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Gli scenari riaperti dalla sentenza contro Yahoo!

04 Aprile 2011

Gli scenari riaperti dalla sentenza contro Yahoo!

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Un giudice ha chiesto al motore di ricerca di rimuovere dai risultati i siti attraverso cui scaricare o vedere illegalmente un film. Una sentenza che si insinua all'interno di un dibattito piuttosto complicato tra business industriali e salvaguardia dell'indipendenza degli intermediari

La tutela del copyright su internet sta virando, in Italia come nel resto dell’Occidente, verso la nascita di una macchina da guerra. Sistematica, automatica, inesorabile. Tempestiva nel colpire il nemico alla fonte. Non più attaccando l’utente, quindi, ma l’origine della diffusione dei contenuti illegali. È in questo contesto che si inserisce l’ordinanza del Tribunale di Roma contro Yahoo!. È considerabile il punto estremo in un percorso che già da tempo si muove in una direzione simile, con varie pedine: la delibera Agcom sul copyright online; il patto internazionale di Anti-Counterfeiting Trade Agreement; il processo di aggiornamento della direttiva europea sull’enforcement. Tutti vogliono fornire armi più potenti, sicure, rapidi ai detentori del diritto d’autore, contro le sorgenti di diffusione della pirateria.

Le regole della rete

Ci sono esperti che ravvedono rischi in questo processo: di calpestare i diritti costituzionali degli utenti e di annullare il potere filodemocratico che ha sempre caratterizzato internet finora. La tutela del copyright, del resto, potrebbe essere solo il primo passo per una più ampia revisione delle regole di internet. Alcune pratiche repressive si sono fatte le ossa contro la pirateria per poi approdare ad altri scenari (è il caso dell’oscuramento delle pagine web, adesso utilizzato spesso anche per i reati di diffamazione). La vicenda di Yahoo!, comunque vada a finire, è interessante perché nel suo estremismo disegna chiara una direzione. Un po’ come una lente d’ingrandimento. È nota ormai la storia: il giudice ha chiesto a Yahoo! di rimuovere dai risultati della ricerca i siti da cui scaricare o vedere illegalmente il film About Elly. Meno noto è l’aspetto su cui farà leva la difesa di Yahoo!, con buone probabilità di vittoria: il tribunale ha imposto un generico obbligo di rimuovere link a siti illegali. Non ha detto cioè: rimuovi questo e quest’altro link, come avviene di solito nel caso di contenuti pirata in hosting o di siti web da oscurare. L’ordine generico implica che Yahoo! debba controllare da sé quali sono i risultati che portano a pagine illegali. Impossibile da fare e contro le norme che regolano il ruolo degli intermediari su internet. In realtà sarebbe stata una prima volta anche se il giudice avesse solo chiesto a Yahoo! di rimuovere specifici risultati. Le norme europee impongono quest’obbligo solo agli hosting provider, infatti. Cioè a chi ospita fisicamente il dato dichiarato illegale; e non coloro che offrono solo link. Già la giurisprudenza si è orientata, in Europa, per condannare anche chi fa solo da intermediario verso file pirata ospitati altrove (si pensi a The Pirate Bay). Ma ha sempre colpito gli attori che si dimostravano essere scientemente organizzati per facilitare l’accesso a file pirata. E certo non è il caso dei principali motori di ricerca generalisti (il cinese Baidu a parte). Il giudice ha invece dichiarato Yahoo! «facilitatore della violazione», proprio alla stregua di quelli come The Pirate Bay, per il semplice fatto di essere stato informato da Pfa dell’esistenza di quei link tra i risultati.

La svolta

La conoscenza del misfatto genera la responsabilità sullo stesso: abituiamoci a questo principio perché – eccessi della sentenza di Yahoo! a parte-  ce lo troveremo spesso in varie salse. È lo stesso del Dmca americano, che per ora non si applica in Europa. Ma è una situazione destinata a cambiare. «In questi ultimi mesi si sta assistendo ad un cambio di strategia da parte dei titolari dei diritti di proprietà intellettuale», spiega infatti Fulvio Sarzana, avvocato esperto di diritto d’autore sui nuovi media. «Sino a qualche tempo fa gli stessi titolari dei diritti cercavano di agire contro il singolo soggetto sospettato di aver violato il copyright. Ma era difficile per due motivi: la ricerca del presunto violatore in un campo sterminato e transnazionale quale la rete internet; il dispendio di enormi risorse in termini di tempo e di personale per inviare migliaia di comunicazioni di violazione ai presunti contraffattori». Ecco quindi la svolta che ci sta portando all’ultimo scenario: «le nuove strategie invece dei titolari dei diritti d’autore consistono nel perseguire chi fornisce informazioni utili a raggiungere i contenuti illegali. Link, file torrent, siti che forniscono informazioni sugli stessi link o sulle modalità “tecniche” di scaricamento dei file protetti da diritto d’autore…», continua Sarzana. Come si vede, lo spostarsi dagli attori materiali alle fonti d’informazione fa aprire un mondo. Per almeno due motivi. Primo, perché diventa più ampia – e potenzialmente allargabile all’infinito – la casistica dei «facilitatori della pirateria». Secondo, perché colpire l’accesso alle informazioni significa creare le prime e sempre più robuste eccezioni a uno dei principi più importanti di internet: la libertà e il potere di diffondere informazioni, appunto. Il rischio è di introdurre un virus in un sistema che ha rivoluzionato il mondo proprio grazie alla sua libertà. È questo il motivo che ha coalizzato alcuni soggetti, su iniziativa dello stesso Sarzana, contro la futura delibera Agcom sul copyright.

Diritti

«Si puniscono indirettamente gli utenti impedendo loro di aver accesso a determinate risorse informative – continua Sarzana. È questa ad esempio la filosofia di base del provvedimento 668/2010 dell’Agcom in via di approvazione dopo la consultazione pubblica, che addirittura prevede l’inibizione a livello di Ip o di Dns dei siti stranieri sospettati di violare il copyright. Ed è questa la filosofia di base dei nuovi provvedimenti della giurisprudenza soprattutto romana». È d’accordo Marcio Pierani, responsabile dei rapporti istituzionali di Altroconsumo: «questa azione contro Yahoo! più che altro mi sembra una provocazione nell’ambito di una strategia di lobby più ampia intesa ad ottenere altro. Noto infatti forti e pericolose analogie con la delibera Agcom». «Chi pretende che con questo approccio non si colpiscono i consumatori mente sapendo di mentire. Si toccano eccome i loro interessi. Ma parlerei, più che di consumatori, di cittadini. E del loro diritto a pretendere che la Rete rimanga libera e democratica. Cosa che un domani non sarà più se prevalesse questo approccio», continua. Sulla stessa linea Guido Scorza, avvocato esperto di diritto nelle nuove tecnologie: «Credo si stia andando in maniera preoccupante verso una degiurisdizionalizzazione della tutela dei diritti d’autore e verso un’allarmante privatizzazione della giustizia in materia». «Rischia di diventare un affare tra privati nel quale uno chiede e l’altro esegue pur di sottrarsi a ogni responsabile». «È uno scenario inquietante perché ogni qualvolta si discute della rimozione/disindicizzazione di un contenuto si discute non solo di diritto d’autore, ma anche di esercizio della libertà di manifestazione del pensiero». Eppure, a parte alcune autorevoli voci contrarie, sembra che questa sia la direzione dominante. La delibera Agcom sta ricevendo soprattutto applausi, anche se deve ancora completare l’iter. Farà il prossimo passo ad aprile (con la chiusura della consultazione) e poi certo entro fine anno sarà definitiva.

Responsabilità

Secondo Enzo Mazza, presidente della Federazione musicale italiana e uno dei più profondi conoscitori della materia, «siamo di fronte a una naturale evoluzione: internet si consolida come mercato dei contenuti con piattaforme sempre più sviluppate e rilevanti nel business dei media». «In questo ambito la tutela del copyright è uno degli elementi chiave nel sostenere i nuovi modelli di business e nel contrastare le piattaforme illegali, coinvolgendo sempre di più tutti gli intermediari». Mazza ricorda che si stanno orientando in questa direzione anche l’Acta e la nuova direttiva europea sull’enforcement, ora in consultazione. Tutti premono per estendere la responsabilità degli intermediari. In due sensi: maggiori responsabilità a un maggior numero di intermediari. Compresi i motori di ricerca, che la nuova direttiva potrebbe equiparare agli hosting provider. Insomma: per difendere un business che diventa sempre più rilevante- quello digitale- si vuole rimettere in discussione la terzeità degli intermediari. Quella neutralità- nei confronti delle informazioni e dei contenuti veicolati – che finora ha fatto da pilastro a internet. È in fondo la stessa partita della neutralità della rete: in nome dello sviluppo del business di internet, si vogliono legare a doppio filo intermediari e contenuti. Con rischi, sull’innovazione e le democrazie digitali, adesso soltanto in parte prevedibili.

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