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Il mio regno per un file sharing

02 Febbraio 2007

Il mio regno per un file sharing

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Nazioni piccolissime, al di fuori dalle acque territoriali oppure secessioniste. Immuni alle leggi sul diritto d’autore, potrebbero essere il luogo ideale per stabilire attività di P2P illegale. E se il candidato ideale fosse proprio l'Italia?

Anche se sono normalmente le Grandi Nazioni a fare notizia, ve ne sono anche di piccole, piccolissime, quasi ignote. E spesso ai limiti della legalità internazionale. Proprio per questo potrebbero essere il futuro del P2P “cattivo”, quello perseguito dalle leggi delle nazioni (piccole, medie e grandi) e, potenzialmente, diventare la culla di altre attività poco o per nulla legali. Segnali in questo senso giungono dall’affaire Sealand, ovvero al tentativo di acquisto di questa micronazione da parte di The Pirate Bay.

Forse non tutti sanno che, nel Mare del Nord, a sei miglia dalle coste inglesi esiste una nazione indipendente. Un’isola artificiale di 550 mq, più piccola quindi di un campo da calcio. In sostanza, una piattaforma montata su sue piloni di cemento a pochi metri dall’acqua. Costruita durante la seconda guerra mondiale come dispositivo di protezione militare del Tamigi, fu dotata di Radar e artiglieria di ogni tipo e presidiata da duecento uomini – venendo poi abbandonata dopo la fine del conflitto, così come tutte le altre fortezze artificiali della collezione dei Maunsell Forts.

Nell’inverno del 1966, tale Paddy Roy Bates prese possesso della piattaforma, cambiandone il nome da Roughs Tower a Sealand. Paddy non era nuovo a operazioni del genere: ex maggiore dell’esercito di sua Maestà, aveva aperto nel 1965 una radio pirata su un’altra di queste piattaforme, la Knock John Tower. Trasferitosi a bordo con la famiglia, nel settembre 1967 dichiarò l’indipendenza di Sealand (non senza aver prima sostenuto una piccolissima guerra a colpi di molotov contro forze occupanti che volevano prendere possesso della piattaforma per farne la base di una radio pirata).

Nel 1968 un tribunale britannico riconobbe che Sealand era oltre il limite delle acque territoriali e quindi al di fuori della legge britannica. Da quel punto in poi il principato condusse una vita relativamente tranquilla, abbandonato al suo destino tra le tempeste atlantiche. Nel giugno 2006 la nazione/piattaforma è stata colpita da un violento incendio che ha gravemente danneggiato le sue strutture. Un po’ per questo, un po’ perchè a vivere tra un fortunale e un gabbiano non è che ci si ammazzi dalle risate, la famiglia regnante ha deciso di porre in vendita l’intera nazione, a un prezzo di 750 milioni di euro.

Venuti a conoscenza dell’inconsueta offerta immobiliare, a quelli di The Pirate Bay (sito svedese impegnato nella diffusione del download di materiale protetto da copyright) è venuta un’ideona: comprarsi Sealand. Comprarsi la nazione, farsi una propria legge, costruire un paradiso del file sharing posto al di fuori del sistema normativo internazionale. Certo, 750 milioni non sono bruscolini, così si è pensato bene di mobilitare il popolo della Rete attraverso il sito Buy Sealand e una maxi colletta. Alla fine però le trattative non sono andate in porto; è stato infatti annunciato che la proprietà non sarebbe disposta a vendere a persone impegnate in quella che la famiglia ritiene siano attività di furto della proprietà privata.

Resterebbe a questo punto la possibilità di acquisto da parte di qualche milionario russo. E chi si occupa di spamming sa bene che proprio in quel paese operano alcuni tra i più potenti spammer del mondo, veri oligopolisti di questo settore. Nonostante quest’occasione paia sfumata, il concetto resta interessante: stare al di fuori dei confini di una nazione sovrana, costruire un corpus di leggi che favoriscano il P2P (e altro) e trasformarlo nella principale fonte di reddito di una micronazione sembra un’idea troppo originale per non essere messa in pratica.

Sfumata Sealand, restano alcune altre possibilità. Alcune poco sensate. Come Ladonia, un triangolino di terra svedese che ha dichiarato la propria indipendenza, o Akhzivland, un ex villaggio arabo con spiaggia annessa, occupato e poi abbandonato dalle truppe israeliane durante la guerra dei sei giorni e autoproclamatosi nazione (abitanti: circa uno).

Esiste poi un’altra possibilità molto più concreta. E ce l’abbiamo proprio in casa. Dato che la storia la fanno i vincitori, poco si sa di quanto successo in tempi recenti nel nostro paese in tema di microsecessioni ed enclaves. E non sto parlando di Vaticano o San Marino. Pochi, ad esempio, sanno che l’isola sarda di Tavolara godette di indipendenza nell’800 e che tuttora dispone di un re locale, discendente della famiglia che per anni regnò sul territorio – lo potrete incontrare se andate a mangiare da Tonino, l’unico ristorante dell’isola, essendone sua maestà Tonino Bertoleoni il proprietario.

Più clamoroso fu il caso, nel 1968, della Repubblica delle Rose, una piattaforma artificiale di 400 metri quadri costruita al largo di Rimini dall’ingegner Giorgio Rosa – che ne dichiarò l’indipendenza, iniziò a emettere francobolli e sviluppò un’industria turistica, salvo poi venire rapidamente occupata da una task force composta da quattro carabinieri e infine distrutta dalla nostra Marina Militare. Ma per due micronazioni scomparse, una sopravvive. In un’amenissima situazione poco distante da Bordighera esiste un’enclave (4 chilometri quadrati, 362 abitanti) che da tempo ha proclamato la propria indipendenza, riconducendo il diritto a realtà storiche di oltre 1.000 anni fa e una sorta di cavillo giuridico: nonostante che il principato sia stato comprato nel 1729 dai Savoia, pare che nessuno si sia ricordato di registrare il contratto.

Dichiarata la propria indipendenza all’inizio degli anni ’60, si è rivelato da allora un posto molto tranquillo (come si desume anche dall’organo di informazione del Principato), che riesce ad arrivare agli onori delle cronache solo quando una partoriente non arriva in tempo all’ospedale ed è costretta a partorire (felicemente) in casa. Proprio la ridente Seborga potrebbe essere il target ideale per l’acquisizione da parte di operatori internazionali interessati a stabilirsi in una zona ben collegata e al riparo dalle leggi che proteggono il diritto d’autore e che condannano tutte le altre attività illegali che tanto bene si possono condurre in Rete.

Facciamo dunque un po’ di fantapolitica. Proviamo a immaginare che intervengano un giorno nel processo indipendentista di Seborga (per la verità decisamente soft) uno o più degli spam kings che dominano questo business, i cui metodi sono spesso alquanto sbrigativi. In questo quadro allarmante non si potrebbe escludere, nel peggiore dei casi, l’intervento di soldati di ventura ingaggiati daforze esterne – in uno scenario paragonabile a quello di certe guerre africane – a supporto di una delle due fazioni che si contendono (in forma molto teorica) il diritto a regnare su Seborga.

Questo contenzioso contrappone infatti l’attuale Principe (Sua Tremendità Giorgio Carbone, che fece un bel salto da capo della locale cooperativa dei floricultori a capo della Nazione) alla Principessa Yasmine von Hohenstaufen Anjou Plantagenet che nel 2006 ha reclamato il diritto al trono presso il Presidente della nostra Repubblica. Un tale preoccupante scenario interventista rischierebbe di innescare colpi di mano dall’incerto esito; prendendo come precedente quello della Repubblica delle Rose, sarebbe chiaramente ipotizzabile una occupazione Manu Militari del principato (qualora questo divenisse un centro di file sharing) da parte di truppe d’elite della Siae e della Riaa.

Anche se è francamente improbabile si arrivi a tali estremi, è comunque certo che lo scenario è passibile di sorprendenti evoluzioni e che il P2P “cattivo” o più ancora l’industria dell’illegale in Rete potrebbero presto trovare nuovi e sorprendenti mezzi per proteggere le proprie attività. Incluso il ricorso a strade ancora più radicali, quali quelle della colonizzazione dello spazio, attraverso postazioni orbitali o addirittura sul nostro satellite naturale – ponendosi come main sponsor di attività commerciali di sviluppo dello spazio che circonda il nostro pianeta e la cui legislazione in termini di diritti d’autore è ancora indubbiamente molto lacunosa.

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