La chiave di lettura della ricerca sta nella dialettica tra i fattori di forza della professione giornalistica e i segnali di crisi dovuti all’evoluzione in atto. L’elencazione di entrambi, almeno sul piano numerico, li porterebbe ad equivalersi, ma sono i loro effetti qualitativi, e non la dimensione quantitativa, che andranno capiti e interpretati nei prossimi anni.
Sono fattori di forza della professione, così come sono emersi finora:
- la percezione molto diffusa (68,1%) che quella giornalistica sia una professione importante per la società
- la convinzione che l’obiettività non sia né un luogo comune né un’utopia, bensì uno scopo da raggiungere (57%) e una costante approssimazione alla verità (28,1%) nell’esercizio del proprio lavoro
- la grande rilevanza attribuita al talento personale come fattore essenziale per svolgere la professione; ci vuole fiuto (39,5%), curiosità (53,9%) ed equilibrio (28,6%), innanzitutto, e poi, interessante e significativa apertura di un sipario troppo spesso lasciato chiuso, ci vuole un maestro che insegni il mestiere (29,9%)
- la buona valutazione delle personali prospettive di carriera (44,6%), in ambito professionale, come anche del loro miglioramento (31,4%) in diversi casi
- la convinzione che il ruolo di una testata giornalistica sia quello, e fondamentalmente quello, di: informare sui fatti (41,7%), spiegarli, farli capire (43,3%), essere un punto di riferimento (35,8%)
- l’atteggiamento professionale nel presentare i fatti improntato alla cura della fondatezza delle informazioni (72%) e alla capacità di presentare la realtà così com’è, anche nei suoi aspetti più crudi (20,3%)
- la totale assunzione di responsabilità in merito al problema del rapporto tra media e minori; una questione delicata che nella grande maggioranza dei casi (90,8%) i giornalisti ritengono di poter regolare direttamente senza altri ausili istituzionali o formali
- il riconoscibile e definito orientamento deontologico nell’indicare una lesione della dignità altrui (74,8%), una caduta di gusto (48,7%) o un errore di valutazione (41,2%) come le cose più gravi che possano professionalmente accadere.
Sono, invece, chiaramente segnali di crisi di trasformazione della professione:
- le poche (57,4%) o scarse (14,8) prospettive intraviste per i giovani che vorrebbero accedere ai ranghi professionali, o che sono appena entrati e devono costruire il proprio futuro in una situazione di grande confusione evolutiva della professione
- le previsioni di un mutamento così radicale degli assetti professionali che potrebbe spingersi fino alla modificazione stessa della figura del giornalista, e delle testate, così come sono oggi, ritenendo che crescerà il ricorso ai service esterni (64,8%), e ai liberi professionisti (51,6%), e che una figura più ampia di comunicatore (43,4%) prenderà il posto dell’attuale giornalista
- la denuncia di un lavoro ormai fatto di troppa scrivania (34,7%), troppa routine (33,9%), e persino troppa attenzione a ciò che accade dentro la televisione (23,7%), piuttosto che a ciò che accade fuori di essa; da giramondo, e ficcanaso in ogni gradino della scala sociale, il giornalista si sta trasformando in un impiegato incollato alla scrivania con gli occhi fissi sui monitor (molto spesso televisivi)
- la denuncia delle significative carenze di formazione, in primo luogo per la conoscenza delle lingue (71,8%), ma in secondo luogo per la necessità avvertita di una formazione continua (61,3%) su cui poter contare
- le generalizzate, ma destabilizzanti, incertezze verso le nuove tecnologie
- e fra queste, la sensazione che le aziende editoriali o non hanno fatto investimenti (11%) in questa direzione, o, se li hanno già fatti, non se ne intravede la strategia (59,3%)
- la paura della minaccia, definita dirompente (10,7%), dei new media alla propria professionalità (43,9%), la cui forza, a quanto pare, trova un limite nell’effetto potenzialmente sgretolatore delle nuove tecnologie di rete applicate al lavoro giornalistico standard.
Questi sono alcuni dei principali risultati a cui è giunto il primo Rapporto annuale sulla comunicazione in Italia. Il Rapporto è stato realizzato da Censis e Ucsi in collaborazione con otto tra i più importanti soggetti della comunicazione: Mediaset, Mondadori, Omnitel, Ordine dei giornalisti, Rai, Rcs, Telecom Italia, Upa. Ulteriori informazioni sul sito Censis.