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Gli errori di WikiLeaks

28 Luglio 2016

Gli errori di WikiLeaks

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I campioni della libertà e della trasparenza di informazione, messi alla prova, si sono comportati come e peggio delle loro vittime.

Il 2016 verrà sicuramente ricordato come annus horribilis per i molti eventi nefasti. Le stragi terroristiche, poi la recrudescenza del razzismo, le sofferenze di migliaia di profughi, la scomparsa di pop star amatissime.

Nel turbine emozionale di questi mesi, forse ad alcuni sarà sfuggito che annus horribilis il 2016 lo è stato anche per i due mostri sacri dell’attivismo digitale: Tor e WikiLeaks. Fino a pochi mesi fa chiunque li criticasse passava per un povero ignorante da rieducare, oppure veniva tacciato di simpatia con il tentacolare oppressore impersonato dal governo degli Stati Uniti, dai suoi alleati e dalle agenzie di sicurezza.

D’altronde, secondo la retorica imperante, chiunque non volesse dichiararsi pubblicamente contrario ai diritti umani aveva un’unica scelta: salire sulla sedia vuota.

Statue di Assange, Snowden e Manning aspettano sulle loro sedie chi vorrà salire sulla quarta sedia, rimasta vuota

WikiLeaks, per molti è stato idolo e stimolo. Non più.

Detto in altro modo, una discussione critica, contestualizzata e in prospettiva circa Tor e WikiLeaks è stata impraticabile, lo spazio di discussione stritolato da estremisti che alla minima obiezione gridavano all’attentato ai diritti umani: social media e giornalisti di settore quasi sempre impegnati ad amplificare notizie di dubbia rilevanza in una corsa al clickbaiting e all’autoesaltazione nella sfida ai poteri oscuri. Una situazione di perdurante imbarazzo per chiunque fosse refrattario a risolvere la questione riducendola solo al salire o meno su una sedia.

Contesto e natura son cambiati

Recentemente le cose hanno preso una piega diversa. Qui affrontiamo il caso di WikiLeaks, passato in poco meno di due settimane attraverso due tracolli mediatici che ne hanno compromesso l’immagine e la retorica che lo ha accompagnato fin dalla pubblicazione dei cablogrammi dall’Iraq, ovvero l’essere l’unica fonte indipendente e incorruttibile, non compromessa con la politica di redazioni e governi, l’unica voce libera da condizionamenti e censure in grado di pubblicare quelle informazioni da sempre tenute nascoste al pubblico.

Il grande merito che va riconosciuto a WikiLeaks è mostrare che la libertà di informazione è possibile ed è spesso negata. Questo va ribadito, anche alla luce del fatto che critiche ne ha ricevute, ma quasi sempre concentrate sulla figura per alcuni versi ambigua di Julian Assange. Meno, quasi nessuna, ne ha ricevute sulla natura stessa di WikiLeaks in quanto da un lato esperimento di rottura rispetto allo status quo dell’informazione e dall’altro attore in grado di svelare alcune delle trame geopolitiche, militari o economiche più delicate. Come era logico che fosse vista la carica di novità, ha prevalso nell’immaginario il ruolo di rottura nei confronti di un establishment politico-informativo percepito da molti come opaco nei confronti del diritto all’informazione e burocratico rispetto alle nuove forme basate su internet.

WikiLeaks Turchia

WikiLeaks vede un “from” dove invece ci sono “to”, tra l’altro di numerose donne.

Il problema è che così è rimasto ed in molti si sono prodigati affinchè tale rimanesse fino a oggi, mentre invece la natura di WikiLeaks è cambiata come è cambiato il contesto. Questo è il destino dei sistemi complessi la cui natura dipende dal tempo che passa. Inizialmente hanno certe caratteristiche, evolvendo ne assumono altre e successivamente, magari per cambiamenti nell’ambiente, acquisiscono tratti ancora differenti. La propaganda, la faziosità, gli interessi e il rifiuto di una discussione critica pretendono di appiattire questa variabilità a un unico punto, a un istante, a quel momento iniziale, senza considerare l’evoluzione successiva.

Addio purezza

WikiLeaks invece è cambiato e non poteva essere diversamente. C’è un WikiLeaks prima di Manning e un WikiLeaks dopo Manning, prima del clamore globale e dopo essere divenuto un protagonista sulla scena mondiale dell’informazione. E ancora c’è un WikiLeaks prima e dopo Snowden, quando WikiLeaks è diventato il centro d’attrazione per tutti i moderni antagonismi digitali al potere statale. WikiLeaks è diventato un attore politico, non più un semplice canale informativo, ed è su quel piano che va giudicato. Tutto questo è anatema per i suoi sostenitori che invocano invece una purezza morale quasi da culto. Eppure i fatti li smentiscono visto che i due recenti tracolli lo hanno minato proprio nelle sue certezze più inscalfibili:

  1. La correttezza informativa messa in discussione dal leak delle presunte comunicazione dell’AKP, il partito turco di Erdogan, rilasciato nei giorni del tentato colpo di Stato, che avrebbe messo in pericolo l’incolumità di ignari cittadini esposti a possibili ritorsioni e abusi, soprattutto nel caso delle moltissime donne.
  2. La non strumentalizzazione a fini politici, messa in crisi dalle accuse rivolte al leak delle email del Partito democratico americano, fatto uscire proprio alla vigilia della convention e, come molti indizi sembrano indicare, ottenute da hacker russi vicini al governo di Putin.

il leak turco è stato pubblicizzato come contenente comunicazioni provenienti dall’AKP, il partito di Erdogan. Erdogan Leak è il nome attribuito da WikiLeaks. La realtà è tutt’altra: sono circa 300 mila email scritte da comuni cittadini e dirette all’AKP, prive di rilevanza informativa, salvo rendere pubbliche opinioni e informazioni personali dei mittenti. Questo nei momenti ad altissima tensione del tentato colpo di stato. Ad aggravare ulteriormente i fatti, dalle email si risale ad alcuni documenti contenenti i nomi e le informazioni personali di tutte le donne affiliate all’AKP in 79 delle 81 province turche. La Turchia è un paese dove gli abusi contro le donne sono un problema endemico. Tecnicamente, WikiLeaks ha doxxato qualche centinaio di migliaia di cittadini, donne per lo più.

A peggiorare ulteriormente i fatti è stata la reazione di WikiLeaks. Zeynep Tufekci, che ha denunciato con maggior forza l’abuso, è turca, ricercatrice della North Carolina University, editorialista del New York Times e da molti anni una della analiste più lucide ed equilibrate sui temi della censura digitale, delle libertà digitali e dei social media. Una delle voce più rispettate e competenti, senza alcun dubbio.

La reazione di WikiLeaks alle sue accuse è stata rabbiosa, offensiva, sessista e tesa alla maggior disinformazione possibile. L’esatto opposto di quanto pretende di essere. Gli scambi su Twitter hanno mostrato il volto rancoroso e arrogante tipico del potente che non accetta di essere colto in fallo e sottoposto alla stessa critica argomentata e puntuale che tanto spesso ha rivolto ad altri. Ha reagito come reagisce il populista che senza argomenti sobilla i suoi fedelissimi, incita all’aggressione personale e cerca di svilire chi l’ha criticato. Ha reagito da politico irresponsabile ed arrogante e la retorica antagonista non ha più senso di essere invocata.

Il secondo tracollo è forse ancora peggiore, perché mette in dubbio sia l’assunto di non usare i leak in maniera strumentale per condizionare la dinamica politica, sia la presunzione di essere organizzazione abbastanza scaltra e attenta da non diventare strumento alla mercé di altri.

Il sospetto che il leak delle email del Partito democratico fa nascere è che il contenuto informativo rilevante sia stato usato strumentalmente da Assange per influenzare la politica americana e in particolare danneggiare volutamente la convention e la corsa di Hillary Clinton. Indipendentemente dalle opinioni personali sui candidati, il semplice sospetto che WikiLeaks possa agire a fini politici è aberrante e dovrebbe preoccupare. Ma veri e propri incubi dovrebbe far venire l’ulteriore sospetto che l’hacker o gli hacker fornitori delle email a WikiLeaks lo abbiano fatto in accordo con il governo russo. Assange si sta scagliando con veemenza contro questo sospetto, ben consapevole che se mai venisse confermato, sarebbe la fine della credibilitá di WikiLeaks anche come semplice agenzia d’informazione in grado di valutare la pubblicabilità di una notizia.

WikiLeaks e Partito democratico

Se WikiLeaks ha pubblicato materiale passato da hacker russi, addio reputazione.

Da questi due veri e propri tracolli di WikiLeaks, non semplici incidenti o sviste, si deve ricavare quello spazio di discussione e di critica che è finora mancato. Quanto accaduto non deve essere occasione di ritorsioni per cercare di denigrare l’intera esistenza e azione di WikiLeaks. Dovrebbe invece suggerire che occorrono maggiori sforzi per mettere in prospettiva e comprendere come un’entità nuova quale WikiLeaks si sia inserita e sia evoluta in uno scenario complesso come quello attuale. Si dovrebbe inoltre riconoscere un principio importante: conta l’azione, non l’attore. WikiLeaks forse ha esaurito il proprio ruolo e se così è occorre che lasci spazio per nuovi attori. Il whistleblowing e il diritto a un’informazione libera, completa e trasparente sono principi da rafforzare, difendere e sostenere. La difesa di WikiLeaks fine a se stessa non è un obiettivo primario.

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