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I piccoli geni dell’informatica che fanno sognare Israele

23 Giugno 1998

I piccoli geni dell’informatica che fanno sognare Israele

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Le vicende dei giovani geni israeliani dell'informatica, diventati miliardari vendendo la loro impresa a grandi aziende americane, sta facendo sognare un intero popolo.

Quasi tutti i giornali israeliani hanno pubblicato nei giorni scorsi, in prima pagina, la foto di tre ragazzi dai capelli lunghi che avevano appena realizzato il grande colpo: ognuno di loro aveva incassato sessanta milioni di dollari da America Online. AOL, il più grande fornitore mondiale di accesso a Internet, aveva, infatti, comprato Mirabilis, l’azienda che i tre giovani informatici avevano fondato due anni prima sviluppando ICQ, un sistema che permette agli utenti di Internet di sapere se i loro amici sono collegati in quel momento, se stanno navigando, partecipando a una Chat o giocando. Tutto in tempo reale.
Ma le “success story”di questo tipo sono molte: Check Point, un’altra azienda specializzata nella sicurezza in rete, creata da quattro giovani informatici nel 1994, è attualmente quotata in borsa a New York e la sua capitalizzazione supera il miliardo di dollari.

Noy Narunsky, che ha iniziato a programmare a 13 anni, ha messo a punto un sistema già in commercio che permette ai bambini, anche prima di imparare a leggere, di usare il computer dei genitori senza cancellarne i programmi. Ormai è diventato una star, anche se porta ancora il tipico apparecchio per i denti degli adolescenti. Attualmente sta preparando una versione inglese del programma e spera di aprire una propria azienda, una volta raggiunti i 18 anni, per produrre un’applicazione che mantiene ancora segreta. Il suo obiettivo dichiarato: “detroneggiare Bill Gates”.

È lo stesso sogno covato da molti giovani informatici israeliani. Nel Paese attualmente ci sono circa duemila “start-ups”, piccole imprese che si lanciano nel grande mercato dell’informatica mondiale. Nella maggior parte dei casi i fondatori sono giovani ingegneri informatici appena usciti dall’università o che hanno fatto il militare nei servizi informatici dell’esercito. A sostenerli ci sono centinaia di fondi comuni di capitali di rischio israeliani o stranieri. La quotazione in borsa, a New York, è l’obiettivo supremo, quello che solo una minoranza riesce a raggiungere.
“Una volta – dice Gidéon Tulkovksi, direttore di Veritas uno dei fondi d’investimento – servivano diversi anni di esperienza per aprire un’azienda. Oggi, con Internet, questo problema è scomparso e l’inesperienza, a volte, è persino un vantaggio”. Secondo Tulkovksi, su otto “start-ups”, in media, una ha successo, due falliscono e cinque sopravvivono.

Lo Stato incoraggia questa “rivoluzione tecnologica”. L’ufficio scientifico del ministero del Commercio e dell’Industria sblocca ogni anno oltre cento milioni di dollari per coprire una parte delle spese di ricerca e sviluppo di queste imprese in erba.
Il primo ministro israeliano Netanyahu ritiene strategico lo sviluppo del settore dell’high-tech che, contrariamente ad altri settori economici come per esempio il turismo, non risente delle difficoltà che sta incontrando il processo di pace in Medio Oriente.

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