Sembra una strana fatalità, ma proprio mentre in tutto il mondo si iniziava a pensare alla settimana dell’Open Access, è stata anche diffusa una notizia che avrà un indubbio impatto sulla diffusione di opere letterarie in rete: il progetto Google Books (anche noto con i precedenti nomi di Google Book Search e Google Print), tanto temuto dalle case editrici, è stato dichiarato non contrario al copyright americano.
A mettere il progetto in standby per qualche tempo era stata proprio una lite giudiziaria avviata nel 2013 dalla Association of American Publishers, poi portata avanti in secondo grado da Authors Guild, rispettivamente l’associazione di categoria dell’industria editoriale statunitense (corrispondente alla nostra AIE) e la più importante associazione di rappresentanza degli interessi degli scrittori americani.
La questione giuridica di fondo? Stabilire se l’attività di digitalizzazione dei libri cartacei (quantomeno di quelli presenti nelle biblioteche pubbliche) e di indicizzazione integrale dei loro testi integri o meno un’ipotesi di fair use (cioè di utilizzo corretto e non contrario al copyright) secondo il diritto americano.
Lo scorso 16 ottobre (qui la sentenza) la Second Circuit Court di New York, con decisione unanime, ha tratto le seguenti due conclusioni:
- La digitalizzazione non autorizzata da parte di Google di opere protette da copyright, la creazione di una funzionalità di ricerca e la visualizzazione di frammenti di quelle opere sono usi corretti e non in violazione del copyright. Lo scopo della copia è altamente trasformativo, l’esposizione pubblica del testo è limitata, e la messa a disposizione del pubblico non fornisce un adeguato sostituto di mercato per quanto riguarda gli aspetti protetti degli originali. La natura commerciale e lo scopo di profitto di Google non giustificano la negazione del fair use.
- Inoltre, l’offerta di copie digitalizzate da parte di Google alle biblioteche che hanno fornito i libri, con l’intesa che le biblioteche useranno le copie in modo coerente con le leggi sul diritto d’autore, non costituisce una violazione del copyright. E in questo specifico caso Google non è responsabile di una violazione indiretta.
Il linguaggio è un po’ legalese e contorto, ma il messaggio arriva netto: l’attività di Google Books, per com’è strutturata, integra uno di quei casi in cui l’interesse pubblico di accesso alla cultura prevale rispetto all’interesse privato del titolare di diritti di proprietà intellettuale. Che poi è il senso del fair use, appunto.
Istituto giuridico affascinante, che però ha un limite non indifferente: esiste solo negli USA e quindi la portata di questo precedente giurisprudenziale non è detto si estenda al resto del mondo, nonostante Internet di per sé vada oltre i confini nazionali.
In Italia, ad esempio, la situazione è abbastanza diversa e abbiamo un approccio più restrittivo alle cosiddette libere utilizzazioni. Inoltre da un paio d’anni il diritto d’autore online ottiene anche un enforcement di carattere amministrativo sulla base del discusso regolamento AGCOM. Come fa notare Fulvio Sarzana, i titolari dei diritti potrebbero scegliere di percorrere quella strada e chiedere ad AGCOM di disporre l’oscuramento (o più che altro inibire l’accesso dall’Italia) di alcuni contenuti di Google Books, sfruttando la procedura di segnalazione offerta dal sito Il diritto d’autore online.
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