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Il futuro dei blog tra informazione e politica

23 Novembre 2004

Il futuro dei blog tra informazione e politica

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Se il giornalismo grassroots è cruciale per stimolare interesse e partecipazione, deve però crescere su credibilità ed eticità

L’impatto della blogosfera sull’informazione e, in particolare, sulle campagne politiche in base delle recenti presidenziali USA. Questo uno dei temi portanti della Conferenza annuale della Online News Association, svoltasi a Hollywood il 12-13 novembre scorso. Una serie di tematiche tuttora calde, affrontate tramite diversi panel ad hoc che hanno visto la partecipazione di affermati reporter tradizionali come pure dei blogger più quotati. Ne è uscito un accordo sostanziale nel ribadire, ancora una volta, la funzione cruciale dell’odierna Internet per stimolare l’interesse e la partecipazione della gente in generale. Con chiare divisioni, tuttavia, sul fatto che ciò possa effettivamente portare a mutamenti reali nel quotidiano, con esplicito riferimento all’esito del voto espresso dagli elettori statunitensi. Né che una simile evenienza possa concretizzarsi nel prossimo futuro sia per quanto concerne le campagne politiche sia, almeno in parte, per l’informazione in generale.

Pur nella diversità delle posizioni, l’occasione delle presidenziali ha comunque confermato l’importanza dei blog come strumento indipendente e alla portata di tutti. Non solo per il flusso ininterrotto di notizie fornite da ogni dove, ma anche per la volontà di creare situazioni aperte e interdisciplinari dove sperimentare le nuove possibilità del fare cultura e informazione politica. Per l’Italia meritano una citazione il blog-laboratorio PoliticsMatters, riuscito banco di prova per analoghe iniziative future, e la raccolta di curiosità, opinioni e vignette curata da Marco Montemagno, ora ribattezzata WebElections, blogbook diffuso sotto licenza Creative Commons.

Tornando all’evento della Online News Association, un “super-panel” ha preso di mira proprio fonti e modalità informative che hanno circondato le presidenziali USA. Dick Meyer, direttore editoriale di CBSNews.com, ha preso spunto dal più alto livello di votanti registratosi fin dal 1960 per affermare: “La responsabilità dei quest’afflusso va riconosciuta ai siti online d’informazione.” Gli ha fatto eco Joe Trippi, già manager della campagna online di Howard Dean: “In queste elezioni per la prima volta un gruppo di blogger ha usato la potenza di Internet per cambiare il sistema top-down che ha perso contatto con la base dei cittadini.” Successo solo parziale, va aggiunto, visto prima la debacle dello stesso Dean e poi la successiva vittoria finale di marca repubblicana. Anche se la conclusione di Trippi è foriera di buoni auspici: “Internet continuerà a svolgere un ruolo più ampio nella governance… favorirà la partecipazione della gente nel governo e nelle decisioni locali.”

Assai più scettici sull’influenza dei blog si sono dimostrati invece due addetti ai lavori, Dave Winer di Scripting News e Mickey Kaus di Slate. Quest’ultimo ha sottolineato l’eccessiva inaffidabilità di molti report diffusi online senza le necessarie verifiche preventive, pratica su cui si fonda tuttora la forza dell’informazione tradizionale. Ancora più critico si è dimostrato Winer, considerato a ragione uno dei padri dell’odierna blogosfera. Replicando proprio a Joe Trippi sull’effettiva portata della Dean Campaing via Internet, ha definito “pura fantasia” pensare che una comunità online possa produrre effetti significativi a favore di un candidato presidenziale. Almeno non ora e neppure in tempi brevi. Chiudendo tuttavia con una positiva: i blog finiranno per sostituire il giornalismo classico come elementi cruciali della politica a livello locale.

Anche Arianna Huffington, nota editorialista web, ha insistito sull’importanza di dare credibilità alle news online: “Una cosa che non vorrei più vedere è la quantità di articoli che non presentano tutte le prove disponibili,” citando nello specifico gli exit poll inaccurati volati rapidamente su Internet nella mattinata del 2 novembre, un po’ come era successo quattro anni fa sui Big Media. Uno dei blogger maggiormente responsabili di quest’affaire ha confermato di aver diffuso quelle cifre senza curarsi della loro accuratezza. Secondo Ana Marie Cox, curatrice del blog “irriverente” Wonkette, “dovevamo pubblicare gli exit poll per poi poterli far fuori.” In altri termini, si è trattato soprattutto di affermare i valori cyberlibertari: far girare comunque le news, senza l’etichetta di giornalista e la censura del redattore-capo. E ancora: “Quelli che lavorano nel business dell’informazione si illudono che fare le cose bene la maggior parte della volte significa farlo sempre. I blogger hanno eliminato il gap esistente tra questi due scenari.” In conclusione la stessa Cox ha comunque sostenuto che i blogger continueranno a svolgere il ruolo di critica e commento delle news, senza però sostituire il giornalismo tradizionale e quindi non dovrebbero (né dovranno) aderire ai medesimi standard.

Ulteriori note critiche sono infine giunte da Jehmu Greene, presidente di Rock the Vote: “Così come Internet è divenuta il metodo perfetto per tirare su soldi per le campagne, è anche il mezzo migliore per diffondere messaggi politicamente più carichi e polarizzati.” Rilanciando tuttavia la visione secondo cui in futuro Internet non potrà che maturare ulteriormente, consentendo agli elettori la possibilità di registrarsi e votare direttamente online con sicurezza. Mentre la questione della professionalità etica ha fatto capolino ripetutamente: Mark Glaser, editorialista di Online Journalism Review, ha insistito sul fatto che i “blogger devono cominciare da zero nel guadagnarsi la fiducia dei lettori”, e Mindy McAdams, docente presso la University of Florida, ha così concluso; “Fare blogging è davvero bello. Mi piace il fatto che esistano sempre più voci. È positivo… ma ciò non offre a quanti si definiscono giornalisti una scusa per non verificare le informazioni”.

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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