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Il file-sharing non smette di crescere

05 Luglio 2006

Il file-sharing non smette di crescere

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Nonostante le strategie diversificate delle major e l’affermazione di iTunes e altri operatori innovativi e rispettosi dei diritti d'autore, il trend rimane assai popolare

Nel mese di maggio gli utenti del file-sharing musicale hanno raggiunto una media di 9,7 milioni nel mondo e 6,7 milioni solo negli Stati Uniti. Lo stesso periodo dello scorso anno aveva registrato, rispettivamente, cifre di 8,6 e 6,2 milioni di utenti. Questi gli ultimi dati rilevati da BigChampagne, agenzia di rilevazioni che segue l’andamento del file-sharing online. Il trend continua dunque a crescere, pur se la minaccia di azioni legali ha portato recentemente alla chiusura di operatori come BearShare, WinMX e i2Hub. E nonostante, più in generale, il pugno di ferro lanciato qualche anno fa dalle major del disco – basti ricordare che negli Stati Uniti dal 2003 a oggi sono state presentate ben 18.000 denuncie contro singoli individui sospettati di massicci download illegali.

Inoltre, sia quelle cifre che il normale andirivieni online sembrano annullare anche l’effetto deterrente che molti osservatori indicavano come il fattore primario di sentenza come quella in cui, un anno fa, la Corte Suprema offrì in sostanza un’arma infallibile all’industria dell’intrattenimento. Ribaltando la decisone dei giudici distrettuali nel caso Grokster, la massima istituzione giudiziaria aveva infatti stabilito che gli sviluppatori dei programmi di file-sharing erano responsabili dei loro utilizzi illegali, considerando che in pratica i produttori incoraggiavano gli utenti a scaricare indiscriminatamente musica e film sul web. Da allora, Grokster Ltd. ha smesso di diffondere e aggiornare il suo software, mentre procedono a rilento le schermaglie legali contro StreamCast Inc., che distribuisce Morpheus, e Sharman Networks Ltd., produttore di Kazaa, con prossime audizioni fissate per il 10 luglio nella corte federale di Los Angeles.

Tuttavia non ci state nuove denunce né altre azioni dirette contro le aziende del file-sharing, com’era invece logico aspettarsi sulla scia di quella decisione della Corte Suprema, tant’è che eDonkey, LimeWire, Morpheus, Kazaa e vari altri sono tuttora “in business”. Motivo? Lo spiega Mitch Bainwol, chairman della Recording Industry Association of America (Riaa): «Finora siamo stati giudiziosi, ragionevoli e pazienti; ma ciò non vuol dire che la nostra pazienza potrà durare all’infinito». Pur se meglio sarebbe dire che la strategia complessiva si è fatta più diversificata, a partire dalle pressioni di lobbying in quel di Washington per ulteriori legislazioni repressive, in primis l’imposizione generalizzata delle tecnologie di Digital Rights Management.

È inoltre lecito desumere che la “pausa” decisa dalle major sia mirata a spingere tali servizi a fare il grande passo, abbracciando in qualche modo la piena legittimità sull’onda del successo di iTunes e simili. Per ora lo ha fatto solo iMesh, trovando un accordo sulla precedente querela e ripartendo lo scorso novembre come distributore di oltre 2 milioni di brani sotto regolare licenza (oltre a vario materiale gratuito), e qualcosa di analogo ha promesso di voler fare Sam Yagan, Ceo di MetaMachine Inc. produttore di eDonkey. Invece Snocap, ideato ormai due anni fa dal noto Shawn Fanning (già fondatore dell’originario Napster fuorilegge) come servizio P2P legale, è tuttora al palo per l’impossibilità di trovare etichette discografiche disposte a usare quella tecnologia. Anche se su questo fronte, recentemente il gruppo Emi ha annunciato un patto con la LTDnetwork di New York per il lancio autunnale di Qtrax, primo servizio P2P di questo genere, dove gli utenti potranno scaricare l’intero catalogo dell’etichetta inglese gratuitamente se guardano delle inserzioni pubblicitarie oppure, senza inserzioni, a pagamento. Altro motivo per la “pazienza” della Riaa è evitare ulteriori e negativi effetti-boomerang seguiti alle indiscriminate azioni repressive, una pratica che non piace certo agli utenti e che, di conseguenza, spinge verso ulteriori download illegali come sorta di “punizione”. Anche se lo stesso Bainwol e Cary Sherman, Presidente della Riaa, continuano a difendere quelle denunce a tappeto – che hanno colpito, tra gli altri, anche ragazzini e anziani – perché avrebbero portato a «maggiori chiarezze legali» e «all’opportunità di business model coerenti con le reti P2P».

Insomma, pur senza mai dichiararlo alla luce del sole, sono gli stessi dirigenti dell’intrattenimento ad ammettere che le cose non sono poi così semplici e che la trasformazione digitale dell’industria è un fatto inevitabile, con tutte le conseguenze del caso. Incluse quelle non controllabili e inventate o decise dagli stessi utenti, com’è di prassi su Internet. Lo spiega Jim Griffin, già direttore per Geffen Records e oggi manovratore della divisione Digital del Cherry Lane Music Group: «Quando un ragazzo mette un brano su una rete P2P, sa di contribuire alla crescita di popolarità e al valore finale della canzone. Perciò il modello distributivo delle etichette discografiche – dove queste stabiliscono il prezzo in base alla domanda e controllano ogni passaggio della catena di produzione – è un mondo assai diverso da quello in cui oggi crescono i ragazzi». Va cioè interamente rivisto il sistema di produzione e utilizzo dell’intrattenimento, tasto su cui le major non vogliono però sentirci granché.

Per ora sembra che, più di ogni altra cosa, un salvagente buono per tutti possa essere l’abbuffata di iPod e altri Mp3 player, come conferma un fresco sondaggio di Ipsos: lo possiede uno su cinque ragazzi americani compresi tra i 12 e i 17 anni, un terzo in più delle rilevazioni di appena un anno fa. Insieme alla “mash-up culture” (il rimescolamento di brani diversi, materiale originale incluso, che merita un discorso a parte), questa tendenza comporta ovviamente la risalita della musica acquistata legalmente online: nel 2005 si è passati dal 17 al 24 per cento in più, secondo il rapporto State of our Nation’s Youth della Horatio Alger Association. E se il file-sharing illegale continua a crescere nonostante tutto, sulla continua corsa agli armamenti c’è chi si chiede se l’industria discografica non abbia davvero imboccato la strada del suicidio: «La RIAA sta generando dei batteri super-resistenti agli antibiotici», mette in guardia Clay Shirky, sviluppatore software e studioso di cultura e nuovi media.

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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