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I conti in tasca agli spammer

27 Novembre 2002

I conti in tasca agli spammer

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Gli spammer rivelano i meccanismi economici della piaga che intasa le nostre caselle di posta. Sorpresa: il mestiere rende, anche se crea molti nemici. E la Rete cerca di vendicarsi. Al telefono con una spammatrice professionista.

Ma chi glielo fa fare, agli spammer? Sembra impossibile che si possa guadagnare spacciando improbabili tecniche infallibili per guadagnare centimetri in virilità e perderne in ciccia, affari d’oro con funzionari nigeriani, e ogni altra sconcezza che ci troviamo puntualmente nell’e-mail. Chi volete che ci caschi?

Invece c’è chi abbocca, e fare lo spammer rende. Il sospetto probabilmente l’avevate già: dopotutto, se non rendesse, non lo farebbe nessuno. La quantità paurosa di spam (due messaggi su cinque, secondo Brightmail) sembra proprio indicare che nonostante tutto questo marketing pestifero funzioni.

Ma un conto è il sospetto, un altro è avere delle cifre in mano. Il Wall Street Journal ha pubblicato un’ intervista a Laura Betterly, una spammatrice di medio cabotaggio, dalla quale queste cifre saltano fuori. Lei e i suoi tre soci mandano ogni giorno circa un milione di e-mail pubblicitari a indirizzi che, a loro dire, hanno dato in qualche modo il proprio consenso a riceverli.

Se soltanto dieci di questi messaggi generano una vendita del prodotto reclamizzato, Laura incassa dal committente abbastanza da ripagarsi le spese e guadagnarci anche qualcosa. A conti fatti, con questo mestiere la signora Betterly prevede di guadagnare duecentomila euro l’anno. Lavorando da casa, con un investimento iniziale di circa quindicimila euro. Se vi sentite tentati di emularla, avete tutta la mia comprensione.

Non è un caso isolato. Computerworld racconta di “Steve”, un pesce piccolo che fa spamming “nel tempo libero” e, bontà sua, porta a casa quarantamila euro l’anno. La ricetta è la stessa: un database immenso di indirizzi e una percentuale infinitesima di vendite, che però alla fine è sufficiente a generare un utile di tutto rispetto. Nel tempo libero.

C’è poi il caso estremo della Nigeria, dove si stima che lo spam sia addirittura fra le prime cinque fonti di reddito del paese grazie al “419 scam“, la famosa truffa a base di e-mail di falsi funzionari governativi africani che chiedono un piccolo aiuto finanziario per sbloccare e spartire con voi somme ingenti quanto inesistenti. Secondo le Poste USA, il raggiro rende cento milioni di dollari l’anno.

La catena alimentare dello spam

Lo spam è insomma un’industria redditizia. Ma gli spammer sono soltanto l’ultimo anello della catena alimentare: sopra di loro ci sono le società che commerciano indirizzi e li vendono a milioni agli spammer.

Lo spammer ha un certo rischio imprenditoriale da sostenere (incassa solo se la vittima dello spam risponde all’invito pubblicitario e compra il prodotto), mentre società come Himailer.com, Bulkers Club e infinite altre facilmente reperibili attraverso Google non corrono rischi: vendono indirizzi che a loro non sono costati praticamente nulla (lo si capisce dai prezzi: 10 milioni di indirizzi a 199 dollari!) e possono essere rivenduti infinite volte. Oltretutto incassano anche quando lo spammer fa un buco nell’acqua.

Un momento. Ma tutto questo non è illegale? Diamine, la compravendita di indirizzi è vietata dalle leggi sulla privacy, no? C’è un piccolo particolare: non tutti i paesi del mondo hanno leggi di questo genere, e su Internet non ci sono frontiere, anche se il legislatore spesso ragiona come se ci fossero. Per cui uno spammer americano o nigeriano, per esempio, se ne fa un baffo delle leggi antispam europee presenti e future (e in Florida, dove risiede la Betterly, non ci sono leggi antispam). Comunque può sempre difendersi dicendo per esempio che gli indirizzi spammati gli sono stati forniti da una società che ne ha garantito l’origine lecita. Per cui il commercio di indirizzi è fiorente in barba ai maldestri tentativi di vietarlo per legge.

La compravendita selvaggia degli indirizzi è il motivo per cui le tecniche antispam basate su filtri e liste nere e le cause legali sono sostanzialmente una perdita di tempo se c’è di mezzo una società non europea: quando il vostro indirizzo cade in mano a uno spammer, in breve tempo viene rivenduto a infiniti altri, e così il bombardamento pubblicitario non cessa mai. Bloccato uno spammer, ne spunta un altro.

Margini esigui

Le confessioni degli spammer rivelano anche un altro aspetto interessante: l’esiguità dei risultati. La signora Betterly racconta una campagna recente in cui ha inviato tre milioni e mezzo di messaggi e ha ottenuto ottantuno ordini. Ottantuno. E dice che per uno spammer questo èun risultato percentualmente ragguardevole. Gli ordini, infatti, le hanno fruttato millecinquecento dollari.

A lei va benissimo continuare così, ma il prezzo per la Rete è alto. Tutti gli altri milioni di messaggi sono stati buttati via o respinti da utenti scocciati, generando enormi volumi di traffico che hanno intasato Internet, mentre alla spammatrice non hanno causato alcun danno.

Questo èil motivo per cui lo spamming è cosìefficiente e al tempo stesso cosìodiato: scarica sugli altri i propri costi. Mentre una campagna pubblicitaria postale tradizionale è pagata da chi la invia, tramite l’affrancatura, lo spam èpagato da chi lo trasporta (i provider) e da chi lo riceve (noi).

Non stupisce quindi che ogni tanto il popolo della Rete insorga e si avventi furiosamente contro gli spammer, come ècapitato proprio a Laura Betterly.

La vendetta

La signora, infatti, ha avuto l’infelice idea di farsi intervistare dal Wall Street Journal senza ricorrere all’anonimato ma anzi indicando chiaramente il nome della propria società: chissà, forse sperava di farsi pubblicità.

L’articolo èstato prontamente segnalato dalla webzine Slashdot.org, popolarissimo ritrovo di Internettiani purosangue, e c’èvoluto ben poco perché gli smanettoni, tramite gli strumenti di Internet, risalissero al suo sito Web, al suo indirizzo di e-mail ([email protected]) e persino al suo indirizzo di casa, numero di telefono compreso.

Fatto questo, èstato facile somministrarle una dose della sua stessa medicina. Niente di illegale, per carità: semplicemente Slashdot ha invitato le sue decine di migliaia di lettori a visitarle ripetutamente il sito, rendendolo cosìinaccessibile ai suoi potenziali clienti, a mandarle badilate di educate e-mail (debitamente anonimizzate) di riprovazione, intasandole le caselle di posta, e a esprimerle cordialmente i propri sentimenti per telefono.

Immaginate di dover smistare migliaia di e-mail e telefonate al giorno e capirete quanto un netstrike del genere paralizzi uno spammer. Ho infatti raggiunto telefonicamente la Betterly, che mi ha detto di essere stata oggetto di un massiccio mailbombing (bombardamento di e-mail).

La furia dei giustizieri online, però, è passata in fretta, e a suo dire ora il suo lavoro procede spedito come prima, sia pure con qualche ansia in piùperché insieme alle lamentele educate sono arrivate anche le minacce personali. Se stavate pensando di emularla, ripensateci: fare spamming è un ottimo sistema per farsi tanti nemici.

Il bersaglio sbagliato

Vendetta tremenda vendetta, quindi; peccato che si accanisca contro il bersaglio sbagliato. Gli spammer, infatti, esistono perché c’èun committente, ma soprattutto perchéc’è sempre qualche utente che abbocca e risponde allo spam, comprando il prodotto pubblicizzato. Se quei dieci utenti su un milione non rispondessero, lo spamming sarebbe un mestiere in perdita e cesserebbe di esistere.

Il problema ècome educare quegli utenti ingenui a non cedere alle lusinghe dei pubblicitari all’ingrosso. Come si fa a far ragionare chi èdisposto a spedire quattrocentomila dollari a uno sconosciuto in Nigeria che gli promette di restituirgliene ventisette milioni, o chi crede che esistano davvero pillole allungapiselli?

Rassegnamoci: gente come Laura Betterly continuerà a far soldi fino alla fine dei tempi. Soprattutto se considerate qual era il prodotto che le ha fruttato quei millecinquecento dollari: software antispam.

L'autore

  • Paolo Attivissimo
    Paolo Attivissimo (non è uno pseudonimo) è nato nel 1963 a York, Inghilterra. Ha vissuto a lungo in Italia e ora oscilla per lavoro fra Italia, Lussemburgo e Inghilterra. E' autore di numerosi bestseller Apogeo e editor del sito www.attivissimo.net.

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