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Il Nobel a internet, un parere controcorrente

23 Novembre 2009

Il Nobel a internet, un parere controcorrente

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La provocazione di candidare uno strumento di comunicazione al Nobel per la Pace lascia aperti alcuni dubbi. È giusto nascondere le responsabilità e i sacrifici personali dietro alla folla indistinta?

Il premio Nobel è un premio strano. Spicca soprattutto per la sua celebrità. Ci sono centinaia, se non migliaia, di premi internazionali prestigiosi, ricchi e ponderati; ma se si chiede all’uomo della strada, l’unico che saprà citare è il premio dell’inventore della dinamite. E forse per questo, quando si pensa a una provocazione o a una manovra pubblicitaria si pensa al Nobel. E questa volta è capitato a internet.

Racconta la leggenda che Alfred Nobel, geniale chimico, avesse istituito il premio che porta il suo nome a causa di un titolo sbagliato su un giornale francese. Nel 1888 un necrologio prematuro dedicato al ricchissimo industriale svedese titolava: il mercante della morte è morto. In effetti Alfred Nobel aveva raggranellato una bella somma con la sua invenzione più celebre, la dinamite, e con un certo numero di brevetti derivati. Pare che Nobel colpito dal titolo decidesse, sette anni dopo, di lasciare un miglior ricordo di sé istituendo una fondazione e un premio che portasse il suo nome. Riconoscimenti dedicati alla fisica, alla chimica, alla letteratura e alla “fratellanza”. Il premio Nobel per l’economia venne istituito nel 1968 ed esiste un contenzioso sulla sua reale appartenenza ai Nobel tra gli eredi e la banca incaricata di eseguire le volontà del fondatore.

Insomma il povero Nobel voleva lavare via un po’ la coscienza per aver donato all’umanità uno strumento inteso a scardinare le rocce ma che la stessa umanità aveva riconvertito in un mezzo «per uccidere più persone e più velocemente di sempre». Il premio per la pace è certamente il premio più controverso. Il parterre dei laureati è piuttosto eterogeneo. Tra i vincitori si annoverano religiosi come Madre Teresa o Desmond Tutu, organizzazioni come la Croce Rossa Internazionale. Tra i vincitori ci sono però anche personaggi controversi come Izak Rabin e Yasser Arafat, Kissinger e Le Duc Tho coppie di leader combattenti che hanno cercato di rimediare a danni che loro stessi avevano provocato. E organizzazioni complicate come le Nazioni Unite un organismo elefantiaco della cui reale efficacia sono sorti diversi dubbi, o l’Agenzia per l’energia Atomica, un ente infilato di traverso tra gli interessi enormi del business dell’energia il cui valore “pacifista” è sinceramente difficile da comprendere. Ora, ci si propone di aggiungere all’allegro elenco anche internet.

Una proposta inopportuna

In primo luogo ci sono delle ragioni di ordine pratico: chi ritira il premio? Si estrae a sorte tra i blogger del mondo? Si fa un concorso tra candidati e vince il più “rated” o quello con più amici? Certo sarà solo una rappresentanza simbolica in quanto “internet” è, per definizione, di tutti coloro che la abitano. E se vincono Laura Scimone, Chris Crocker, Dagospia o Susan Boyle (l’elenco può essere vastissimo da Arianna Huffington a Mario Adinolfi) li possiamo considerare rappresentativi? Oppure si premia, sempre simbolicamente, l’azienda che ha posato più cavi per la diffusione della rete o quella che applica tariffe più convenienti per la connessione?

E poi c’è una questione dei soldi e si sa, quando nel condominio,anche il più minuscolo, saltano fuori le questioni di soldi sono cavoli amari. Figuriamoci nel condominione che chiamiamo internet. Che cosa ce ne facciamo di questi soldi? Li lasciamo alla fondazione? O li destiniamo a un progetto per la diffusione ulteriore della rete, magari nel terzo mondo. Bello, ma quale? Ce n’è uno che è più meritevole degli altri? E poi, diciamocelo, con 10 milioni di corone svedesi (meno di un milione di euro) non è che si combina un granché a livello di umanità. Siamo sinceri: la rete ha ancora diversi conti in sospeso, qualche lato oscuro, qualche nodo irrisolto. Secondo il Webby Award prestigioso premio internazionale tra i dieci eventi più importanti della rete si annoverano grandi passi per l’umanità quali Wikipedia e la protesta iraniana monitorata da Twitter ma anche la chiusura di Napster, che rappresenta l’irrisolto contenzioso tra diritti d’autore e file sharing.

Al di là dell’ironia, il problema vero sta nel fatto che internet non è che uno strumento. Sarebbe come candidare l’automobile, la televisione o il frigorifero che, a loro tempo, influenzarono il mondo nel bene o nel male. Internet come espressione umana contiene tutto: il commercio, la cultura, la vita sociale, le istituzioni, le contro-istituzioni, la libertà di parola, la censura, la truffa, le istruzioni per costruire bombe, le catene di Sant’Antonio, appelli di ogni genere per salvare il mondo, l’istigazione all’odio e la condivisione della conoscenza. Per quanto riguarda i contenuti, questa entità indefinibile che è internet è un oggetto inerte, non schierato, non responsabile e muto. Contiene e basta.

Dal punto di vista della modalità, oltre ai ben noti meriti contenuti nella petizione della candidatura, internet ha anche contribuito ad aggravare il divario tra le generazioni e tra i paesi ricchi e quelli poveri. Internet infatti serve molto di più ai ricchi studenti americani che ai ragazzi delle bidonville africane o asiatiche, anzi ne acuisce il divario: coloro che hanno accesso hanno un’arma in più per respingere la concorrenza dei più poveri e dunque emarginarli ancora di più. Non vorrei che ci si illudesse: per navigare c’è bisogno di un computer, di energia elettrica, di una buona conoscenza dell’inglese e della necessità di farlo.

Il lato oscuro

Malgrado ciò neppure dei suoi lati oscuri si può accusare la rete, perché come si è detto, è un oggetto e in quanto tale non è dotato di volontà e dunque di responsabilità.
Ciò che importa sono le intenzioni. E le responsabilità che da esse derivano. Sono certo che durante la loro vita Rigoberta Menchù, Shirin Ebadi, Nelson Mandela o Madre Teresa abbiano più volte dovuto scegliere il male minore e si siano presi la responsabilità di provocare il male ad alcuni per cercare il bene di molti. Abbiano vissuto dubbi, incertezze e malgrado tutto ne abbiano accettato il peso. Ecco quello che, secondo me, dovrebbe premiare un riconoscimento prestigioso agli occhi dell’umanità: il sacrificio personale, il senso di responsabilità delle proprie azioni, il coraggio di affermare idee difficili, rivoluzionarie e anche dolorose. È questo che rende le persone degne di essere onorate: la capacità di affrontare sfide enormi con un coraggio che sembra persino più grande dell’umanità stessa. Gente meravigliosamente folle da prendere sulle proprie spalle, per quanto deboli e strette un po’ di quella sofferenza del mondo.

Vorrei che si premiasse l’umanità di queste persone e non una “cosa”, un mucchio di macchine utilizzate da una umanità varia. Vorrei che la smettessimo di nascondere le responsabilità personali dietro la folla e dietro le belle idee indefinite di fratellanza e condivisione. O dietro la tecnologia. Vorrei continuare a essere un entusiasta di internet senza pensare che sia la soluzione. In verità vorrei continuare a essere entusiasta della gente che sta dietro a quella cosa che chiamiamo internet e che con uno spirito sorprendente di condivisione, generosità e profonda compassione umana rende quella “cosa” una cosa meravigliosa. Ecco, qualcuno di loro vorrei premiare. Non internet.

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