“La produzione e diffusione delle news di domani sarà più simile a una conversazione, o a un seminario. Si confonderanno i confini tra produttori e consumatori, modificando entrambi i ruoli secondo modi che oggi possiamo a malapena comprendere. La stessa rete di comunicazione sarà un medium per tutte le voci, non solo per chi potrà permettersi le stampatrici da milioni di dollari, o di lanciare i satelliti o ottenere le concessioni governative per occupare l’etere pubblico”. Già, grazie a internet i Big Media hanno perso il monopolio sull’informazione. Testate-Web, blog, mailing list e e-mail sono gli strumenti principi di questa nuova ondata di giornalismo fatto dalla gente per la gente.
Questo il succo di “We the Media”, libro di Dan Gillmor, quotato giornalista del San José Mercury News e noto blogger della prima ondata.
Fresco di stampa in USA per le edizioni O’Reilly e disponibile online sotto licenza Creative Commons, affiancato dall’immancabile blog, il lavoro si pone come primo mattone per presentare e comprendere il giornalismo del XXI secolo e quanto ne seguirà. Quel che più conta, lo fa dal di dentro coniugando al meglio 25 anni di onorata professione con la centralità assunta in tempi recenti dalla blogosfera. Un connubio importante per vedere sotto una nuova luce gli eventi quotidiani, oltre che per re-impostare le dinamiche in atto tra il modo di fare informazione vecchio stampo (sotto il potere dei classici conglomerati mediatici) e le spinte innovative partite dal basso per offrire a tutti la possibilità di dire la propria. A partire dai tragici eventi dell’11 settembre 2001, quando una selva di ‘reporter elettronici’ in ogni parte del globo prese a diffondere resoconti personali, foto, commenti e quant’altro. Notizie di prima mano che non di rado sono arrivati sui computer e nelle case della gente prima e con maggiore efficacia di quelle dei grandi network TV.
L’autore racconta infatti che all’epoca, trovandosi in Sud Africa, ricevette le prime immagini tramite la mailing list “Interesting People” curata da Dave Farber, docente presso la University of Pennsylvania. Altri commenti che invitavano poi alla cautela pur tra dolore e rabbia, li trovò nelle pronte email spedite in giro da Tamin Ansary, un afgano-americano residente in California. Ira e incredulità inondarono rapidamente anche il weblog che Glenn Reynolds aveva attivato poco tempo prima in Tennesse, Instapundit.com, invitando però a non reagire indiscriminatamente contro i Mussulmani residenti in USA. “Ero molto reattivo… scrivevo come mi veniva, perché l’alternativa era lì davanti mentre la CNN rimandava in continuazione gli aerei che colpivano le due Torri,” spiega il professor Reynolds.
Oltre a questi esempi, Gillmor ci presenta svariati case studies di questo ‘giornalismo di base, fatto dalla gente per la gente’: dall’ormai noto cyber-attivismo a sostegno di Howard Dean ai blog di prima mano da un fronte bollente, tipo ‘Healing Iraq’ firmato da Zayed, fino al successo, non solo in USA, di trasmissioni indipendenti quali “Democracy Now!,” che mescola sagacemente il formato radiofonico con le potenzialità del Web. E ancora, progetti come iCan lanciato a fine 2003 dalla BBC: cinque aree geografiche inglesi dove persone locali fanno e diffondono le news, poi rilanciate variamente tramite il relativo sito Web nazionale. Solo alcuni delle molte situazioni portate qui a testimoniare la pletora di iniziative tese, in ogni parte del globo, a costruire dal basso un’efficace e decentrata rete di informazione, anzi meglio, di conversazione continua, il leit motiv che collega i vari capitoli e che rimane leva primaria dell’intero lavoro.
“Nel pomeriggio del 10 marzo 2002 inserii sul mio Weblog la bozza dell’introduzione e del primo capitolo di questo libro”, spiega infatti Gillmor nell’epilogo, non mancando di chiedere esplicitamente qualsiasi riscontro dai lettori. Da allora sono piovute segnalazioni di errori e imprecisioni, commenti e annotazioni di ogni tipo. Un esperimento di giornalismo open source, il primo nel suo genere, senza rete. “All’inizio non sapevo proprio cosa aspettarmi – aggiunge l’autore -, ma ora posso dire senza timore di contraddizione che questo processo ha funzionato. Grazie a tutti voi”. Concetti d’altronde già ribaditi e ampliati in chiusura dell’introduzione: “La crescita del giornalismo dei cittadini ci aiuterà ad ascoltare. La capacità di chiunque di fare informazione darà nuova voce a chi è stato senza voce, e a quanti le cui parole occorre ascoltare…. Alla fine, costoro contribuiranno a riattivare l’idea, attualmente minacciata, di una cittadinanza veramente informata. L’autogoverno non richiede nulla di meno, e ne trarremo tutti beneficio se facciamo ciò nel modo giusto”.
Non a caso il libro ha rapidamente ottenuto apprezzamenti da ogni parte. “Diventerà subito un testo standard per le scuole di giornalismo”, ha scritto Robert Scoble, technical evangelist di Microsoft. Mentre J.D. Lasica, noto columnist online, lo definisce “sicuramente il libro di giornalismo più importante dell’anno, perché dettaglia efficacemente la tempesta collettiva che sta per spazzar via qualsiasi concezione avevamo delle news”. E anche gli attivisti di Slashdot.org danno un’indicazione assai chiara: un lavoro importante per chiunque sia interessato a “diventare un partecipante più attivo, a saperne di più sul ruolo, prima passivo e ora proattivo, che il pubblico va giocando nella fase di creazione, editing e filtraggio dei media”.
Se è vero, come è vero, che il futuro dell’informazione passa sempre meno per i Big Media, allora questo lavoro di Dan Gillmor è cruciale nel contesto odierno delle culture digitali e funge da apripista per possibili scenari dirompenti non solo tra gli addetti ai lavori ma anche e soprattutto nell’intera comunità globale online.