Scrittori professionisti e amatoriali, giornalisti e aspiranti tali, opinionisti accreditati e improvvisati. Solo alcuni tra i molti che di questi tempi vanno producendo una miriade di “web log”, meglio noti sotto la contrazione “blog”. Di cosa si tratta? Diari, riflessioni, notizie inedite, commentari. Racconti a ruota libera e segnalazioni super-affidabili, voci di corridoio e news di prima mano, resoconti live e finanche pettegolezzi. Un giornalismo di nuova generazione, slegato da un’obsoleta ufficialità e capace di affrontare con freschezza argomenti a tutto campo, dalla politica all’attualità, dall’high-tech ai mondiali di calcio. Con una spolveratina di ironia e laisser faire. E che sfora ben oltre l’ambito statunitense dove pure ha messo radici negli ultimi mesi. Insieme agli aspri editoriali di Andrew Sullivan (gay, conservatore, cattolico, già redattore di New Republic) ecco infatti le note locali del giornalista australiano Tim Blair, oppure i dispacci live dalla e sulla Croazia di Natalija Radic. Ce n’è davvero per tutti i gusti….e qualcuno l’ha già definita Blogging Revolution.
Blogger si autodefinisce “editoria per il popolo grazie a un unico pulsante” e apre con una finestra in cui si legge: “Blogger vi offre immediatamente potenti strumenti per comunicare sul web i vostri pensieri non appena ne sorge l’urgenza.” Già, dilaga il “blogging software”, con programmi da appositamente creati da società altrettanto appositamente fondate, Userland e Pyra Labs. Né potevano mancare le classifiche degli argomenti affrontati con maggior frequenza nei dispacci quotidiani (Blogdex), e i portali con link diretti a migliaia di blog di ogni parte del globo (Eatonweb). E il bello è che, travalicando una certa autoreferenzialità del mondo online, stavolta il fenomeno suscita l’interesse congiunto di riviste cartacee e testate elettroniche d’ogni dove. Per citare giusto un paio di casi, il mese scorso Business 2.0 ha passato in rassegna la “Blog Nation” mentre così titola il Guardian londinese: “Nel mondo della tecnologia, i blog sono divenuti il medium standard per le ultime news…”. Il pezzo che segue chiarisce alla perfezione il contesto attuale citando in apertura Dan Gillmor, quotato reporter del San Josè Mercury News tra i primi lanciare un weblog personale sul sito del quotidiano: “Questo il mio principio-guida nel giornalismo. I lettori ne sanno più di me, e ciò è un bene!”
Per chi avesse ancora le idee confuse, Gillmor aggiunge che quest’ultima tecnologia sta rivoluzionando il giornalismo per come lo conosciamo. Ovvero, siamo passati dagli Old Media ai New Media e oggi ai We Media: “L’idea di poter usare al meglio la potenza, la conoscenza e l’energia della gente.” Qualcosa che a rigor di logica trova la massima espressione nei vari ambiti ed eventi che fanno da corollario all’informatica. Lo dimostra, tra l’altro, la circolazione di notizie che ha subito caratterizzato la recente O’Reilly Emerging Technology tenutasi nel cuore di Silicon Valley. Nei quattro giorni del meeting almeno una cinquantina di “blogger” hanno prontamente diffuso sul web i testi delle relazioni previste, talvolta addirittura mentre i relatori parlavano dal palco, dal vivo. Ciò grazie alla vera convergenza dei media, non quella spinta da corporation e dinosauri vari, ovvero l’utilizzo a piene mani di strumenti “poveri” (laptop, network wireless, camere digitali, email, passaparola, chat room) alimentati da un’abbondante dose di creatività condivisa. Scenario analogo a quello descritto in un’altra panoramica sul trend in atto, quella offerta da Online Journalism Review all’interno di una sezione in aggiornamento continuo dedicata, guarda caso, al futuro dell’informazione. Esemplari titolo e occhiello (con ricco elenco di link): “News dalla gente per la gente; spetta alle comunità online, con strumenti e network editoriali tutti propri, ridefinire le news del XXI secolo.”
Chiaro, c’è chi vede tutto ciò come l’opposto di una rivoluzione. Le critiche sono un po’ quelle di sempre. Scarsa professionalità, ammirazione e rimandi reciproci, mancanza di affidabilità. Oppure anche spazi lasciati alla merce’ della destra neo-conservativa, vista la cronica disaffezione di intellettuali sinistroidi. Questi i toni di uno dei pezzi più serrati contro il fenomeno-blog, quello dell’ex-editor di Suck.com, Tim Cavanaugh. Dove si accusano i vari blogger di “nutrirsi come parassiti dei media mainstream che assalgono così ferocemente,” e li si bolla con una secca battuta conclusiva: “Puoi prendertela con Salon quanto vuoi, Mr. Blogger, ma loro hanno un inviato in Afghanistan. E tu?” Vero, però non sembra affatto che blog abbiano intenzione di competere direttamente con le testate mainstream, mirando piuttosto alla creazione di circuiti d’informazione propri e indipendenti, perfino salottieri, seppur non di rado con un nutrito seguito di fans e amici. Una sorta di relazione diretta e non-mediata, uno a uno, tra chi scrive e chi legge, che a sua volta si mette poi a scrivere (e pubblicare), in un circolo aperto senza fine. Qualcosa che, a ben vedere, non è che l’estensione delle virtual communities dei vecchi tempi (a partire dal sempre vegeto The WELL), dove individui ricchi di opinioni, conoscenze e capacità specifiche andavano attivando i primi sperimenti di comunicazione sociale. Un miscuglio tra umanità e professionalità che ha trovato nuova linfa grazie all’enorme penetrazione di Internet e al costante interesse del suo popolo nella partecipazione in prima persona.
Blog come fenomeno dalle potenzialità molteplici, quindi, per delineare un futuro dell’informazione meno rigido, statico, monopolizzato e in sintonia con i ritmi sempre fluidi e mai scontati che impone il quotidiano odierno. Incluse le verifiche incrociate di ogni news in cui finiamo per imbatterci — pur sempre necessarie tra gli old come pure tra i new media.