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Il nuovo impero sarà wiki?

19 Marzo 2007

Il nuovo impero sarà wiki?

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Mentre la parola wiki entra nell'Oxford English Dictionary e scema l’affaire Essjay, Jimmy Wales lavora sodo per capitalizzare (a beneficio di tutti) l’economia collaborativa scaturita da Wikipedia

Di questi tempi il termine che in hawaiano significa svelto, veloce è sulla bocca di tutti, ben oltre il pianeta digitale. Non a caso wiki ha appena fatto il proprio ingresso ufficiale nell’ultima edizione online dell’Oxford English Dictionary, insieme ad altre 287 nuove parole. Pur se ovviamente nella nuova accezione del software Web-based che consente la modifica collettiva dei contenuti. Proprio i metodi collaborativi che la prestigiosa testata britannica applica da 120 anni si adattano alla perfezione con la pratica del wiki, ha sottolineato Graeme Diamond, editor delle novità linguistiche del Dictionary, il quale aggiunge: «Abbiamo seguito per diversi anni lo sviluppo del termine, ne abbiamo indagato le origini e alla fine abbiamo deciso fosse giunta l’ora di inserirlo nel vocabolario». Ciò anche e soprattutto per via della sua applicazione gran lunga più famosa, l’enciclopedia libera e collaborativa Wikipedia. La quale rimane nell’occhio del ciclone anche per un frangente, come dire, assai meno onorevole: la cosiddetta Essjay Controversy.

Il mese scorso è venuto fuori che costui, editor e administrator assai attivo, aveva mentito su età, occupazione e background: non è un docente di teologia, e non ha nemmeno una laurea, ma è semplicemente uno studente che ha mollato anzitempo il college, pur avendo fatto pesare i presunti titoli accademici nella comunità, talvolta per avere la meglio su posizioni diverse dalla sua. Ergo, gli è stato chiesto di abbandonare rapidamente Wikipedia e anche il posto di Community Manager stipendiato per Wikia, l’annessa rete for-profit che l’aveva assunto a gennaio. L’episodio ha portato all’ennesima diquisizione sulla crisi di credibilità di Wikipedia, come viene dipinta particolarmente sull’informazione mainstream, poco avvezza a queste dinamiche tipiche di comunità fluide, globali, orizzontali. Nulla di preoccupante, solo frutti di normali crescite fisiologiche. L’importante è andare avanti e, altra tendenza controcorrente, continuare a lavare i panni sporchi all’aperto, non in famiglia.

Assai più importante è capire piuttosto come capitalizzare al meglio, oltre che sempre in maniera trasparente e collaborativa, tutto questo ben di Dio costruito negli ultimi anni. Già, perché Jimmy Wales ha lanciato Wikipedia in tempi non sospetti, inizio 2001 – ben prima di galline dalle uova d’oro quali MySpace (2003) e YouTube (2005) – ed è oggi 42 volte più grande della Encyclopaedia Britannica e visitata 7 miliardi di volte al mese. Ma pur di fronte a innegabili necessità di nuovi fondi per maggiori infrastrutture, banda e collaboratori pagati, Wales & Co. preferiscono continuare a sollecitare contributi in giro, confermando la giusta ritrosia alle inserzioni e alle promozioni su Wikipedia (ma non sulle filiazioni). Almeno finora, perchè negli ultimi tempi Jimmy si è messo a trottare intorno al mondo per sistemare la faccenda una volta per tutte. Alzando il tiro e smettendola, almeno in parte, con il tipico low-key profile, per avviarsi a costruire un vasto impero globale basato sull’idea e la pratica del wiki. Raccogliendo quanto seminato dalla poliedrica Wikimedia Foundation, dal network di Wikia, dall’atteso lancio del mega search engine collaborativo e da una miriade di progetti annessi.

Come esplicita un dettagliato report di Business 2.0 Magazine, la visione trascinante è centrata su Wikia: usare il modello del wiki, e gli editor volontari più affidabili, per mettere su siti superpopopolari e capaci di far soldi, principalmente ricorrendo ai clic dei noti AdSense di Google. «Pur attirando una frazione degli oltre 160 milioni di visitatori unici di Wikipedia – scrive il mensile statunitense – quanto prima Wales potrebbe ritrovarsi ricco e famoso». Il circuito fa innanzitutto leva sulla gran voglia di uscir fuori dei fan di cult show Tv, in prima fila Lost, Star Trek e 24, oltre che di computer game quali Doom e Final Fantasy. Non mancano comunità dedite a temi più comuni quali viaggi, genealogie e campagne politiche. Finora poco più di 30.000 persone hanno creato oltre 500.000 articoli in 45 lingue diverse per circa 2,5 milioni di pageview al giorno. Cifre ancora lontane dal gran successo, ma «si tratta di un progetto a lungo termine», ribadisce Jeremy Levine del gruppo Bessemer, uno dei partner che hanno investito oltre 4 milioni nel progetto, insieme a Omidyar Network, Marc Andreessen, Mitch Kapor e altri. Tutta gente che sa il fatto proprio nell’imprenditoria di Internet.

Sarà dunque Jimmy Wales il prossimo re dell’era post-Google? Assisteremo all’atteso trionfo della conoscenza partecipativa e creata dal basso? D’obbligo la prudenza, pur a fronte del contagioso entusiasmo di utenti e appassionati del possibile impero wiki-based. Di certo non mancano le potenzialità, e i numeri sono in rampante ascesa. Con qualche giusta spinta, e un pizzico di fortuna, l’economia del dono è a un passo dal trasformarsi in economia in denaro sonante. Quelle stesse strategie collaborative vanno propagandosi a macchia d’olio nello scenario odierno, avanzando finanche nella business community in senso stretto. E se impero sarà, c’è di bello che, più grande e prosperoso diventa, meno devono darsi fare i suoi “regnanti”. Già oggi Jimmy Wales viene spesso ignorato dai Wikipediani nella gestione quotidiana, anche in situazioni controverse, dedicandosi per lo più a tessere e integrare le trame dei vari progetti. Cioè a raccogliere e tenere insieme le persone. Dopodiché spetterà a loro amministrare sapientemente l’impero condiviso.

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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