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Gli affaracci nostri

28 Settembre 2015

Gli affaracci nostri

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Una partita a tre, fra le aziende che raccolgono i nostri dati, quel che ne pensiamo e quel che ci servirebbe davvero.

La privacy sul web è un disastro senza se e senza ma. In poco tempo abbiamo visto in rapida successione le rivelazioni di Snowden; il furto di tutte le email scritte dai poveri dipendenti della Sony; la scoperta che una azienda italiana vende anche ai dittatori i mezzi per intercettare i cittadini; la pubblicazione di un database con nomi, cognomi, indirizzi mail, carte di credito e gusti sessuali di trenta milioni di clienti Ashley Madison. La maggior parte delle persone fa spallucce, non ci pensa e se ci pensa conclude ma io sono una persona onesta, a me non succederebbe mai e anche se succedesse non ho niente da nascondere.

Il che è palesemente falso. Tutte le persone oneste non hanno piacere che si sappia in giro dove tengono i quattrini (e quanti quattrini sono), che circoli una foto scattata quando sono in bagno e che si faccia piena luce su quando, cosa e con chi combinano in camera da letto. E fanno molti sforzi per tenere private queste informazioni…

Una coppia di studenti universitari cerca di appartarsi, ma trova occupati tutti i luoghi tranquilli che sfrutta di solito.

Due universitari creano la vita in laboratorio! Grazie a un preservativo difettoso.

Alcune grandi aziende, Google e Facebook in testa, fatturano miliardi sul web raccogliendo e rivendendo ai pubblicitari le informazioni sulla gente come noi, che la gente come noi concede con assoluta noncuranza. La casa di Larry Page e Sergey Brin si è recentemente ristrutturata ma, non a caso, ha mantenuto nel nucleo dell’azienda il sistema operativo Android (che ci traccia se e quando entriamo in una banca svizzera e ci vende a un pubblicitario), il motore di ricerca (che si accorge quando cerchiamo rimedio per le emorroidi e ci vende a un pubblicitario) e Gmail (che legge le nostre lettere all’amata e ci vende a un pubblicitario).

Il mese scorso, la Electronic Frontier Foundation ha provato a rilanciare il sistema Do Not Track, bella idea mal realizzata che dovrebbe permettere alla gente di dire ai padroni del web non tracciatemi, e che i padroni del web sistematicamente ignorano. Scommetto due euro contro un bottone che la cosa non avrà nessun risultato pratiico, purtroppo.

Prendono invece piede gli Ad Blocker, programmi che nascondono la pubblicità dentro alle pagine web, senza per questo bloccare la tracciatura degli utenti. Chi ci rimette però sono le aziende che producono contenuti e li pubblicano sul web sperando di rifarsi con la vendita di pubblicità. Peggio la toppa del buco, insomma.

Dal mio punto di vista privilegiato di sviluppatore del web, vedo anche un altro trend. Una manciata di clienti, marcatamente più evoluto e più scafato della media, è venuta alla spicciolata da noi e si è fatta realizzare server privati per lo scambio di informazioni. Dietro a un anonimo nome punto com, infatti, si può mettere in piedi un serverino protetto da DNSSEC, tutelato da un certificato https, che archivia in sicurezza file riservati e permette di mandare e ricevere posta elettronica davvero sicura (e pure protetta con S/MIME).

Fa sollevare un sopracciglio il fatto che pochi privilegiati siano tutelati mentre le masse sono lasciate a se stesse. E mangiano allegramente brioche, su Google e con Facebook.

L'autore

  • Luca Accomazzi
    Luca Accomazzi (@misterakko) lavora con i personal Apple dal 1980. Autore di oltre venti libri, innumerevoli articoli di divulgazione, decine di siti web e due pacchetti software, Accomazzi vanta (in ordine sparso) una laurea in informatica, una moglie, una figlia, una società che sviluppa tecnologie per siti Internet

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