Il Belgio, attraverso il suo ministro della Giustizia, Marc Verwilghen ha fatto una richiesta che lascia perplessi: “l’accesso transfrontaliero ai dati informatici” in caso di infrazione constatata su Internet.
Questa richiesta è stata portata a Budapest durante la conferenza sulla criminalità informatica.
“È chiaro che alcune domande – spiega il ministro belga – restano senza risposte adeguate”.
“Penso in particolare – continua – all’accesso transfrontaliero a dati conservati in un altro Stato”. E aggiunge: “Bisogna, durante futuri lavori, prendere in conto questa problematica che pone domande giuridiche e politiche molto delicate”.
“La chiave di volta dell’approccio giuridico alla criminalità informatica risiede nella cooperazione penale internazionale”, ha ancora detto il ministro che è anche stato il presidente di una commissione parlamentare nel caso del pedofilo Dutroux.
Secondo il ministro, il grande plusvalore risiede nella creazione di forme più rapide ed efficaci di cooperazione giudiziaria per l’accesso, la raccolta e la conservazione veloce dei dati informatici, attraverso una rete di contatti intergovernativi accessibile 24 ore su 24 e sette giorni su sette.
Di questo, però, non si è parlato durante i giorni di incontri e non è stato inserito nulla all’interno della convenzione internazionale sui crimini informatici siglata da una trentina di paesi.
Il testo servirà da “referenza” per l’avvenire, come pensa Guy de Vel, direttore generale degli Affari giuridici dell’organizzazione paneuropea: “L’impunità che sembra regnare finora” su Internet potrà essere combattuta.
Entro un anno, secondo le parole di de Vel, un nuovo comitato di esperti redigerà un progetto di protocollo che incriminerà anche la propaganda razzista e xenofoba su Internet. Un buon proposito che dovrà essere spiegato bene agli americani e ai loro giudici, vista la sentenza sul caso Yahoo!.
A seguito degli attentati terroristici dell’11 settembre, manco a dirlo, il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa mira parallelamente a rinforzare la convenzione con disposizioni sulla trasmissione di messaggi terroristici attraverso Internet e la loro decodifica.
De Vel, su questo argomento, mette le mani avanti e dichiara che “la convenzione non autorizza e non dovrà servire da scusa per creare un “big brother”, visto che la convenzione “non autorizza la sorveglianza delle comunicazioni o delle connessioni, ne da parte dei fornitori ne da parte dei servizi di repressione”.
Bisognerà vigilare perché questo non accada e “aiutare” i responsabili nazionali e paneuropei a rispettare questo intento.