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Gli auguri all’Italia con i riti partecipativi

16 Marzo 2011

Gli auguri all’Italia con i riti partecipativi

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L'anniversario dell'Unità d'Italia visto con gli occhi delle comunità interconnesse e festeggiato nei modi tipici e virali delle reti sociali

In rete il fatto di celebrare un evento, una ricorrenza, assume spesso dei contorni visibili che hanno i confini disegnati da azioni che portano a fare parte di “qualcosa” attraverso la produzione di contenuti. L’appartenenza e la partecipazione passano quindi spesso da semplici azioni di adesione spesso giocate simbolicamente con like sparsi o di condivisione di contenuti più o meno divertenti da mettere sul proprio profilo o su quello degli amici. Produzione visibile di contenuti, quindi, per segnalare appartenenza a “qualcosa”. Se guardiamo con questi occhi la celebrazione dei 150 anni dell’unità nazionale ci troviamo di fronte, ad esempio su Facebook, a idee semplici come taggarsi nei diversi colori della bandiera italiana per farla comparire nel proprio profilo.

Amico Garibaldi

Piccoli gesti simbolici come fare like alla pagina dedicata alla bandiera italiana o all’inno di Mameli, oppure stringere amicizia con il personaggio pubblico Giuseppe Garibaldi o Giuseppe Mazzini. E ancora, possiamo installare l’app di Facebook Italia 150 anni che permette di condividere messaggi o pescare una delle nostre foto usate per il profilo e aggiungere una coccarda per comporre un mosaico di volti/profilo tricolorati. E magari l’idea che c’è dietro ha anche una sua natura “materiale”, come quella di raccogliere contenuti per costruire un volume da regalare al Presidente Giorgio Napolitano.

Non sempre siamo chiamati, quindi, a spiegare le nostre ragioni, a commentare ciò che nel profondo ci porta ad aderire, non necessariamente dobbiamo esplicitare il nostro punto di vista. Quello che prende il sopravvento è allora l’onda della visibilità simbolica, del fatto che siamo connessi attorno a qualcosa, di mostrare attraverso semplici opzioni di condivisione la nostra appartenenza. Spesso i confini si fanno quindi sfumati e l’impegno viene declinato secondo una semplice logica partecipativa. Nelle culture partecipative che trovano un luogo di espressione in rete, abbiamo a che fare con una forma dell’appartenenza che può avere caratteristiche sia formali che informali. Caratteristiche, ad esempio, che portano la vita del singolo a convergere in forme comunitarie sorrette dalla comunicazione mediata, come ci mostra l’esistenza e lo sviluppo delle diverse online communities.

Appartenenza visibile

Questo lato rappresenta però solo la superficie forse più evidente, formale e consolidata, di un fenomeno che però si regge sulla base di una appartenenza che diventa visibile e percepibile anche attraverso la produzione e condivisione di contenuti comunicativi. Magari contenuti di intrattenimento, la condivisione di simboli che ci accomunano, come quando cambiamo la foto del nostro profilo su un social network mettendo un messaggio che sappiamo che anche altri stanno mettendo, portando così una visibilità su un tema. Ad esempio coccardando il nostro profilo. Come nell’iniziativa “CoccardiAMO l’Italia” che consente di aggiungere una coccarda al proprio profilo o di regalarla ad amici. E magari fare un ulteriore passo avanti: il “coccardarci” non si ferma al solo gesto di adesione, ma può sviluppare diverse pratiche concrete, anche se ludiche. La coccarda può essere costruita seguendo un video tutorial in modo da coccardare persone e luoghi. Cose semplici, quindi, evocative e che possono mettere in circolazione un valore simbolico evidente:

cerchiamo di sensibilizzare la gente al tema dell’unità del paese coinvolgendola in attività ludico/educative […] È anche possibile scaricare lo spartito ed il testo dell’inno di Mameli o rispondere al quiz sull’unità d’Italia. Infine è possibile caricare foto e video che mostrino luoghi o persone coccardate o che cantano una particolare versione dell’inno nazionale.

I mille innovatori

Ma esiste anche un modo che si propone come più concreto che parte dal web e si lega al territorio, come il Tour dei Mille promosso da Working Capital che gioca sulle 1.000 camicie rosse da fare indossare agli innovatori del nostro paese e che ritroviamo come aggregazione di idee lanciate su Twitter con l’hashtag #rifarelitalia. Dalle ironiche «Per #rifarelitalia dobbiamo fare gli italiani» alle liriche «#rifarelitalia Colorare le strade, i palazzi, i treni, gli uffici…»; dai messaggi di speranza «entusiasmo,originalità e freschezza dei giovani, la meritocrazia, la fiducia nelle istituzioni e nella giustizia, l’unità per #rifarelitalia» o «Per #rifarelitalia è necessario che crediamo in noi stessi, perché da ciascuno di noi può nascere un pezzo della nuova Italia» alle polemiche retweettate partendo dall’attualità: «Emergenza nucleare in Giappone… ora aspetto impaziente le dichiarazioni dei sostenitori del #nucleare in #Italia#rifarelitalia».

Attivismo da presa di parola? Semplice espressività che non verrà mai finalizzata? Puro gioco da Twitter per esibirsi alla ricerca del re-tweet? Eppure, dietro a queste forme, come a quelle ludiche ed effimere descritte prima, troviamo la forza del simbolico di mettersi in circolo. Un simbolico che ci fa sentire parte di qualcosa e che si comunica per mostrare questa appartenenza; che nel “dire” marca delle differenze, anche nell’apparente impermanenza delle parole twittate o delle coccarde che dismetteremo il giorno dopo.

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