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Gli arresti domiciliari al tempo dei social media

09 Novembre 2010

Gli arresti domiciliari al tempo dei social media

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Dentro a un ecosistema in cui la distinzione tra pubblico e privato si fa sottile, anche le norme pensate per una società analogica e non ancora disintermediata vanno in crisi

Gli arresti domiciliari equivalgono, generalmente, alla sottrazione dell’imputato dalla vita sociale allargata e dalla possibilità di gestire liberamente la propria comunicazione con altri che non siano i familiari e all’impossibilità di allontanarsi dal luogo in cui risiede. Ma che cosa accade quando alla restrizione fisica non può corrispondere una restrizione comunicativa e quando la vita sociale non corrisponde più in assoluta coincidenza con quella esercitata in ambienti fisici? Che cosa accade quando è possibile frequentare ambienti che non sono materiali? Che poi significa: che cosa accade a forme come l’arresto domiciliare nell’epoca della socialità connessa in Rete?

Cassazione

Ce lo spiega una sentenza della corte di Cassazione che si è espressa a favore del ricorso del pubblico ministero di Caltagirone «che chiedeva la custodia in carcere per un indagato che, ai domiciliari, comunicava su “Facebook” nonostante avesse la prescrizione di limitarsi ai contatti con i soli familiari conviventi». Pensare il mondo nei termini fisici e delle relazioni sociali fisiche cui siamo abituati crea oggi paradossi continui rispetto a regole e norme che si fondano su una civiltà della parola e della scrittura. Apparentemente si tratta solo di trovare nuove forme per comunicare, come esemplificano le conversazioni online o la possibilità di scrivere pizzini digitali. Infatti spiega la Cassazione:

La moderna tecnologia consente oggi un agevole scambio di informazioni anche con mezzi diversi dalla parola, tramite Web e anche tale trasmissione di informazioni deve ritenersi ricompresa nel concetto di ‘comunicazione’, pur se non espressamente vietata dal giudice, dovendo ritenersi previsto nel generico ‘divieto di comunicare’ il divieto non solo di parlare direttamente, ma anche di comunicare attraverso altri strumenti, compresi quelli informatici, sia in forma verbale che scritta o con qualsiasi altra modalità che ponga in contatto l’indagato con terzi (“pizzini”, gesti, comunicazioni televisive anche mediate, ecc.).

Interazione mediata

Comunicazioni televisive anche mediate, si dice. Come nel caso degli sms inviati da mafiosi attraverso la trasmissione “Quelli che il calcio” in cui «i messaggi in codice scorrevano in basso allo schermo, tra gli incoraggiamenti dei telespettatori italiani ai loro calciatori preferiti». Broadcasting e narrowcasting si mostrano così come territori per forme mediate di interazione che estendono la fisicità dei nostri contatti attraverso percorsi resi possibili medialmente ma che non necessariamente hanno forme che possiamo prevedere.

In tal senso le cose si fanno complicate quando si parla di limitazione delle forme di comunicazione attraverso internet. Infatti la Cassazione precisa che non è possibile vietare tout court l’accesso alla rete perché va salvaguardata la possibilità di informarsi o di fare ricerche, ma non si deve entrare in contatto con altre persone tramite il web. In altre parole vuol dire: puoi googlare, puoi leggere quotidiani online ma non puoi chattare. Ma anche qui: le cose possono farsi sfumate, più complesse, ambigue e di difficile definizione. Che cosa significa «essere in contatto»? Un post significa strutturare un contatto? Lo status update aggiornato su Facebook significa possibilità di contatto?

Tweet

Dal momento in cui si moltiplicano le occasioni e le possibilità in rete di produrre forme comunicative che sono ricercabili e pubbliche, anche la natura conversazionale e di contatto modifica la sua natura. Non deve ad esempio necessariamente essere rispettato il turn taking, la turnazione di parola e la sincronicità della comunicazione possono non essere rispettate, così come la presenza nello stesso “luogo” della conversazione – in fondo un post che risponde ad un altro post esemplifica l’allargamento del senso di ciò che può essere considerato “conversazionale”. Quando poi non si costruisca una realtà allargata di messa in contatto e di possibile attivazione della conversazione.

Basta un tweet, ad esempio. Un messaggio nella bottiglia nel mare pubblico della ricercabilità, magari garantita da un hashtag. Ma se l’hashtag risulta essere una forma troppo esplicita di contatto a volte basta sapere cosa ricercare. E non è detto che abbia a che fare solo con la violazione della legge ma che si intrecci anche con i diritti umani. Ad esempio Liu Xia, moglie del dissidente cinese premio Nobel per la Pace Liu Xiaobo, è agli arresti domiciliari e le è stato vietato l’uso del cellulare, di costruire un contatto esterno. E la sua condizione ce la comunica attraverso Twitter scrivendo: «Amici miei sono tornata a casa. L’8 ottobre sono stata messa agli arresti domiciliari. Non so quando potrò vedere qualcuno. Il mio cellulare è fuori uso e non posso effettuare né ricevere chiamate». La sua voce si fa comunque presente, prende corpo, e ha la possibilità di essere rilanciata di tweet in tweet, di venire amplificata dalla stampa e diffusa ulteriormente.

Nuovi ambienti, nuove norme

La relazione fra costrizione dei corpi e possibilità della comunicazione viene “stressata” dall’abitare ambienti in cui la distinzione fra privato e pubblico cambia i propri confini e ci costringe a ripensare, anche normativamente, la nostra realtà.

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