Sinceramente la differenza qualitativa con l’elenco dei redditi che poteva essere pubblicato anche l’anno scorso (e che alcuni giornali, soprattutto di provincia, continuavano a pubblicare) io davvero non riesco a trovarla, ma dev’essere un limite mio. E il provvedimento di ieri del Garante della Privacy non avrà effetto alcuno sui mass media: i giornali, fingendo di andare a prendere gli elenchi in municipio, continueranno a stampare i nomi di tutti i contribuenti che vorranno. Dite pure che così si asseconda il più volgare voyeurismo dei lettori (non il mio: non sono andato a controllare neppure la mia dichiarazione, tanto per non deprimermi troppo), ma è un sistema che funziona, almeno dal punto di vista diffusionale, se saranno confermati i dati di vendita provvisori e ufficiosi dei giornali di questi ultimi giorni.
Per le sfaccettature giuridiche vi rimando a esperti come Daniele Minotti, Elvira Berlingieri (che ne ha scritto su Apogeonline proprio questa settimana), Guido Scorza, Andrea Monti e altri, ma la storia della ricchezza italiana del 2005, che per poche ore è rimasta visibile a tutti sul sito ufficiale dell’Agenzia delle Entrate e poi ha continuato a vivere attraverso eMule e altri programmi di peer-to-peer, presenta aspetti che devono essere approfonditi anche da punti di vista che mi sono più familiari, quelli della comunicazione e dell’informazione (due concetti diversi che non possono essere confusi, soprattutto quando si analizzano casi come questo: chi volesse cominciare ad approfondirli può partire dall’ottimo testo di Luca De Biase nel numero di dicembre 2003 di Problemi dell’informazione).
Un punto mi pare chiaro: il Garante non ha negato in modo assoluto la possibilità della pubblicazione via Internet dei dati fiscali dei contribuenti (faccio riferimento al comunicato stampa apparso sul sito, in attesa che sia pubblicato il provvedimento), ha detto che l’Agenzia delle Entrate ha scelto un metodo che contrasta con l’attuale Codice per la protezione dei dati personali e soprattutto con le possibilità concesse al direttore dell’Agenzia dall’ormai famoso Dpr 600 del 1973 (soltanto il legislatore può decidere come pubblicare gli elenchi dei contribuenti). Da questo discenderebbe l’illegittimità (o l’illiceità?) di tutti gli atti successivi, a partire da quelli di coloro che hanno amplificato con il P2P la diffusione degli elenchi e di coloro che li hanno pubblicati su giornali e siti Internet. Come ho detto all’inizio, si tratta della chiusura della stalla quando i buoi sono già scappati: i giornali fingeranno di continuare ad attingere legalmente i dati dai comuni e la cache di Google farà in modo che anche in Rete molti di quegli elenchi diventino indelebili.
Bene ha fatto il Garante a richiamare l’attenzione sulla necessità di aggiornare norme vecchie, nate quando internet non stava neppure nella mente di Berners-Lee o Cailliau, o norme più recenti ma inadatte all’evoluzione della tecnologia. Male ha fatto invece (stando sempre al comunicato stampa, unico documento per ora disponibile) a cadere nella trappola della demonizzazione di Internet. La Rete è uno strumento che permette le peggiori nefandezze, è vero, ma anche le pellicole dei film possono essere utilizzate per registrare sia il Settimo Sigillo sia un porno e sulla carta si possono leggere sia la Divina Commedia sia Mein Kampf. L’importante è conoscere le caratteristiche e le potenzialità del mezzo di comunicazione, credere di poter controllare tutto ciò che va in Rete è invece soltanto una pia illusione (come è una pia illusione di molte dittature poter utilizzare la censura per impedire la diffusione di scritti poco graditi).
Parlo di demonizzazione perché, pur non arrivando al paradosso di coloro che hanno sostenuto che quegli elenchi avrebbero potuto essere usati dalla criminalità organizzata, il Garante ha comunque scritto che la diffusione in Internet avrebbe permesso una loro precedente manipolazione o alterazione. Cosa che sarebbe stata possibile anche quando il sottoscritto negli anni Ottanta, dopo che un avviso era arrivato in redazione, andava scarpinando con il taccuino in mano all’allora ufficio imposte, si sedeva in un ufficetto e riceveva da un funzionario l’elenco di tutti i contribuenti della provincia, indiscriminatamente, dal quale poi provvedeva a ricopiare i nomi che voleva. Avessi voluto alterare i dati avrei potuto farlo e sarebbero rimasti immodificati nelle raccolte del giornale, consultabili anche oggi, salvo invisibili (e neppure certe) lettere di rettifica. Internet è assolutamente neutrale rispetto all’onestà delle persone.
Altro aspetto contestato anche dal Garante è quello della permanenza dei dati in Rete anche al di là di un anno, limite massimo per la loro consultabilità fissato dal Dpr 600/73. Peccato che si tratti di irregolarità ormai non più perseguibili, visto il tempo trascorso, altrimenti inviterei il Garante a procedere anche nei confronti miei e del mio direttore di allora, visto che per colpa sua e mia in molte biblioteche è ancora possibile leggere i dati dei contribuenti trevigiani di vent’anni fa. Anche qui Internet è neutrale: permette soltanto di arrivare più rapidamente ai nomi e ai numeri che si cercano, ma non cambia sostanza e qualità dell’eventuale irregolarità che veniva commessa anche dai giornalisti che ancora non usavano neppure il computer. E a nessuno è venuto in mente che fino all’anno scorso, senza dire niente a nessuno, avrei potuto andare legittimamente all’Agenzia delle entrate, copiare (o fotografare) tutti i nomi e i redditi di Treviso – la mia provincia – e di tutte le province che mi interessavano, mettere quegli elenchi in un Cd e venderli a qualche estorsore? Siamo sicuri che nessuno l’abbia fatto? E, se fosse accaduto, avremmo detto che il sistema era sbagliato o avremmo messo in galera chi ne abusava?
Altro argomento sbandierato è quello che in nessun altro paese al mondo i dati sarebbero accessibili via Internet. E allora? È un giudizio di merito? Significa automaticamente che il metodo italiano è da cambiare?
Abbiamo visto che dal punto di vista dell’informazione e della comunicazione poco è cambiato. Come è successo in molti altri settori, internet ha soltanto reso più semplice ai giornalisti e ai non giornalisti l’accesso alle banche dati. Se la conoscenza dei redditi dei contribuenti veniva considerata fino a ieri dalla legge un’operazione di trasparenza alla quale potevano essere sacrificati alcuni diritti alla riservatezza, Internet ha reso più semplice il tutto (le mie condizioni di salute, invece, sono protette in modo assoluto e non sono conoscibili neppure per un giorno da persone che non siano il mio medico e chi mi ha in cura: qui il diritto alla riservatezza prevale su quello alla trasparenza). Certo, l’Agenzia delle Entrate avrebbe potuto studiare un sistema di accesso un po’ più raffinato e si sarebbe dovuta comportare in maniera diversa con il Garante, Certo, i giornalisti – alcuni giornalisti – non vedevano l’ora di mettere le mani così facilmente su quegli elenchi (e voglio vedere chi sindacherà l’interesse pubblico alla pubblicazione di questo o quel nome). Certo, le leggi italiane (perché le leggi sono necessarie, Internet non può essere il luogo in cui tutto è permesso) sono insufficienti e inadeguate. Detto questo, non vedo alcuno scandalo di proporzioni galattiche, non vedo diritti inalienabili compromessi, non vedo pericoli per la sicurezza dei cittadini.
Il diritto totale all’oblio appartiene a un altro mondo, quello nel quale non esisterà più la memoria cache.
Post scriptum
Dal punto di vista dell’informazione la sostanza del discorso non cambia, però poche ore dopo la pubblicazione del mio testo è stato reso noto il provvedimento ufficiale del Garante, che esclude la legittimità attuale della diffusione dei dati via internet («la predetta messa in circolazione in Internet dei dati, oltre a essere di per sé illegittima perché carente di una base giuridica»). Io avevo potuto far riferimento unicamente al comunicato stampa di ieri, nel quale la diffusione via internet non veniva esclusa, ma veniva soltanto criticata la modalità usata dall’Agenzia delle Entrate («L’inserimento dei dati in Internet, inoltre, appare di per sé non proporzionato rispetto alla finalità della conoscibilità di questi dati. L’uso di uno strumento come Internet rende indispensabili rigorose garanzie a tutela dei cittadini. L’immissione in rete generalizzata e non protetta dei dati di tutti i contribuenti italiani – non sono stati previsti “filtri” per la consultazione on line – da parte dell’Agenzia delle entrate ha comportato una serie di conseguenze»). Tutto questo per la precisione, si sarebbe detto un tempo la domenica pomeriggio.