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Il no di Steve Jobs ai Drm

08 Febbraio 2007

Il no di Steve Jobs ai Drm

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Il sempre più discusso Ceo di Apple si trasforma in blogger e dichiara di essere contro ai sistemi di gestione dei diritti digitali. Un passo coraggioso o una trovata pubblicitaria?

Steve Jobs è di certo un grande comunicatore. Se non lo fosse, non avrebbe intorno a sé quel ben noto campo di distorsione della realtà in grado di trasformare qualsiasi prodotto in un’innovazione epocale. Di solito il suo ruolo è quello di master of ceremonies dei keynote, di officiante di una celebrazione che ha sempre avuto un che di religioso. Sorprende quindi un po’ vederlo nei panni di blogger post-litteram e comunicare, attraverso una lettera aperta sul sito Apple, le sue idee a proposito della gestione del copyright attraverso sistemi Drm. Chissà se la sua verve mediatica funziona anche attraverso la parola scritta.

Nella sua lettera-post (che potete trovare nella versione originale oppure tradotta in italiano su Melablog) Jobs affronta il problema della gestione dei diritti digitali spiegando inizialmente la necessità di proteggere i brani anche solo per aprire un dialogo con le major, recalcitranti a vendere musica in formato digitale a causa della pirateria. Si rende necessario, quindi, un sistema basato su segreti che possa tutelare i diritti delle case discografiche, impedendo la copia selvaggia. Il Ceo di Apple puntualizza anche, tradendo qualche intento pubblicitario di troppo, come il sistema di protezione Fairplay sia uno dei meno restrittivi per l’utente. Esso permette la riproduzione su cinque computer e su un numero illimitato di iPod, e può essere facilmente rimosso – a fronte di una perdita di qualità – attraverso la masterizzazione su cd dei brani acquistati e una successiva ricodifica.

Tre strade da percorrere

Da queste premesse Jobs traccia tre scenari possibili; il primo si basa sull’assunto che tutto rimanga com’è. Il problema più grosso riguardo a questo sistema è che ogni negozio online dovrà essere legato a un unico sistema di riproduzione. Attraverso alcuni dati di vendita illustra come in effetti solo il 3 per cento della musica caricata in media su un iPod provenga dal Music Store. Jobs non lo dice, ma è chiaro che il sistema Drm sia statisticamente inadeguato a fermare la pirateria: se su mille canzoni caricate su un iPod soltanto ventidue provengono da iTunes sembra quantomeno ottimistico pensare che le altre 978 siano importate da Cd regolarmente acquistati.

La seconda soluzione è quella di licenziare a terzi il sistema Drm. Secondo Steve Jobs questa strada non è percorribile, in quanto risulterebbe impossibile controllare adeguatamente il Drm e impedirne la violazione. Jobs puntualizza anche come le major abbiano preteso una clausola che permetterebbe loro di uscire da iTunes Store nel caso in cui il Drm venisse violato e non fosse riparato nel giro di una settimana. Che dire allora, di Microsoft, che ha licenziato il suo sistema di protezione senza ripercussioni? Secondo Jobs non è proprio così: al Drm licenziato a terzi, infatti, la casa di Redmond ha dovuto affiancarne un secondo, dedicato esclusivamente al lettore digitale Zune e al negozio ad esso collegato, confermando così la necessità di creare un walled garden che protegga il binomio negozio online – lettore digitale.

Il terzo scenario, auspicato da Jobs e da Apple, è che le quattro grandi della musica (Universal, Sony BMG, Warner e EMI) guardino con maggiore fiducia al mercato digitale e decidano di abbandonare il Drm una volta per tutte. Questo lascerebbe gli utenti liberi di scegliere dove comprare e quale lettore digitale acquistare. A sentire Jobs l’unico motivo per cui non si è ancora intrapresa questa strada è il diniego delle grandi case discografiche. Non è d’accordo il presidente della Federazione Industria Musicale Italiana Enzo Mazza, che in un’intervista a Vision dichiara che il Drm serve alle major unicamente per monitorare le vendite, e non per tutelare gli interessi dei negozi online.

Molti commentatori, tra cui spiccano le voci del giurista Lawrence Lessig e di quel Jon Johanssen che per primo riuscì a violare l’algoritmo di Fairplay, ritengono che le parole di Jobs siano vuote. Numerosi artisti indipendenti hanno richiesto da tempo la rimozione del Drm dai loro brani, ma non hanno mai ottenuto una risposta positiva da Cupertino. Perché non dimostrare la propria posizione iniziando ad accontentare queste persone?

Eroe o parte in causa?

Insomma, un annuncio destinato a far discutere, che mette in moto tutta una serie di considerazioni collaterali. In maniera abbastanza prevedibile, le prime reazioni sono positive. Tutti i maggiori siti e blog tecnologici riprendono la notizia con enfasi: Boingboing parla di un grande giorno, auspicando la fine della guerra dei Drm e TechCrunch pensa che Apple venderebbe molto di più eliminando le protezioni.

Le recenti dichiarazioni a proposito della chiusura di iPhone verso le applicazioni di terze parti, però, fanno pensare. Apple non è certo una paladina dell’apertura, ma una grande azienda che punta ai profitti e che mantiene una forte leadership nel settore della musica digitale. Ci si chiede, per esempio, come mai Steve Jobs non abbia affrontato il tema dei Drm video; probabilmente il fatto che sieda nel consiglio di amministrazione di Disney, una delle aziende che difendono più aspramente il copyright, lo pone in una situazione di conflitto di interessi. Leander Kahney, su Cult of Mac, assume una posizione critica riguardo alle dichiarazioni del Ceo. Secondo Kahney la lettera aperta sarebbe solo una mossa pubblicitaria per prendere i meriti di una rivoluzione che è già nell’aria. Ma le major non sembrano disposte a cedere terreno sul tema dei Drm, quindi è chiaro che, pur non priva di secondi fini, la presa di posizione di Apple sia destinata ad avere un certo impatto sul mercato.

Piuttosto sembra che gli sforzi di Apple nel prendere una posizione di apertura siano diretti all’Europa, dove la situazione è sempre più tesa e dove governi e associazioni dei consumatori rivendicano la proprietà dei loro acquisti, intimando la rimozione dei sistemi di protezione. È soprattutto nel vecchio continente, molto critico con la politica di iTunes, che Apple ha bisogno di rilanciarsi e di rinnovare la sua immagine. Anche a costo di scaricare tutte le colpe sulle major.

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