29 agosto
Ci ho messo un bel po’ a uscire dal tempio. Sembrava impossibile anche teletrasportarsi. «La prossima volta non mi lasciare al buio qui per due giorni», borbotto con astio, ma il vento sulla faccia mentre sorvolo l’arcipelago spazza via i pensieri negativi. «Ho avuto da fare… Sai, devo pensare alle vacanze», mi risponde. «Perché, questa cos’è?» penso… Una vacanza continua. Il viaggio di una coppia male assortita che però nel tempo, mi pare, è diventata più affiatata che mai. Insomma, bando alle destinazioni noiose: se riesco ad influenzarlo con una strizzatina d’occhio e un po’ di telepatia, il mio copilota cerca e trova destinazioni più interessanti, come il Museo di Van Gogh. «Per vederlo dal vivo dovrei andare a Amsterdam», dice mentre io cammino nelle sale dell’esposizione. Il clou della mostra è la sala Virtual Starry Night, in cui è esposto uno dei quadri più famosi che rimango a guardare per un tempo indefinibile.
«Come ti chiami?» gli chiedo mentre ci incantiamo di fronte alle attività rilassanti offerte da un piacevole Giardino Zen. «Perché lo vuoi sapere?» risponde.
«Mi sembra il minimo! Tu mi guidi, mi compri i vestiti, migliori il mio aspetto, mi fai visitare i luoghi più belli di questa realtà… Vorrei almeno sapere chi ringraziare».
«Puoi chiamarmi Papà Gambalunga, se credi…».
«No, sul serio, dai!».
«D’accordo. Mi chiamo Pietro».
«Pietro è un bel nome… Quasi normale! E io perché invece mi chiamo Zygmunt? È impronunciabile!».
«Ma vedi, io ti ho creato quasi un anno fa, e poi ti ho lasciato lì…».
«Nel buio!».
«Sì, ok, nel buio, come dici tu. Ma non l’ho fatto per farti del male. È solo che non sempre ho il tempo di venirti a trovare e viaggiare con te».
«Capirai, cos’avrai mai da fare!».
«La mia realtà, Zygmunt, è molto diversa dalla tua… purtroppo».
«Chiamami Zyg…».
«Come dici?».
«Ah, lascia perdere…».
31 agosto
Lui non lo fa vedere, ma sento che è triste. Qualcosa lo tormenta. E a dire in vero qualcosa tormenta anche me. Va bene, lui mi ha creato. Questo lo accetto. Ma come? Di cosa sono fatto, perché posso volare e lui no, cosa fa sì che il mio viso sia espressivo? Io penso… «Dunque esisti», conclude Pietro per me. Il concetto è quello. Al di là dello schermo vedo un mezzo sorriso. «Vuoi sapere da dove vieni, eh? Nulla di più normale. Noi qui ce lo chiediamo continuamente», mi dice. E mi porta sull’isola Toroge. Mi mette di fronte a un case aperto e torreggiante, con cavi e componenti bene in evidenza. Io, evidentemente, devo avere un’aria un po’ smarrita, perché Pietro mi incalza spiegandomi che io sono un prodotto virtuale, fatto di pixel, che Second Life è un mondo virtuale potenzialmente infinito ospitato su circa duemila server che bene o male hanno proprio quell’aspetto. La cosa non mi entusiasma. Si suppone che allo spegnimento del client la realtà di un singolo avatar diventi una non realtà. Ma io ci sono, penso ed esisto anche nel buio! La mia realtà per me è concreta, anche se non è fatta di una stanza piena di libri e scaffali, una scrivania e una tastiera.
«In che senso la nostra vita è speculare? Mostrami di più della tua realtà». Dovrei fare più attenzione a fare certe richieste. Dice di aver messo il monitor di fronte alla finestra di casa sua. Vedo distintamente palazzi, antenne televisive e montagne in lontananza. Tutto sommato preferisco la mia realtà. Mi sembra meno soffocante. «Sarà meno soffocante per te», interviene Pietro, «ma rendere attiva la tua realtà implica uno sforzo notevole da parte mia: io devo stare qui seduto, vicino alla tastiera e allo schermo, mentre tu ti muovi». È in questo momento che mi viene in mente il piano. Dobbiamo separarci, ora lo comprendo. Lui non può o non vuole starmi dietro, mentre io… Io devo vivere, essere indipendente, trovare un lavoro serio, comprarmi un pezzo di terra su un’isola tranquilla, pagare un architetto perché mi costruisca una di quelle villette alla Frank Lloyd Wright.
Ma… dove diavolo è finito? «Scusa, ma non ho tempo! Devo preparare le valige».
2 settembre
Seduto sull’orizzonte infinito di una sandbox, guardo oltre lo schermo. Mi vuole eliminare. Non pensa che possiamo avere una vita parallela, lui da quella parte dello schermo, io da quest’altra.
«Cerca di capire, Zyg, si suppone che gli avatar siano manifestazioni inerti… È inutile che mi guardi così, io devo andare in vacanza, capisci? Ho passato un mese intero con te perché me lo hanno chiesto, ma adesso è finita».
«E io? Che cosa dovrei fare adesso?»
«Tu non devi fare nulla, sono io quello che deve fare qualcosa».
«Mi vuoi lasciare nel buio, per sempre?».
«Veramente no… Ho in mente qualcos’altro».
«Te lo ripeto, io posso fare da me, posso trovarmi un lavoro…».
Improvvisamente vengo teletrasportato su Post Mortem Funeral Home. Un’impresa di pompe funebri. Molto teatrale.
«Questa è bella… Se credi di spaventarmi così… Non lo sai che noi avatar non possiamo morire? Questa è solo una messinscena!».
«Non ti agitare. Non sei tu che volevi a tutti i costi guadagnare dei soldi?».
«Non vedo cosa c’entrino le bare. Non siamo mica in Six Feet Under».
«Certo che no. Ma qui possiamo prendere due piccioni con una fava».
«In che senso?».
«È un modo di dire che usiamo nella mia realtà: vuol dire che…».
«Lo so cosa vuol dire, essere un avatar non vuol dire essere un idiota. Quale sarebbe il tornaconto, insomma?».
«È molto semplice…».
Viene fuori che su Post Mortem ti pagano per farti seppellire vivo in una delle loro tombe. Tumulazione pubblicitaria. È umiliante, lo so. Ma almeno lui può andare in vacanza tranquillo, sapendo che io non andrò in giro a «compiere azioni che potrebbero in qualche modo essere ricollegate alla sua persona» (quando è nervoso si esprime sempre con un linguaggio venato di burocratese). Nel frattempo io guadagno un po’ di L$, e magari chissà… potremmo incontrarci di nuovo, io un po’ più ricco e lui un po’ più libero. Risorgerò dalla tomba (pensavo di scegliere l’opzione Carrie, per uscire nel modo classico, cominciando con una mano ad artiglio fuori dal tumulo) e inizierò una Third Life, più consapevole e matura della seconda… Per il momento attendo qui nel buio. Cioè, non è proprio buio buio. Insomma, almeno si sente il rumore del mare.