Il Daily Mail è un grande quotidiano britannico, il secondo per vendita di copie. È molto influente rispetto alle classi medie del Regno Unito, che aiuta a costruirsi un’opinione in merito al mondo che cambia. Che la sua attenzione sia oggi dedicata a mettere in cattiva luce Facebook mi sembra il sintomo rivelatore di uno stato di trasformazione mediale che si gioca sulla contrapposizione fra vecchi media (televisioni e carta stampata in prima fila) e nuovi (social media). Soprattutto se lo fa utilizzando la ricerca scientifica per costruire un racconto sociale opaco, che, invece di rendere trasparente la realtà attraverso dati e testimonianze significative, copre il tutto sotto il velo del sottinteso.
Sottointesi
Ma che cosa vuol dire “costruire un racconto sociale opaco”? Potremmo partire dal titolo (How using Facebook could raise your risk of cancer) usato dal Daily Mail un anno fa per un articolo che raccontava, attraverso il punto di vista di alcuni psicologi, come l’uso dei social network potesse creare isolamento sociale, abbassando i contatti faccia a faccia e di conseguenza alterando le risposte immunitarie dei geni. Non che ci siano ricerche al proposito che mostrino la correlazione fra uso di social network e cancro: si suggerisce, si lascia intuire, si creano sottintesi. Sul MailOnline della settimana scorsa, invece, è stato pubblicato un articolo scritto dal criminologo/esperto in tutela dei minori/presentatore televisivo Mark Williams-Thomas che ha per titolo: Mi sono fatto passare per una ragazzina di 14 anni online. Ciò che è accaduto vi disgusterà. Comincia così:
Even after 15 years in child protection, I was shocked by what I encountered when I spent just five minutes on a social networking site posing as a 14-year-old girl. Within 90 seconds, a middle-aged man wanted to perform a sex act in front of me.
La ricerca è stata fatta, dunque, stando pochi minuti su Facebook, fingendosi un’adolescente quindicenne e trovando in meno di due minuti un adulto che fa proposte oscene. Non entro nel merito del grado di professionalità scientifica di questo approccio. Poiché però Facebook non è Chatroulette, dove si può (video) chattare con sconosciuti in modo casuale, il racconto lascia intendere l’esistenza di una realtà che però non sembra tecnicamente possibile dentro quell’ambiente. Per esempio, per quanto si possa entrare con settaggi di privacy bassissimi e senza nemmeno prendere in considerazione le restrizioni per i minorenni, su Facebook si chatta con “amici”, in qualche modo accettati e presenti nella nostra rete di contatti. Non è esattamente come sedersi in una panchina isolata in un parco di sera. Non voglio con questo distogliere l’attenzione dai potenziali pericoli nell’abitare la Rete da parte degli adolescenti, ma portare piuttosto l’attenzione sulla necessità di trattare con serietà e competenza sia tecnica che di cultura digitale il tema. In particolare quando si ha la responsabilità, tipica del giornalismo, di informare e formare ampie fasce di popolazione sulla realtà che sta mutando sotto i nostri occhi e che non conosciamo se non attraverso la mediazione del racconto informato.
Trasgressioni
I giornalisti non sono i soli a costruire narrazioni opache. Il tredicesimo rapporto annuale dedicato alle Abitudini e stili di vita degli adolescenti italiani pubblicato dalla Società Italiana di Pediatria con il patrocinio del ministero della Gioventù e ripreso da molti notiziari nei giorni scorsi entra in profondità nel rapporto tra ragazzi e web chiedendo testualmente a 1.300 adolescenti tra i 12 e i 14 anni: ti è mai capitato durante le conversazioni in chat o in messanger di ricevere, da parte di un interlocutore che non conosci personalmente, la richiesta di sesso in chat? Sì facendolo, risponde il 2,5%, praticamente solo maschi. E proposte di incontro? Sì andandoci, risponde il 10,2%, per la maggior parte maschi. Non sappiamo però nulla di questi sconosciuti, se si tratta di adolescenti come loro – come alcune ricerche sembrano far presupporre – o meno. Né sappiamo qualcosa relativamente alla tipologia di incontro. Sappiamo solo che anche in Rete, come nella vita di tutti i giorni, gli adolescenti trasgrediscono, in piccola percentuale. Eppure nel connubio tra comunicato stampa che sintetizza la ricerca e diffusione mediale della stessa ciò che emerge è un quadro particolarmente inquietante. Come è scritto infatti nel comunicato stampa:
La gara è avere più amici possibile è quindi ci si propone a sconosciuti, ad una condizione (come ha raccontato una tredicenne coinvolta in uno dei focus group realizzati a corollario dell’indagine): “che siano fighi”.
Nel report di ricerca non esiste un dato a sostegno della tesi della gara a raccogliere amici e la generalizzazione viene fatta sulla dichiarazione di una sola adolescente. È facile quindi per chi deve costruire una narrazione informata costruirla su presupposti a volte ambigui, rinunciando a entrare nel merito di ricerche sulle quali più che affidarsi alle risposte occorrerebbe porsi delle domande. Capite ora la difficoltà di raccontare quanto sta capitando nella relazione tra adolescenti e Rete? Per fortuna ci sono molti adulti che con gli adolescenti digitali vivono quotidianamente e sono in grado di farsi un’idea, magari perché usano gli stessi mezzi e li osservano nei loro vissuti online. Basta leggere i commenti più apprezzati all’articolo del MailOnline e si scopre che si tratta di adulti che hanno figli e fratelli adolescenti su Facebook e sanno di cosa si sta parlando. Come Lorna, che racconta come i suoi figli usino da tempo siti di social network senza aver mai incontrato casi come quello raccontato. Forse, dice, perché aggiungono solo amici che conoscono e proteggono le proprie informazioni personali usando le opzioni di privacy. O Who, che racconta di sua sorella tredicenne che sta su Facebook da un anno e mezzo e non è mai stata approcciata da uno sconosciuto perché i suoi settaggi di privacy rendono impossibile per qualsiasi sconosciuto trovare il suo profilo. D’altra parte lei ignora ogni richiesta da parte di persone che non conosce e non importa quanti amici abbiano in comune con lei.
Correzioni
Moltissimi altri sono, poi, coloro che nei commenti criticano il racconto del criminologo considerato “a tesi”, smontando i dettagli o chiedendo chiarimenti: perché su Facebook le cose che lui dice gli siano successe nelle vesti di una quattordicenne non possono accadere. Ed in effetti è così. Mark Williams-Thomas, messo alle strette dai legali di Facebook e dal giornalista della BBC Rory Cellan-Jones (che racconta tutta questa storia nel suo blog) dichiara che in realtà non si trattava di Facebook ma di un altro social network, che il profilo con cui ha agito è stato preparato dalla redazione del Daily Mail e che l’articolo è stato di fatto scritto da un giornalista del quotidiano e, nonostante le correzioni mandate sulle inesattezze, è uscito come lo si legge ora. Nel giro di un giorno l’articolo viene aggiornato togliendo la parola Facebook («I spent just five minutes on a social networking site posing as a 14-year-old girl»), aggiungendo nella firma «Interview: Laura Topham» – anche se è scritto in prima persona – e chiudendolo con delle scuse:
In an earlier version of this article, we wrongly stated that the criminologist had conducted an experiment into social networking sites by posing as a 14-year-old girl on Facebook with the result that he quickly attracted sexually motivated messages. In fact he had used a different social networking site for this exercise. We are happy to set the record straight.
Il che è come dire: ci siamo sbagliati, non era Facebook, ma il senso non cambia. E invece cambia moltissimo: di quale sito si tratta? Quali caratteristiche relative alla privacy possiede? Come funziona la sua chat interna? E poi: perché il Mail chiede a un consulente scientifico di usare un profilo di adolescente costruito dal giornale stesso? Perché si lascia intendere che le cose siano scritte dallo “scienziato” quando in realtà si tratta di un rimaneggiamento di una intervista? Insomma: spesso per levare il velo di opacità sulle narrazioni che gli old media fanno sui social media è meglio farsi delle domande più che aspettarsi delle risposte.