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Global Voices, i popoli senza voce ora parlano italiano

28 Maggio 2008

Global Voices, i popoli senza voce ora parlano italiano

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Il progetto di informazione partecipativa globale lanciato nel 2004 dal Berkman Center della Harvard Law School apre a giorni una localizzazione italiana. Al lavoro traduttori volontari, che saranno coordinati da Bernardo Parrella. A lui abbiamo chiesto un'anticipazione sulla versione tricolore

Bernardo Parrella, giornalista e traduttore, già prolifico autore su queste pagine, è stato appena incaricato di dare vita alla localizzazione italiana del progetto Global Voices del Berkman Center for Internet and Society della Harvard Law School. Global Voices è uno degli esperimenti di giornalismo partecipativo più originali e interessanti tra quelli nati in questi anni di nuova maturità della Rete, forse il primo vero tentativo di aggregazione spontanea di voci indipendenti a livello globale.

Bernardo, complimenti. Innanzitutto: ci aggiorni sullo stato del progetto, tu che negli Stati Uniti, dove vivi, hai l’occasione di vederlo crescere da vicino?

L’idea di Global Voices risale a un convegno internazionale di blogger svoltosi a fine 2004 presso il Berkman Center. Da allora il progetto è cresciuto fino a divenire del tutto indipendente, e oggi opera come ente no-profit, così come è accaduto per altre iniziative legate a vario titolo a questa dinamica struttura interdisciplinare di Harvard, come Creative Commons, Center for Citizen Media o OpenNet Initiative. Non a caso durante la recente conferenza per il decennale del Berkman Center la discussione si è concentrata (anche) sul successo di Global Voices nonché sulla necessità di insistere con progetti decentrati, di ampio respiro, partecipati. Sottolineando, ad esempio, le iniziative in corso in Giamaica e l’ampiezza della blogosfera in Farsi (Iran e dintorni).

Global Voices continua a puntare principalmente a «dare voce e chi non ha voce» e a offrire report di cittadini locali su eventi e situazioni nei Paesi in via di sviluppo o comunque in nazioni poco seguite dall’informazione mainstream. Motivo per cui, almeno per ora, s’interessa poco dell’attualità in Nord America ed Europa Occidentale, già ampiamente coperta dai grandi media. Al momento, Global Voices conta circa 40.000 post e 30.000 commenti, suddivisi in 347 categorie che spaziano dalle diverse regioni e nazioni a temi quali razzismo, arte e cultura, religione, agricoltura. Per ora si fanno traduzioni in 14 lingue (15 con l’edizione italiana in arrivo), mentre gli autori dai vari Paesi sono circa un centinaio, oltre 150 contando anche i traduttori puri, dove la più attiva è la la comunità spagnola, con oltre 1.600 post tradotti.

Il tutto a livello volontario, mentre i fondi – elargiti soprattuto da enti statunitensi come Berkman Center, MacArthur Fundation, Hivos, Knight Fundation – servono per l’ampia infrastruttura tecnica e, quando possibile, per minimi incentivi agli autori. Ci sono poi altri finanziamenti mirati, come la sponsorizzazione dei report dalle aree africane da parte di Reuters.

Come vengono aggregate queste decine di migliaia di post? Com’è strutturata la rete redazionale di Global Voices nei vari continenti?

Il criterio principale è quello delle regioni del mondo, nove, poi le singole nazioni e i molti canali (argomenti) già descritti. Ogni regione ha un editor che coordina e verifica il materiale sottoposto dagli autori, che poi fanno capo al managing editor di base a New York. Analogamente c’è un coordinatore per ciascun gruppo di traduttori del progetto Lingua, mentre il responsabile generale risiede a Taiwan. Esistono poi svariate liste di discussione interna per gli autori, gli editor, i traduttori, eccetera. Chiunque può proporsi nei svariati compiti con gli appositi moduli sul sito, tenendo bene a mente che si tratta di lavoro volontario. Una buona occasione per entrare in contatto con questo mondo sarà i prossimi 27 e 28 giugno a Budapest, sede quest’anno del Citizen Media Summit, l’incontro abituale delle persone legata a Global Voices.

In Italia è ancora materia da appassionati, ma negli Stati Uniti sembra essersi ritagliato in pochi anni attenzione e considerazione. Come si sta inserendo Global Voices all’interno dello spazio dell’informazione giornalistica? Come procede l’interazione con blogger da un lato e mezzi di comunicazione di massa dall’altro?

Global Voices ha senz’altro contribuito parecchio a creare questo stato di osmosi – decisamente avanzato, non solo negli Stati Uniti – tra giornalismo tradizionale e partecipativo. Oltre alla appena citata Reuters, i post di Global Voices vengono regolarmente citati su Cnn, New York Times e altre grandi testate. Recentemente FoxNews ha intervistato l’editor di Global Voices per saperne di più sull’uso dei blog nel terremoto in Cina, mentre le radio locali americane hanno rilanciato news sulla situazione dei blogger egiziani e sulla crisi alimentare mondiale. E i post vengono spesso ripresi da media di ogni parte del mondo, dalla Norvegia all’Argentina all’Arab Press Network. Per non parlare delle partnership con i tanti media indipendenti che sempre più adottano Global Voices come fonte privilegiata: il canale Citizen News aperto nei giorni scorsi da YouTube ne è un esempio.

Veniamo alla tua esperienza: quali saranno il tuo ruolo e il tuo compito in Global Voices?

In occasione della due giorni celebrativa per i 10 anni del Berkman Center a Harvard si parlava con alcuni colleghi italiani dell’assurda mancanza di una versione Global Voices per il nostro paese. Così abbiamo pensato di avviare alcuni contatti diretti. Oltre a cercare e attivare volontari italiani per le traduzioni, mi occupo dei contatti con la redazione globale e della localizzione generale, incluse le questioni tecniche legate ai testi sul sito italiano, che al pari degli altri siti legati al progetto si serve di una comune piattaforma per blog WordPress con l’aggiunta di alcune modifiche a volte sofisticate.

La scelta di estendere l’attività del progetto all’Italia riguarda soltanto la possibilità per gli italiani di leggere i contenuti del network nella loro lingua o è nel contempo un’estensione di interesse ai contenuti prodotti in questo paese? Come dire: l’interazione è a due vie o è solo una modalità di distribuzione più agevole per chi non parla inglese?

In sintonia con il progetto complessivo, per ora Global Voices s’interessa poco dell’attualità in Nord America e in Europa Occidentale, perché già ampiamente coperta dai grandi media. Policy questa che si prevede comunque di modificare, per andare oltre le semplici traduzioni anche in queste aree. Ma come mi facevano notare a Harvard e nelle varie liste interne, in questo caso l’italiano è importante non solo per chi vive in Italia e non parla inglese, ma anche per raggiungere i molti italiani sparsi un po’ ovunque, ancora oggi uno dei popoli più emigranti del mondo. E per coinvolgere le molte persone che sono emigrate di recente in Italia, altra carattersitica del nostro Paese. In tal senso anzi prevediamo quanto prima di avere post originali e locali, sempre nell’ottica di dare voce a cittadini-reporter su temi importanti ma spesso dimenticati dai grandi media.

Che tipo di volontari state cercando per l’edizione italiana? Quali caratteristiche devono avere e quali compiti intendete affidare loro?

Per ora si tratta di tradurre quanti più articoli possibile in italiano, principalmente dal sito inglese ma anche da quelli in altre lingue. Occorrono quindi buona esperienza come traduttori, possibilmente sui temi specifici dei canali originali. Ma anche persone interessate a farsi coinvolgere nel progetto più generale: reporter locali, produttori di podcast e video. E, perché no, istituzioni, testate o singoli disposti a offrire contributi per sostenere Global Voices in italiano o ad avviare partnership in loco.

L'autore

  • Sergio Maistrello
    Sergio Maistrello, giornalista professionista, segue da oltre 20 anni l'evoluzione di Internet e le sue implicazioni sull'informazione e sulla società. È docente a contratto di Giornalismo e nuovi media all’Università di Trieste e insegna New media al Master in Comunicazione della Scienza della Sissa.

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