviluppo della creatività.
Contando che nella sola Delhi muoiono annualmente oltre 1.800 persone in incidenti stradali, che il totale nazionale dei decessi sulla strada è di oltre 80.000 l’anno, e che la crescita economica del 6% sta portando grandi numeri di nuovi guidatori sulle strade del subcontinente, il minimo che ci si possa auspicare è una creatività sobria, che si faccia vedere senza distrarre e porre in ulteriore pericolo la vita degli altri utenti del sistema viario indiano.
La versione occidentalizzata del cammello: il cane
Come molte altre idee ed innovazioni (basti pensare a quanta matematica e astronomia sono arrivate da noi dall’India), anche questo concetto sta arrivando in Occidente, ovviamente con le debite revisioni (sarebbe meno complesso far passare un cammello dalla cruna di un ago che farlo passare dalla Tuscolana o da Viale Zara nell’ora di punta).
La nostra variante rivista e corretta forse si chiama dogvertising – un trend che già anni fa ha avuto l’onore di venir citato dal guru del Marketing, Philip Kotler.
Silenziosamente ma visibilmente, branchi di cani sono già stati impiegati creativamente in Germania e specialmente in Inghilterra. Tingendogli il pelo o applicandogli appositi indumenti pubblicitari, questa forma di comunicazione a metà tra l’affissione dinamica e il guerilla marketing ha già dato il suo supporto a prodotti come la Playstation o i telefoni SonyEricsson.
Chi pensa che i New Media siano una roba da tecnologi sbaglia. Domani, pare certo, i New Media saranno una roba da veterinari…