L’ePub non è niente di speciale, scrive Adam Hyde, chiedendosi perché diamo peso alle caratteristiche e complessità intrinseche di un formato che raccoglie in modo approssimativo parti di specifiche scritte per il web.
Che cosa ci trattiene dal portare l’editoria digitale online nel mondo che le appartiene, il web? Perché non sfruttiamo dispositivi di lettura già esistenti, avanzati e relativamente maturi come i browser? Risponde Hyde:
Può darsi che un browser sia considerato in qualche modo troppo mondano per rappresentare il futuro del libro. Può darsi che intimorisca, perché spinge fortemente nella direzione del web e porta i contenuti allo scoperto. Può darsi che ci metta di fronte a sfide che non vogliamo prendere in considerazione. Sfide al nostro attuale modello di business, allo status del libro, all’orgoglio professionale, ai ruoli, alle infrastrutture.
Nicholas Carr e Clay Shirky affrontano le stesse problematiche. Carr vede nello scarso successo degli ebook oltre la semplice fiction un segnale della loro incapacità come contenitori validi per ogni tipo di contenuto: Gli ebook potrebbero finire per diventare un complemento del libro cartaceo, così come è stato a lungo per gli audiobook.
Risponde Shirky:
Quello che internet fa presagire non è la fine del contenitore cartaceo del libro, quanto la fine del modo in cui la carta ha dato forma alle nostre ipotesi sulla scrittura in generale.
Il discorso ruota intorno al concetto di limite, all’unità di pensiero, all’autorità e alla verità. La tecnologia necessaria per diffondere i contenuti in forma cartacea ha stabilito nel corso dei secoli un legame profondo sia con l’oggetto che veicola questi contenuti (il libro, appunto) sia con chi i contenuti li ha pensati e scritti. Il libro – sia di carta o digitale – è una unità autonoma, fine a se stessa, stabile. La voce che contiene può concentrare in un luogo definito la sua autorevolezza e l’esperienza di lettura può essere immersiva al punto di condurre alla completa identificazione. Un libro può contenere verità, essere veicolo di prestigio e di autorità.
Il web, al contrario, espone i processi di creazione, rende evidente il modo in cui il nostro pensiero si sviluppa e giunge a conclusioni: progressivamente, per gradi, assimilazioni, raffinamenti e correzioni. Portare i libri completamente all’interno di questo territorio – in un browser – ha implicazioni culturali, tecnologiche ed economiche ugualmente forti e complesse.
Le previsioni – come spesso accade – lasciano il tempo che trovano. Le tendenze da tenere d’occhio per capire se effettivamente sarà questa la direzione presa sono molte: la sorte confusa del formato ePub, la distribuzione del mercato tra dispositivi eink e tablet, la necessità di sviluppare strumenti di nuova generazione per la ricerca e la scoperta di nuovi titoli sono tra queste.
Ma soprattutto – per definire le strategie future – penso che sia importante tenere conto di quanto scrive James Bridle:
Il libro come contenitore non è morto, non più di quanto non lo siano i blog, ma l’opera lo è.
A sparire in una cultura distribuita dentro un network è l’opera fine a se stessa, stabile, compiuta, definita e isolata. Allo stesso tempo diventa lenta, pesante – meno economicamente sostenibile – e meno adeguata a descrivere la contemporaneità, quindi meno attraente per i lettori.
È di questo – più che della carta – che potrebbero finire per stancarsi.