L‘identikit del detective più celebre di sempre
- Come funziona il metodo deduttivo di Sherlock Holmes
- Quali sono le ispirazioni reali dietro il personaggio di Sherlock Holmes
- Quali innovazioni forensi sono state anticipate da Sherlock Holmes
- Che ruolo ha giocato Londra nella creazione di Sherlock Holmes
- Che fine ha fatto Sherlock Holmes
1. Come funziona il metodo deduttivo di Sherlock Holmes
Qual è la scienza della deduzione che Sherlock utilizza quando risolve i casi su cui lavora? In altre parole, qual è il contesto scientifico del diamante della deduzione nelle opere di Doyle e come fa il suo protagonista a giungere a risultati così sorprendenti? Come sappiamo, Sherlock è particolarmente attratto dalla complessità dei casi che si trova a risolvere.
Nel secondo romanzo di Conan Doyle, Il segno dei quattro, il nostro consulente investigativo è sdraiato su un divano, si sta annoiando molto e si sente apatico come non mai. Tutto quello che desidera è avere tra le mani un nuovo caso, un enigma che possa sfidare la sua languida mente.
Il mio cervello si ribella di fronte a ogni forma di stasi, di ristagno intellettuale. Datemi dei problemi da risolvere, datemi del lavoro da sbrigare, datemi da decrittare il più astruso crittogramma, o da esaminare il più complesso intrico analitico e io mi troverò nel mio elemento naturale: allora non saprò che farmene degli stimolanti artificiali; ma io detesto il grigio tran tran dell’esistenza quotidiana: ho bisogno di sentirmi in uno stato di esaltazione mentale costante.
Watson passa l’orologio a Sherlock, che a quel punto espone un ragionamento deduttivo che ha lasciato senza parole i lettori dell’epoca di Conan Doyle e che, più di un secolo dopo, ha ispirato l’omaggio allo smartphone da parte dei creatori di Sherlock.
In Il segno dei quattro, Watson all’inizio pensava che il compito che Sherlock stava per intraprendere fosse irrealizzabile. Sperava anche di ammonirlo con una lezione per il tono alquanto lezioso che egli amava assumere di quando in quando, ma sarebbe rimasto deluso. Quando Sherlock finalmente chiude la custodia e la restituisce, dichiara:
L’orologio è stato ripulito di recente, il che mi priva di ogni filo conduttore degno di nota. […] Tuttavia, per quanto incompleto, il mio esame non è stato del tutto infruttuoso. Salvo rettifiche da parte sua, io direi che quell’orologio è appartenuto a suo fratello maggiore, il quale a sua volta dovette ereditarlo da vostro padre.
Watson risponde dicendo che suppone che Sherlock abbia dedotto questo dalle iniziali H.W. sul retro. Lui dà la conferma di quanto detto, ma non si ferma qui:
Precisamente. La W. mi fa pensare al suo cognome. La data dell’orologio risale a quasi cinquant’anni fa, e le iniziali sono vecchie quanto l’orologio, perciò appartiene alla generazione passata. Gli oggetti preziosi di solito vengono trasmessi al figlio maggiore, e accade spesso che questi porti il nome del padre. Suo padre, se ben ricordo, è morto da molti anni. Perciò l’oggetto in questione deve essere stato nelle mani di suo fratello maggiore.
Seguendo l’incoraggiamento di Watson, Sherlock usa le sue capacità deduttive per dimostrare che l’amico non aveva motivo di sperare di essere rimproverato.
Suo fratello era un uomo di abitudini disordinate, molto disordinate e trascurate. Gli furono date molte buone occasioni, ma egli buttò via ogni probabilità di successo, vivendo a volte poveramente, a volte con brevi intervalli di prosperità, finché, datosi al bere, morì. Ecco tutto quello che ho potuto intuire.
La storia poi rivela la tecnica di Sherlock utilizzando il diamante della deduzione, che aiuta a capire come arrivi alle sue conclusioni attraverso un processo sistematico e logico. Sherlock dice che non fa mai supposizioni perché crede che siano una pratica inaccettabile e dannosa per il suo modo di ragionare logico. Suggerisce che la sua tecnica possa sembrare sorprendente e strana a coloro che la osservano perché non seguono il suo ragionamento né vedono i minuziosi dettagli su cui si basano le strane inferenze.
Prendiamo, per esempio, l’affermazione che fa quando dice che il fratello di Watson era disordinato. Su quali minuzie si basava questa deduzione? La parte inferiore della custodia dell’orologio non è solo ammaccata in due punti, ma è anche tagliata e piena di segni a causa dell’abitudine del proprietario di mettere in tasca altri oggetti affilati, come le chiavi o le monete. Sherlock conclude quindi dicendo che un uomo che tratta un orologio costoso in modo così spavaldo deve essere piuttosto negligente.
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Il nostro consulente investigativo descrive anche come sia giunto alla conclusione che il fratello di Watson abbia vissuto per un po’ di tempo in povertà. Spiega a Watson che i banchi dei pegni in Inghilterra, quando prendono un orologio, hanno l’abitudine di graffiare il numero identificativo del biglietto del pegno con uno spillo all’interno della custodia dell’orologio. Sherlock dice che quest’abitudine è utile poiché non si corre il rischio che il numero venga perso o smarrito. Poi informa Watson che ci sono quattro di questi numeri visibili all’interno della custodia dell’orologio di Watson. Conclusione? Il fratello di Watson era spesso al verde. Una conclusione secondaria era che doveva anche aver avuto periodi di relativa prosperità, altrimenti non avrebbe potuto riscattare di volta in volta l’orologio.
Infine, Sherlock dice a Watson di dare un’occhiata alla piastra interna dell’orologio, che contiene un buco per la chiave. In seguito, suggerisce che le migliaia di graffi attorno al buco sono state fatte quando la chiave è scivolata mentre veniva maneggiata. È una quantità enorme, quindi la domanda sorge spontanea: quale uomo sobrio avrebbe fatto solchi del genere? È stato un ubriacone? Sherlock dice che raramente l’orologio di un alcolista è privo di questi segni. Poi, lasciando Watson assolutamente senza parole, conclude chiedendo: Dov’è il mistero in quanto le ho esposto finora?
Come funziona la deduzione
Il tipo di argomento logico che applica il ragionamento deduttivo per arrivare a una conclusione è conosciuto come sillogismo, dal greco syllogismos, che significa conclusione o inferenza. Nella sua forma originaria, un sillogismo si forma quando due proposizioni implicano una conclusione. Per esempio, sapendo che tutti gli uomini sono mortali (proposizione maggiore) e che Sherlock è un uomo (proposizione minore), Watson può concludere correttamente che Sherlock è mortale. Tali argomenti sillogistici possono essere codificati nel seguente modo:
- Proposizione maggiore: ogni X è Y.
- Proposizione minore: Z è X.
- Conclusione: pertanto, Z è Y.
Questo esempio può essere riassunto in una forma a tre linee: tutti gli uomini (X) sono mortali (Y). Sherlock (Z) è un uomo (X). Pertanto, Sherlock (Z) è mortale (Y).
La deduzione dell’orologio di Sherlock
Dopo aver esaminato i tre pilastri del ragionamento, andiamo a vedere nel dettaglio la deduzione che Sherlock fa sull’orologio, esplorando alcune delle inferenze e conclusioni a cui giunge. Una possibile sequenza di pensieri potrebbe essere la seguente.
Deduzione 1
Proposizione maggiore: gli orologi nuovi appaiono lucidi e non hanno graffi.
- Proposizione minore: l’orologio di Watson presenta dei graffi.
- Conclusione: l’orologio di Watson non è nuovo.
- Osservazione: la logica e l’argomento sono validi, poiché le proposizioni sono vere. Nessun orologiaio dell’epoca vittoriana degno di tale nome creerebbe di proposito un orologio pieno di graffi.
Deduzione 2
Proposizione maggiore: le persone che permettono che i loro beni si graffino sono negligenti.
- Proposizione minore: l’orologio di Watson è graffiato.
- Conclusione: il proprietario dell’orologio era negligente.
- Osservazione: questo argomento è valido, ma la proposizione maggiore è falsa, quindi la conclusione è falsa. La semplice presenza di graffi sull’orologio non significa necessariamente che il proprietario sia negligente. Il proprietario potrebbe essere stato coinvolto in un incidente e l’orologio potrebbe essere caduto. Oppure potrebbe aver comprato l’orologio di seconda mano, già pieno di graffi. Inoltre, considerando che l’orologio ha più di cinquant’anni, ci si potrebbe aspettare che presenti segni di usura, alcuni dei quali potrebbero essere irreparabili.
Ulteriore ragionamento
È curioso, questo caso. Stiamo parlando di un proprietario che possiede un prezioso orologio ma deve venderlo e ricomprarlo in quattro occasioni diverse. È chiaro che questo oggetto abbia un valore monetario, poiché il banchiere di pegni l’ha comprato in ciascuna delle quattro occasioni, quindi pensa che possa essere venduto. Tuttavia, il fatto che il proprietario dell’orologio possa ricomprarlo suggerisce che il denaro ha fatto ritorno nella sua vita. Se non è un giocatore d’azzardo, questa situazione finanziaria indica comunque che forse non è bravo a gestire i soldi, ma deve essere abbastanza ricco da poter ricomprare l’orologio per motivi puramente sentimentali.
Conclusione
L’ultima parte della deduzione di Sherlock sull’orologio si concentra sulle abitudini di consumo del suo proprietario. Sherlock usa prima il ragionamento abduttivo per capire come potrebbero essere stati fatti i graffi. Riassume ciò che sa finora sull’orologio e sul suo proprietario: è una persona che ha periodi alterni di disponibilità economica e che spesso si comporta in modo negligente nei confronti del suo costoso orologio.
Forse la persona che carica l’orologio ha una condizione medica che gli fa tremare le mani. O forse è l’età a causargli questo tremore. Tuttavia, dato che Sherlock sa che l’orologio apparteneva al fratello maggiore di Watson, può fare con una certa sicurezza un’ipotesi e decretare che il problema non è di natura medica, poiché Watson non ha menzionato nessun problema medico in famiglia. E poiché il fratello di Watson non può essere molto più vecchio di lui, è improbabile che sia l’età la causa principale del tremore. Quindi, che cosa potrebbe far tremare le mani del fratello di Watson mentre carica l’orologio?
Dato che Sherlock aveva già visto altri orologi graffiati (ragionamento induttivo) a causa del consumo di alcol da parte del proprietario, può concludere che il fratello di Watson ha problemi con l’alcol.
2. Quali sono le ispirazioni reali dietro il personaggio di Sherlock Holmes
Dopo la Bibbia, le storie di Sherlock sono i libri più diffusi e tradotti al mondo. Questo ci permette di reimmaginare la creazione di Conan Doyle come un esempio in vecchio stile della cultura del remix. La cultura del remix, conosciuta in alcune lingue come cultura del lettore-scrittore, è un’espressione che descrive una società che permette e favorisce l’arte derivativa combinando o modificando materiali esistenti per creare nuovi lavori creativi. Con quasi trecento film fino a oggi, più di mille episodi televisivi e altrettante imitazioni, senza contare i videogiochi e i fumetti, Sherlock è stato remixato più spesso di Dracula, Frankenstein, Napoleone e Gesù Cristo. Attraversando le epoche e i continenti, Sherlock è il remix letterario per eccellenza (nella figura puoi vedere i dati dei film).
Andiamo a capirlo meglio. La frase Elementare, mio caro Watson non appare nemmeno una volta nel corpus di sessanta racconti su Sherlock di Conan Doyle. I principali rivali di Sherlock per quel che riguarda il riconoscimento culturale – il conte Dracula e la creatura di Frankenstein – sono comunemente associati alle loro rappresentazioni cinematografiche piuttosto che alle loro origini letterarie. Sherlock è un amalgama, un remix che va ben oltre la portata di qualsiasi singolo adattamento o rappresentazione, compreso l’originale di Doyle. Pensiamoci bene. Nell’immaginario popolare, il mostro di Mary Shelley ha ancora il volto di Boris Karloff dal film del 1931, Frankenstein. E Dracula è quasi sempre un derivato dell’iconica interpretazione che Bela Lugosi offre del Conte nel film Dracula dello stesso anno.
Ma la popolare rappresentazione di Sherlock Holmes come una figura culturale che è stata reinterpretata e mescolata in vari modi è in parte nata dalla penna di Conan Doyle, in parte dalle illustrazioni di Sidney Paget, in parte dall’adattamento teatrale di William Gillette, in parte dalla rappresentazione cinematografica di Basil Rathbone e in parte dalle interpretazioni televisive di Jeremy Brett e Benedict Cumberbatch. Ogni nuova generazione può avere la sua immagine preferita di Sherlock, ma nessuna preferenza domina sulle altre; nessuna versione è definitiva.
Serialità
Un’altra influenza fondamentale sul potenziale remix di Sherlock è la natura seriale delle avventure, a cui si aggiunge la struttura intrinsecamente ripetitiva dei racconti di Doyle. Questa struttura ripetitiva ha permesso di godere di una serie di libertà narrative per liberare Sherlock dai legami del Tamigi e dalle catene di Baker Street, e di immetterlo nel mondo. Confrontiamolo con altri personaggi come Frankenstein e Dracula, le cui storie di origine sono in qualche modo incapsulate nella pietra narrativa posta da Mary Shelley e Bram Stoker.
La variegata mescolanza dei sessanta racconti di Sherlock ha favorito i remix creativi che ne hanno fatto seguito. La formula familiare di Doyle è diventata un facilitatore piuttosto che un limite. Sherlock e Watson potevano essere trapiantati in scenari alieni, altri luoghi, altri universi di finzione. E i futuri scrittori di storie che avevano per protagonista Sherlock potevano prendere la linea temporale generale di un testo di Doyle (un inizio a Baker Street, una rappresentazione cerimoniale e un promemoria tempestivo dei poteri deduttivi del nostro detective, o magari il cliente che viene a fare una consultazione per un caso eccetera) e cambiare i dettagli per adattarsi alle nuove narrazioni.
La combinazione creativa di Conan Doyle che unisce la familiarità formale con contenuti caleidoscopici ha reso Sherlock particolarmente adatto ai primi segnali di fandom che ribollivano negli anni Novanta del diciannovesimo secolo. Non sorprende che una manifestazione precoce di questo fandom, durante la grande assenza dopo la morte di Sherlock nel 1893, avesse dato origine a una competizione nella pubblicazione di The Strand, Tit-Bits (sì, la rivista si chiama realmente in questo modo, perché i britannici sono piuttosto strani), che invitava i lettori a scrivere i loro racconti sherlockiani.
Holmes nei concorsi di scrittura
Tali concorsi di scrittura delle avventure di Sherlock hanno contribuito anche a fare pubblicità a The Strand. Sherlock era, dopotutto, il marchio più forte che possedevano. E quanto è evoluto! Se prima, negli anni Novanta, era una merce in vendita, Sherlock si è sviluppato nel corso del ventesimo secolo fino a diventare il mezzo della pubblicità stessa. Gli esempi di aziende e merci sono troppi per poterli menzionare tutti, ma basta prenderne qualcuno in prestito da Amanda J. Field in Sherlock Holmes in Advertising, che include la birra New Golden Glow Beer, il whisky Teacher’s, le pagine gialle Yellow Pages, le macchine da scrivere Canon, i cornflakes Crunchy Nut di Kellogg’s e Kodak.
Mentre la rappresentazione di Sherlock da parte di Doyle può essere vista come una forma di codifica di certi concetti di inglesità, mascolinità e del metodo scientifico, confrontandosi con il feticismo delle merci del capitalismo, Sherlock è anche un personaggio incredibilmente adattabile, che può essere mescolato e reinterpretato in modi diversi. Nelle parole di Amanda J. Field, Sherlock è un significante fluttuante che può essere applicato a piacimento in diverse campagne pubblicitarie in situazioni storiche diverse. Un sogno alla Mad Men.
3. Quali innovazioni forensi sono state anticipate da Sherlock Holmes
I racconti di Sherlock Holmes sono alcuni dei pochi casi di narrativa in cui viene citata la nascente tecnologia delle impronte digitali. Un assassino viene identificato grazie a questo metodo nel libro di Mark Twain del 1883 Vita sul Mississippi, ma Conan Doyle ha scritto molti casi in cui si parla di impronte digitali. Tra questi ci sono: Il segno dei quattro (1890), L’uomo dal labbro spaccato (1891), L’avventura della scatola di cartone (1893) e, molto più tardi, L’avventura dei Tre Frontoni (1926).
In Il segno dei quattro, Sherlock nota che l’impronta di un pollice è stata lasciata sulla busta inviata a Mary Morstan da Thaddeus Sholto, il personaggio del racconto che ha creato in omaggio a Oscar Wilde. Sherlock sospetta che l’impronta in questione appartenga al postino. (Sherlock: Timbro postale, Londra, S. W. Data, 7 luglio. Uhm! In un angolo c’è l’impronta di un pollice maschile, il postino, probabilmente. Carta di qualità ottima. Busta da sei pence al pacchetto. Lo scrivente è una persona molto ricercata in fatto di cancelleria. Niente indirizzo.) L’impronta non porta a nessuna risposta, poiché Sholto rivela la propria identità a Mary Morstan.
La cosa curiosa è che ci sono un paio di racconti in cui la sospetta assenza di impronte digitali è rilevante per il caso. In L’avventura dei tre studenti, Sherlock fa notare che sui fogli degli esami di Hilton Soames manca l’impronta digitale. In L’avventura del Cerchio Rosso, Sherlock sospetta che le istruzioni inviate a Mrs. Warren hanno un angolo strappato perché il mittente stava cercando di togliere un’impronta:
Sherlock: Noterai che la carta è stata strappata sul lato, proprio qui, dopo che è andata in stampa, infatti la ‘s’ di ‘sapone’ è in parte invisibile. Suggestivo, Watson, non è vero?
Watson: Per precauzione?
Sherlock: Esattamente. C’era evidentemente un segno, un’impronta digitale, qualcosa che avrebbe potuto dare un indizio sull’identità della persona.
Questo ci porta al racconto del 1903 di Conan Doyle, L’avventura del costruttore di Norwood, in cui Lestrade dichiara che non esistono due impronte digitali uguali. In questo momento, Lestrade ha trovato su un muro l’impronta insanguinata (ancora una volta, un’impronta digitale) del principale sospettato, John Hector McFarlane. Lestrade ricorda piuttosto trionfalmente a Sherlock che si dice che le impronte digitali siano uniche, e quindi la sua scoperta dell’impronta digitale dovrebbe essere decisiva per il caso. Sherlock conosce questa unicità, ovviamente, ma è anche consapevole del fatto che l’impronta è stata messa lì intenzionalmente, dopo che McFarlane era stato preso in custodia.
Sherlock, sarcastico: Che cosa provvidenziale che questo giovane abbia premuto il pollice destro contro il muro mentre prendeva il cappello dallo gancio! Un’azione molto naturale, se ci pensi.
Watson, come narratore: Holmes all’esterno era calmo, ma tutto il suo corpo si contorceva per l’eccitazione repressa mentre parlava.
Il giorno prima, Sherlock aveva condotto da solo uno studio forense del muro in questione. Ne ha dedotto che l’impronta doveva essere stata lasciata sul muro quando faceva buio da un certo Jonas Oldacre. L’aveva fatto per uno scopo preciso: incastrare McFarlane. Oldacre si era procurato l’impronta dell’uomo chiedendogli di premere il dito su un sigillo di cera da apporre su un documento legale. È chiaro che Conan Doyle ha dotato il subdolo Oldacre di una certa intelligenza tecnica, poiché il suo personaggio doveva essere a conoscenza del fatto che, come dice Lestrade, non esistono due impronte digitali uguali. Altrimenti, Oldacre avrebbe commesso l’errore di mettere lì l’impronta digitale di una persona qualsiasi, magari la propria, e non si sarebbe preoccupato di procurarsi quella di McFarlane facendogli mettere il dito nella cera.
Possiamo quindi capire quanto fosse aggiornato il lavoro di ricerca forense di Conan Doyle. L’avventura del costruttore di Norwood è stato pubblicato nell’ottobre del 1903. Il 27 giugno dello stesso anno, un articolo con il titolo Criminals Convict Themselves (I criminali si condannano da soli) è apparso sulla rivista Tit-Bits. L’articolo riportava un caso avvenuto di recente nella contea di Yorkshire, in Inghilterra, dove un ladro, visibilmente intenzionato a rilassarsi, aveva deciso di prendersi una pausa dal suo crimine, che in quel momento sembrava non essere così urgente. Durante questa pausa, aveva lasciato casualmente/volutamente (*scegli l’opzione adeguata) un’impronta sporca su un libro. Conan Doyle ha letto l’articolo? Molto probabilmente sì. Tit-Bits era più popolare della rivista The Strand, che ha giocato un ruolo significativo nell’affermare Sherlock come icona letteraria e culturale del suo tempo. Non solo, ma tra il 1892 e il 1918, Tit-Bits ha pubblicato sei racconti brevi, un romanzo, un’intervista e tre articoli scritti proprio da Conan Doyle.
Speculazioni a parte, L’avventura del costruttore di Norwood è la prima occasione che la narrativa sfrutta per utilizzare un’impronta digitale falsa. La serie di racconti in cui Sherlock fa riferimento alle impronte digitali è una testimonianza della ricerca che Conan Doyle ha intrapreso e che ha continuato a rendere i suoi racconti così importanti da un punto di vista scientifico. Quando la Scotland Yard di Londra ha approvato la tecnologia delle impronte digitali per le procedure criminali, Conan Doyle aveva già scritto tre racconti in cui veniva utilizzato questo metodo.
4. Che ruolo ha giocato Londra nella creazione di Sherlock Holmes
La cacofonia di Londra
Se la vista è intrappolata nella foschia, anche i suoni di Londra sono attenuati e distorti dalla nebbia. La città è già invasa dal rumore. Immaginate la cacofonia. I maiali grugniscono, i corvi gracchiano, i registratori di cassa squillano, i cani abbaiano, le seghe cantano. I venditori ambulanti schiamazzano per vendere le loro merci su Ludgate Hill. I tassisti gridano per parlarsi da un lato all’altro della strada. I ragazzini urlano le notizie del giorno. Leggi la storia di Andrian, l’uomo che ha la faccia di un cane! o Jack il saltatore è stato avvistato a Clapham! E presto, Jack lo Squartatore colpisce di nuovo. Gli ubriachi cantano e urlano per le strade e le piazze. E poi c’è il frastuono melodioso degli inevitabili musicisti, che Charles Dickens ha descritto come esibizioni sfacciate su strumenti sfacciati, suonatori di tamburi, macinatori di organi, battitori di banjo, battitori di piatti, suonatori di violino in preda all’ansia e urlatori di ballate.
A metà del secolo e negli anni in cui è nato Sherlock, le decine di migliaia di cavalli che trainavano i taxi Hansom e gli omnibus avevano trovato un concorrente nelle macchine ferroviarie. Le urla dei mudlark (che erano ragazzi tra gli otto e i quindici anni, o anziani robusti) vantavano di essere riusciti a rinvenire qualcosa dal fango del fiume. Sherlock credeva che le rive del Tamigi fossero una ricca fonte di manufatti antichi. Sapeva che i relitti che si erano accumulati per secoli si erodevano giorno dopo giorno per rivelare il passato della città. Sapeva dai Baker Street Irregulars che i mudlark raccoglievano roba nel fango. L’antico detto inglese where there’s muck there’s brass (dove c’è lo sporco c’è il denaro) era valido per quelle povere anime che perlustravano la riva del fiume nella speranza di riuscire a sopravvivere.
La Londra di Sherlock: Jekyll e Hyde
In Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde, lo scienziato, il dottor Henry Jekyll, un uomo di cinquant’anni, di bell’aspetto e con un leggero sguardo astuto, crea un siero nel tentativo di camuffare il suo male nascosto, ma finisce soltanto per peggiorare la situazione. Il suo alter ego, il signor Edward Hyde, assume sempre più potere. (L’isteria causata dagli omicidi seriali di Jack lo Squartatore aveva raggiunto un tale livello che persino gli attori che interpretavano dei killer sul palcoscenico sarebbero stati sospettati di omicidio. Inoltre, la produzione teatrale di Jekyll and Hyde al Lyceum Theatre sarebbe stata costretta a chiudere a causa di questo clima di sospetto e paura generalizzata). Nella teologia cristiana, la caduta di Lucifero è dovuta al suo rifiuto di riconoscere di essere una creatura, con una natura duale.
È strano immaginarlo, un’intera città piena di poveri, feriti e mutilati. Eppure, in larga parte, Londra è esattamente questo. Nei primi anni di questo stesso secolo, Londra aveva alcune caratteristiche tipiche di una piccola città. Era compatta. Un po’ come Londinium dei tempi antichi, capitale della Britannia durante il dominio romano quando la città era delimitata dalle antiche vie chiuse (nei primi anni del diciannovesimo secolo era ancora possibile disegnare un piccolo cerchio sopra il gruppo di tetti e delimitare così il centro urbano e i suoi confini).
Ma poi Londra è diventata la città di Sherlock. La città del tempo delle macchine e del motore a vapore. La patria della filosofia naturale, dove è stata scoperta e dichiarata la scienza elettromagnetica. Una città la cui espansione verso tutti i punti cardinali annunciava al globo che la Gran Bretagna era diventata la prima società urbanizzata al mondo. Londra era il centro della produzione di massa, e le forze impersonali del capitale esigevano un vasto esercito di impiegati e scribacchini. In questo senso, Londra trasformava i suoi cittadini in schiavi della macchina.
La città oscura di Sherlock
Nel tempo, Londra è diventata una metropoli di luce e ombra. Era una città così densamente popolata da sembrare nera come la pece, e il suo clima creava simboli simili a geroglifici, scritti con la fuliggine e il fumo sulle sue antiche pietre. Era una città la cui popolazione sarebbe cresciuta fino a contare sette milioni di persone all’epoca della Grande Guerra. E così Londra è diventata più oscura. Era una scala che andava dalla luce al buio. Gli abiti dei suoi operai erano passati dai colori audaci al nero biblico dei redingote e dei cappelli a cilindro. Anche nell’architettura si assisteva allo stesso fenomeno. La grazia e i colori degli edifici georgiani dei primi anni del secolo erano stati eclissati dalle massicce strutture neogotiche dell’Impero Vittoriano.
La Londra oscura di Sherlock è diventata più densa, gestita e organizzata in modo centralizzato. Era anche diventata molto più anonima e meno umana. Era una megalopoli in cui il crimine poteva farsi largo tra le sue strade. C’erano circa mezzo milione di abitazioni, abbastanza per circondare l’intera isola britannica. Ogni otto minuti moriva qualcuno nella città di Sherlock. Ogni cinque minuti nasceva qualche povera anima. Il Big Smoke contava in quel momento quarantamila venditori ambulanti, venditori di merci, e centomila barboni che in inverno vagavano per le sue strade. La città poteva vantare più irlandesi di Dublino e più cattolici di quanti ne vivessero nella Città Eterna, Roma. Londra aveva più di ventimila pub, che offrivano da bere a più di mezzo milione di bevitori. E dove c’è da bere, c’è il diavolo.
Whitechapel ospitava le peggiori baraccopoli. Il quartiere era noto per i suoi tortuosi vicoli e passaggi, ad alta densità umana e criminale. La vita nelle strade di Jack lo Squartatore era cupa. Più della metà dei suoi quasi ottantamila abitanti viveva in povertà, lavorando fino a diciotto ore al giorno per un salario irrisorio. Il più piccolo degli errori poteva costare caro: una riduzione del salario giornaliero simile a quella che avrebbe proposto Ebenezer Scrooge, o la perdita del sostentamento. Il lavoro era appena migliore della sorte di uno schiavo, le fabbriche erano piene zeppe di fumi pericolosi, gli edifici erano ricoperti da uno strato di sporcizia o costruiti addirittura su pozzi neri.
La vita domestica nelle strade di Jack lo Squartatore non era migliore. Molti vivevano in alloggi comuni, in stanze infestate dai topi e affollate fino al soffitto, in modo che i padroni di casa potessero trarre il massimo profitto possibile. In un clima del genere, il crimine era una convenzione più che un’eccezione. Gli uomini potevano trovare conforto nella compagnia delle donne, fornendo ai proprietari ulteriori profitti dopo che avevano trasformato gli alloggi in bordelli. La zona peggiore di Whitechapel era nota ai più come the wicked Quarter Mile (il malvagio quarto di miglio). Il quartiere includeva Thrawl Street, Flower Street e Dean Street, con stanze non più grandi di due metri e mezzo per due metri e mezzo, che avrebbero potuto ospitare contemporaneamente venti persone che cucinavano, mangiavano, dormivano e lavoravano nello stesso spazio. Quando sono sopraggiunti i delitti di Jack lo Squartatore, alcuni poliziotti hanno ipotizzato che il percorso dell’omicida portasse vicino a Flower e Dean Street, mentre altri pensavano che il quarto di miglio fosse l’epicentro della loro caccia all’uomo. Jack lo Squartatore. Un giorno Sherlock Holmes potrebbe riflettere sul fatto che gli uomini guarderanno indietro e diranno che Jack lo Squartatore ha dato inizio al ventesimo secolo.
5. Che fine ha fatto Sherlock Holmes
Un caso che non è mai stato risolto è proprio quello del destino di Sherlock. Quasi centoquarant’anni dopo che un giovane medico ha preso appunti per un romanzo che è poi diventato Uno studio in rosso, il più grande consulente investigativo del mondo continua a sfuggire a qualsiasi verdetto definitivo.
Certo, sappiamo che Sherlock si è ritirato da Baker Street per andare a curare le api nel Sussex Downs. Ce l’ha detto Conan Doyle in persona. Nel suo racconto del 1905, L’avventura della seconda macchia, Watson lascia intendere che il suo compagno era stato messo in pensione in un idillio pastorale. Come abbiamo visto in precedenza, Conan Doyle una volta ha cercato di fare fuori Sherlock. Sempre desideroso, a quanto pare, di farlo uscire di scena, forse l’idea del pensionamento sembrava una trovata gentile rispetto all’altra opzione: ucciderlo.
Dodici anni dopo, Doyle lascia un altro indizio. Il racconto L’ultimo saluto. Un epilogo è stato visto come uno strumento di propaganda destinato a sollevare il morale dei lettori britannici. Sherlock e Watson si trovano a fronteggiare una rete di spie tedesche. Ambientato nell’agosto 1914, alla vigilia della Prima guerra mondiale, pone fine alla cronologia sherlockiana creata da Conan Doyle.
Questa mancanza di dettagli sul destino ultimo di Sherlock è tipica di Doyle. Non c’è da meravigliarsi che il fenomeno sherlockiano persista. Nei suoi sessanta racconti, Doyle potrebbe aver aggiunto qualche dettaglio risicato, ma in generale ha lasciato vasti tratti della tela vuoti. Ci sono ulteriori elementi che contribuiscono alla spettacolarità artistica e narrativa delle storie di Sherlock Holmes: incorporano un universo fittizio ben definito ma volutamente incompleto. Pensate ai personaggi di Doyle, ben caratterizzati ma che rimangono incompleti, simili a uno schizzo fatto a matita. Questi personaggi entrano ed escono dai racconti in una manciata di paragrafi. Mycroft, il fratello maggiore di Sherlock, ancora più intelligente di lui, viene menzionato solo in quattro storie, eppure ha lasciato un segno importante nel mondo della letteratura. Moriarty, il matematico diabolico nonché genio del crimine, appare solo in due racconti e viene menzionato di striscio in altri cinque, ma è stato una figura fondamentale per la creazione di tutti i nemici segreti e superintelligenti che sarebbero nati dopo di lui. Irene Adler appare in una sola storia, ma è la femme fatale che ha battuto Sherlock.
Ci sono tanti motivi che spiegano perché Sherlock sia così presente nelle nostre vite ancora oggi. Dal suo arrivo nel 1887, il cinquantesimo anno del regno della regina Vittoria, si è affermato come un vero e proprio miracolo letterario. Conan Doyle è morto di infarto nel 1930, tre anni dopo la pubblicazione dell’ultimo racconto di Sherlock su The Strand. Aveva settantun anni. Forse era un genio creativo. Forse era un inventore prolifico animato da un’enorme voglia di vivere. Eppure, è stato solo un essere mortale che, alla fine, ha perso la battaglia contro il suo stesso personaggio immaginario, che non è mai esistito nella realtà e che non morirà mai.
Questo articolo richiama contenuti da La scienza di Sherlock Holmes.