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Google, Facebook e il web che batte moneta

20 Giugno 2011

Google, Facebook e il web che batte moneta

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Google con il suo Wallet, Facebook con i Credits: il connubio tra rete ed economia si fa sempre più concreto. Con qualche difficoltà in Italia, dove la direttiva europea sulla moneta elettronica non è ancora stata recepita

I protagonisti di internet ci stanno prendendo gusto a gestire i soldi degli utenti, quasi come se fossero banche. Il fenomeno, emerso per la prima volta con Paypal, nel tempo è cresciuto parecchio ed è diventato più sofisticato, come si vede dalle ultime mosse soprattutto di Google e Facebook. Ci si comincia a chiedere se non sia questa l’ultima incarnazione di quella capacità disruptive che ha il web: scardina sistemi e rapporti di forza tradizionali. Con il VoIP ha messo in discussione l’autorità degli operatori. Adesso tocca più direttamente l’essenza dell’economia: la gestione del denaro.

Google Wallet

Prendiamo per esempio Google Wallet. Questo borsellino elettronico, integrato nel cellulare può essere associato non solo a carte di credito, ma anche alla prepagata di Google (Google Prepaid Card). La differenza rispetto al concetto introdotto da Paypal e che fa comprare nei negozi fisici. Servizi come Google One Pass e Google Checkout già rivelavano l’interesse del gigante per questo fenomeno. Ma anche Apple vi ha contribuito: «Gli dai in pasto la tua carta di credito e poi puoi comprare applicazioni da iPhone e iPad, in automatico. Così comodo che puoi anche dimenticarti di aver associato un tempo la carta di credito alla piattaforma Apple», dice Andrea Rangone, responsabile osservatori al Politecnico di Milano.

Il fatto di usare una carta di credito diventa trasparente all’utente, quindi, inglobata com’è nella piattaforma di chi ci vende le applicazioni. Rispetto a Paypal, il meccanismo è più immediato ed è spesso usato senza pensarci, anche per il basso importo delle singole transazioni. Già questo è uno scarto concettuale, ma è «Facebook ha fatto una cosa in più», continua Rangone. Si considera quasi una nazione trasversale e si è messa a erogare crediti in cambio di soldi veri». E con questi crediti prima potevi pagare solo beni digitali interni alla piattaforma. Ora anche film, beni fisici attraverso negozi che sorgono su Facebook.

Effetti a cascata

Altro esempio è Mig33, un social network per cellulari. I suoi crediti permettono di comprare telefonate o giochi, oggetti virtuali. Come si vede, un bel mix di VoIP e sottoprodotti del fenomeno social network, tutti all’interno della stessa economia virtuale. Interessante è quindi l’effetto di integrazione di servizi (e business) vecchi e nuovi, sotto un cappello unico, organizzato dalle aziende web. Ma che sta succedendo? «Accade che l’acquisto di beni e servizi dell’economia tradizionale, non necessariamente digitali quindi, si sta spostando su internet. E questo ha effetti a cascata», spiega Rangone. Effetti che forse stiamo appena cominciando a sperimentare.

Si è cominciato lo spostamento progressivo su internet  business con una controparte storica ben identificabile nell’economia tradizionale: shopping, pubblicità. Nella seconda fase, grazie ai social network e ai giochi di ruolo online, sono cresciute le “economie virtuali”, con acquisti interni a quegli stessi mondi. Adesso forse siamo già in una terza fase in cui non c’è più distinzione tra i mondi: piattaforme online, negozi offline, beni virtuali, oggetti fisici. I Facebook Credits potrebbero gestire 1,2 miliardi di dollari nel 2011. Il transato di Paypal è intorno ai 50 miliardi di dollari, ormai abbastanza stabile. L’industria dei beni virtuali (quelli dei social network) ha toccato i 7,3 miliardi nel 2010, contro i 2,1 del 2007 e raddoppierà nel 2014.

In Italia

«Nel momento in cui tutto sembra convergere sul digitale, è normale che sia digitale anche lo strumento di pagamento più coerente con questo fenomeno», spiega Rangone. «I protagonisti della nuova economia lo stanno interpretando e adesso affinano gli strumenti con cui intercettare il denaro che passa attraverso internet». Alcuni, come Apple, guadagnano direttamente una quota sostanziosa da queste transazioni. Altri, come Google, puntano più ad affinare la conoscenza dei propri utenti e così perfezionare il proprio business pubblicitario. Tutti credono che, aumentando il controllo sul sistema di pagamento, lo rendono più comodo e quindi incoraggiano la crescita della propria piattaforma.

Il fenomeno comincia a fare paura ai gestori tradizionali del credito, che quindi vanno a rispondere colpo su colpo. A maggio tre delle quattro maggiori banche americane si sono accordate per lanciare un servizio di pagamento semplificato, concorrente di Paypal. Permetteranno di spostare il denaro dal conto via mail o via cellulare. Invece di fare resistenza, insomma, gareggiano in innovazione. In Italia invece il mondo tradizionale dei pagamenti continua a fare resistenza al cambiamento. «Lo dimostra la lentezza con cui il governo sta recependo la direttiva europea 110 del 2009, sull’emissione di moneta elettronica. Avrebbe dovuto farlo entro il 30 aprile», spiega Fulvio Sarzana, avvocato esperto di diritto nelle nuove tecnologie. Questo passaggio permetterà a soggetti diversi dalle banche di emettere moneta elettronica e quindi agli operatori mobili di far pagare beni fisici con il credito telefonico. Che è in fin dei conti della stessa natura dei Facebook Credits: soldi virtuali.

Stimolo

Per ora questi soldi virtuali sono collegati strettamente con i soldi reali (compro crediti con la carta di credito), ma questo legame sarà meno vincolante in futuro. «Mi metterò a cliccare sulla pubblicità su social network, segnalerò prodotti ad amici, per guadagnare crediti utilizzabili alla stregua di quelli che ho comprato con carta», prevede Rangone. Siamo abituati a pensare che soltanto i soldi sono quel jolly universale che permette di comprare il comprabile. L’effetto distruttivo del web e delle tlc potrebbe cambiare questo paradigma.

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