Domani, mercoledì 22 ottobre, all’interno della XV edizione di Com-Pa 2008 Mario Ricciardi, ex presidente e direttore del Museo Nazionale del Cinema di Torino presenterà il suo Il museo dei miracoli. L’appuntamento è presso Fiera Milano, spazio meeting, alle 13.15. In attesa di ascoltare la testimonianza diretta dell’uomo che più di tutti a contribuito al grande successo del celebre museo torinese vi proponiamo di seguito la prefazione al suo libro.
Il museo dei miracoli, prefazione
Tutto ciò che può essere detto, si può dire chiaramente; e su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere.
Ludwig Wittgenstein, prefazione al Tractatus logico-philosophicus (1921)
L’obiettivo di questo libro è parlare direttamente e per esperienza, utilizzare senza ipocrisie la prima persona: il linguaggio dell’io. L’autore crede sia necessario analizzare fino in fondo i casi concreti, mettere in chiaro tutte le componenti fondamentali per avere successo (o registrare un insuccesso) e quindi mettere in luce il lavoro, l’intelligenza e il coraggio necessari per realizzare un museo come impresa culturale e innovativa.
Pensa anche che sia necessario un “effetto trasparenza” e cioè che i cittadini, i principali finanziatori di queste imprese, debbano sapere come si creano, come funzionano, quanto costano e quali siano gli effetti positivi o negativi che queste imprese producono.
La perestrojka e la glasnost, che noi ricordiamo per il loro effetto disgregante dell’impero sovietico e quali agenti fondamentali per il crollo del comunismo, non sono soltanto un fenomeno di recupero della democrazia per i cittadini ma anche un formidabile strumento per mettere in moto meccanismi di competizione.
La mia generazione ha un debito profondo con una stagione che nasce all’insegna della ribellione contro le forme, soprattutto istituzionali, di repressione dell’io. Non si poteva e non si doveva parlare di sé, esibire la propria interiorità, le proprie passioni o emozioni. Ancora di più a livello accademico. Per questo furono molto amati e praticati i movimenti collettivi, le forme di associazione libera, i processi di liberazione ancora di più di quelli di emancipazione.
Se guardo il presente, lo vedo dominato da un processo opposto: è la visibilità il valore dominante, l’esibizione dell’io, del privato, la commistione senza pudori di pubblico e privato. Ma tutto ciò non aggiunge chiarezza, non fa conoscere di più e tanto meno si accompagna a processi di riforme di struttura (perestrojka) o di trasparenza (glasnost). Al contrario, per il cittadino, prevale l’opacità della sfera pubblica e delle istituzioni.
La citazione di Wittengstein, che ho messo in testa a questa breve prefazione, io la intendo proprio così: se voglio parlare, devo parlare chiaro. E, per me, parlare chiaro significa partire dall’esperienza, dalla mia esperienza. Gli episodi hanno un loro valore. Il nemico è la mondanizzazione, cioè la dissipazione delle risorse e la negazione delle opportunità. In questo la politica e la classe dirigente (più correttamente la chiamerò classe dominante) italiana hanno svolto un ruolo negativo e determinante. Alla fine non rimane che il conflitto tra etica e politica.
Museo
Il conflitto tra tempo presente delle reti e permanenza del passato testimoniato dai beni culturali può essere ricomposto e trasformarsi in occasione per utilizzare la comunicazione come medium attivo tra luoghi, esperienze, territori e il mondo delle comunità virtuali. Prima del luglio 2000 non c’era un museo del cinema in Italia. Nei capitoli di questo libro il lettore ne ritroverà la storia, i percorsi…
Nuovo e popolare
L’obiettivo fondamentale è stato quello di creare un museo nuovo, con un rapporto nuovo tra manufatto e allestimento e tra museo e visitatori. L’attenzione fondamentale per il pubblico è stata guidata dall’idea di “popolare”. Anche questa è un’idea nuova che si misura con la società contemporanea.
Luogo
Il museo non è un luogo isolato, è un crocevia culturale in cui riemerge materialmente il passato, in cui si compiono atti di riconoscimento del passato, confermati soprattutto dal monumento in cui risiede, immerso nei flussi di comunicazione conoscenza ed esperienza di coloro che lo visitano. Sono i viventi che danno nuova vita e significato al monumento, attraverso il museo. Il museo agisce come medium: comunica.
È necessario il dialogo:
– dialogo tra edificio e contesto urbano: occorre il recupero del modello classico della piazza e quindi della funzione attiva di un edificio e del suo contesto urbano con i cittadini.
– dialogo con i visitatori attraverso un linguaggio di comunicazione attraente e coinvolgente.
Così rinasce un luogo nel centro di una metropoli. È un luogo che può confrontarsi con le grandi trasformazioni che investono i nodi strategici della nostra vita: i luoghi di lavoro e i luoghi di consumo.
Identità
Perché i musei attraggono un così grande flusso di pubblico? Perché rappresentano un approdo a beni materiali, creati in epoche lontane, ma consistenti, concreti che resistono nel tempo e al tempo. È come gettare l’ancora per avere un punto di riferimento e di identità nei flussi e nei mutamenti della nostra società. Sono luoghi in cui si può fare esperienza di cose che durano; ci parlano e suscitano nuova esperienza e suggestione in ciascuno di noi.
Una ricerca di identità che non nega il mutamento di paradigma in corso né la rapidità e la molteplicità dei messaggi e delle informazioni propri della globalizzazione.La parola magica, oggi, è innovazione! Rispetto a questo paradigma si collocano anche le diverse posizioni intorno all’eredità culturale.
Ho messo perciò a confronto i due paradigmi: virtual heritage e cultural heritage. Cultural vede solo la conservazione, virtual solo la modellazione. Il nostro obiettivo è trovare una nuova sintesi: lo strumento fondamentale è la comunicazione, l’organizzazione necessaria è l’impresa.
Impresa
La bottega rinascimentale era un’impresa, la tipografia di Gutenberg era un’impresa, l’Encyclopédie era un’impresa.E al tempo stesso sono stati luoghi di produzione della cultura e dell’arte. Anzi, proprio per questo, sono stati impresa e cultura.
Nella modernità recente, caratterizzata dall’economia industriale, si è affermato un tratto caratteristico: la separazione tra mercato e cultura. Il Museo come impresa culturale va oltre questa separazione: deve funzionare come impresa e rispettare le regole di un’impresa, sia pure “speciale” come questa, ma deve anche produrre, inventare, creare cultura.
Il Museo si trasforma in organismo vivente, che cresce e che dialoga continuamente con gli attori principali, interni ed esterni, presenti e sparsi nel mondo dei network.
Cinema
Quale cinema può essere presente in un museo? Il cinema deve essere visto nelle sale cinematografiche rispettando la volontà degli autori e dei produttori. Il Museo è una grande anticamera di suggestioni, di flash per il cinema. È un luogo di memorie recuperate, di impressioni latenti che riemergono alla vista di una sequenza, alla riscoperta di un oggetto evocativo.
Il cinema ha un passato. Questa sua fondamentale caratteristica, rispetto ai nuovi media con cui deve competere, permette di usare un linguaggio che rende familiare perfino un luogo così gelido e spettrale come la Mole Antonelliana (“È come stare a casa propria”, dice Francesco Rosi all’inaugurazione del Museo Nazionale del Cinema di Torino il 19 luglio 2000).
Il cinema vive però un suo presente ricco di trasformazioni, tecnologiche per i processi di ibridazione con i nuovi media, e sociali perché cambiano continuamente i suoi utenti.L’esperienza del cinema che lo spettatore prova nelle sale cinematografiche si mescola alla fruizione “domestica” con il video, la televisione, i DVD, Internet.
Nel Museo si incontra il cinema rappresentato nell’allestimento, simulato, re-mediato. Lo spettatore cinematografico si mescola col visitatore partecipativo. Si scambiano e si mescolano i ruoli, ma non solo dentro il Museo!Consumatori, spettatori e visitatori si ritrovano nella stessa persona. Le tecnologie di rete sono l’ambiente in cui lo spettatore diventa visitatore attivo (come appunto nei network, sul Web, in Internet).
Comunicazione
È il campo centrale di tutto il libro e dell’esperienza a cui fa riferimento. Io sostengo che la tradizione dei media (dei network, degli ambienti digitali in rete) si sta sostituendo alla tradizione culturale.
Network
Le nuove tecnologie di rete facilitano l’avvicinamento al luogo. Prima che possa essere materialmente sperimentato e conosciuto, esso è già immerso in una rete di significati e di relazioni facilitate dall’ambiente telematico. È il mondo di figure nuove: i prosumer, gli outsider, i surfisti di Internet che vanno e vengono dalla Rete ai luoghi della nostra esperienza quotidiana. Decisivo è il valore dell’esperienza.
Quanto pesano e quanto contano diversi tipi di motivazioni, suggestioni e così via che spingono verso il consumo e verso la conoscenza e l’esperienza? Questi fenomeni hanno una storia che inizia con la trasformazione del computer da macchina per il calcolo a medium per la comunicazione, e si compie con la connessione globale dei computer in rete e prosegue… Gli utenti posso essere protagonisti e non solo terminali, esecutori di impulsi generati in altra sede: per il consumo, per l’azione, per le relazioni, per la conoscenza.
Il cyberspazio è caratterizzato soprattutto dalle connessioni e quindi dalle relazioni: la Rete è un grande facilitatore. Abbiamo così un’economia globale sempre connessa, un’intelligenza connettiva sempre e dovunque in azione. Al confronto di questa potente spinta all’innovazione, i beni culturali in Italia, quello che dovrebbe essere il sistema privilegiato del made in Italy appare il luogo e il tempo più sconnesso possibile: la sconnessione è la sua caratteristica fondamentale, la sconnessione di ciascun bene rispetto agli altri, rispetto alle attività possibili e rispetto al sistema produttivo e dei servizi.
Il sistema dei beni culturali è il più sconnesso di tutti.
Creatività
È tempo di ripensare e riprogettare la creatività.La creazione, nel suo significato originario, ha la genesi nell’idea forte, plastica, vitale del produrre.La creatività può produrre industrie creative e può rappresentare una via di uscita dalla crisi e dalla stagnazione, ma occorre ripensare e ri-progettare la creatività. Uno dei terreni decisivi è quello del linguaggio e delle forme espressive che non siano preda della mondanizzazione.
Il cinema inventò il montaggio mantendo un rapporto vitale tra creazione e produzione. In questo senso il Museo è un’opera d’arte, una complessa opera d’arte. È un prodotto dell’invenzione tecnologica e non solo delle applicazioni tecnologiche.
Declino e desiderio: un bilancio, una speranza
La dolce vita
Alla fine del 2007 i due giornali anglosassoni più autorevoli e più noti al mondo (il New York Times e il Times di Londra) segnalarono con grande evidenza la crisi italiana, il suo declino, definendo l’Italia “vecchia e povera”. Per indicare che era finita un’epoca usarono le parole forse più evocative di un periodo recente di fortuna e di fama dell’Italia stessa, legato al successo del suo grande cinema: “La dolce vita diventa amara”, evidenziando ancora una volta l’enorme forza di suggestione del cinema italiano presso il pubblico di tutto il mondo.
Declino o incapacità di crescere? Per questa classe dominante è più conveniente una situazione di perpetuo galleggiamento: innovazione e crescita significano selezione, confronto, competizione, rinnovamento dei protagonisti: qualcuno vince e qualcuno perde. In Italia non succede mai: nessuno della casta perde. Sta sempre lì.
Il dibattito e la discussione si sono concentrati sul declino dell’industria (in particolare della grande industria) e sull’opposizione declino e sviluppo.È rimasta in ombra un’altra forma di declino (di crisi profonda): quella che impedisce la valorizzazione di un bene straordinario e prezioso per gli interessi nazionali: appunto i beni culturali che collocano l’Italia in una posizione privilegiata.
Abbiamo il carburante, una materia prima preziosa e concentrata sul suolo italiano e non siamo capaci di trasformarla e quindi di metterla in valore sia socialmente (gran parte delle proprietà sono pubbliche come pure gli investimenti) sia economicamente (e quindi produttivamente, come un impresa speciale).
Gli scandali finanziari hanno evidenziato una micidiale commistione tra controllori e controllati e hanno evidenziato una bassissima consapevolezza dell’interesse pubblico. Ma proprio nei beni culturali si consumano pesanti fenomeni di corruzione “bianca” che consistono nel non fare, nel lasciare fare agli speculatori, nella svendita di ciò che è stato accumulato nel tempo.
Potremmo definirlo come il reato (ipotetico) di dissipazione di bene pubblico, la colpa di non valorizzare beni e risorse pubbliche. Il bene comune non coincide col bene pubblico.Patrimonio nazionale: di tutti o di nessuno?
Change is good era lo slogan della grande rivoluzione tecnologica: il cambio di velocità, l’accelerazione culturale non ha messo radici in Italia e non ha modificato la situazione. Tutte le statistiche nazionali e internazionali lo confermano. Non abbiamo approfittato della fase favorevole e la ricchezza prodotta, le risorse generate, sono state letteralmente divorate da caste e corporazioni locali e nazionali. La mondanizzazione è anche questo: investire i soldi pubblici per creare clientele.
Di fronte alle critiche impietose che ci arrivano soprattutto dai paesi anglosassoni e ora anche dalla Spagna che ci ha sorpassato quasi in ogni campo, possiamo rispondere che lo sapevamo già. Abbiamo un’alta tradizione, che nei secoli ha fustigato la “decadenza italiana”.
Non rimane che il sarcasmo!
Dante Alighieri, La Divina Commedia, Purgatorio, Canto VI, vv. 76–78:
Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello!
Francesco Petrarca, Canzoniere, LIII:
Spirto gentil, che quelle membra reggi
dentro le qua’ peregrinando alberga
un signor valoroso, accorto et saggio,
poi che se’ giunto a l’onorata verga
colla qual Roma et i suoi erranti correggi,
et la richiami al suo antiquo vïaggio,
io parlo a te, però ch’altrove un raggio
non veggio di vertú, ch’al mondo è spenta,
né trovo chi di mal far si vergogni.
Che s’aspetti non so, né che s’agogni,
Italia, che suoi guai non par che senta:
vecchia, otïosa et lenta,
dormirà sempre, et non fia chi la svegli?
Giacomo Leopardi, Canti, “All’Italia”:
O patria mia, vedo le mura e gli archi
E le colonne e i simulacri e l’erme
Torri degli avi nostri, Ma la gloria non vedo
[…]
Che fosti donna, or sei povera ancella.
Chi di te parla o scrive,
Che, rimembrando il tuo passato vanto,
Non dica: già fu grande, or non è quella?
Marina del Forte presso Bolgheri, 31 dicembre 2007.
Insieme a C. sempre.