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File-sharing più che mai, legale o meno

27 Gennaio 2004

File-sharing più che mai, legale o meno

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Nuove sentenze pro-utenti, Napster 2.0 all'università, P2P musicale in crescita

Sempre bollente l’arena legale per l’entertainment dell’era digitale. Con annesse ricadute a tutto campo tra gli amanti del file-sharing, come pure nel non sempre facile rapporto tra consumatori e industria. Dove va tra l’altro notato come, contrariamente alle aspettative, sia in risalita il numero di quanti proseguono nello scambio di file (illegali) via internet. Lo rivela l’ennesima indagine di mercato per i mesi di ottobre e novembre 2003, dopo una caduta d’interesse che si era protratta per il semestre precedente.

Nel frattempo i giudici statunitensi appaiono sempre più propensi a tutelare i diritti degli utenti nei confronti delle belligeranti iniziative dei consorzi industriali. Già nelle settimane scorse, la corte d’appello per il District of Columbia aveva negato alle major del disco l’imposizione ai provider di identificare gli utenti sospettati di ‘pirateria’ online. Sentenza che dà ragione al silenzio, tenuto recentemente da svariati fornitori d’accesso statunitensi, di fronte alle richieste della Recording Industry Association of America (RIAA) perché rivelassero l’identità di utenti sotto accusa.

Uno di questi, la cable company Charter Communications, ha anzi presentato formale istanza giudiziaria per ottenere una volta per tutte l’annullamento del ricorso a simili pratiche vessatorie. Scenario sostanzialmente coerente con la conferma, in Olanda, dell’assoluzione per l’azienda leader del file-sharing, Kazaa, e in Norvegia quella per “DVD Jon”, ideatore di un programma capace di scardinare le protezioni tecnologiche dei DVD. Al tutto va aggiunta ora la sentenza di una corte federale che costringe i big di Hollywood a promettere di non denunciare i proprietari di videoregistratori ‘anti-spot’.

“Non è illegale saltare gli spot pubblicitari, né tantomeno inviare spettacoli TV da casa al proprio ufficio” ha spiegato l’avvocato della Electronic Frontier Foundation.” Siamo soddisfatti di essere riusciti a difendere i nostri clienti da ingiustificati utilizzi del copyright, affermando il loro diritto all’esercizio dell’uso legittimo.” Si è così chiusa la causa intentata da cinque utenti del videoregistratore digitale in questione, il ReplayTV, i quali potranno continuare ad usarne le funzioni incriminate (“commercial advance” e “send show”). Analogamente potrà fare ogni futuro ogni acquirente dell’apparecchio, pur se formalmente la sentenza si limita a salvaguardare i diritti dei cinque querelanti. D’altronde è quel che hanno promesso i rappresentanti di 28 società dell’entertainment made in USA, presenti in aula per il processo. Non resta che credergli.

Va poi segnalata, ampliando un attimo il contesto, la rapida diffusione nuovo Napster a pagamento. Il quale va spopolando nel maggior campus della Pennsylvania State University. Stavolta in maniera del tutto legale, visto che lo scorso autunno i responsabili accademici avevano firmato un accordo per la fornitura del servizio ai propri studenti. Tale accordo prevede che questi ultimi possano scaricare gratuitamente i pezzi offerti da Napster, e tenerli sul proprio hard disk fino a quando lasciano l’università. Per un’inezia aggiuntiva (99 cent a canzone) possono essere copiate su music player o CD. Nel giro di 24 ore dal lancio l’iniziativa raccolto l’entusiasta adesione di oltre 3.000 studenti, i quali hanno rapidamente scaricato circa 100.000 canzoni. Secondo gli stessi dirigenti universitari si tratta di un grande successo, considerato altresì che il traffico della rete interna non ha subito rallentamenti e nessuno ha avuto problemi a registrarsi online. Obiettivo complessivo dell’iniziativa rimane comunque quello di chiarire agli studenti le implicazioni legali del file trading ed evitare la circolazione di materiale illecito. Quanto prima il servizio verrà esteso a tutti gli 83.000 iscritti ai corsi della Pennsylvania State University.

Altro segnale importante di questi giorni, ecco i dati dell’ultima ricerca nell’ambito del P2P musicale. Secondo l’agenzia NPD Group, negli scorsi mesi di ottobre e novembre tale ambito ha visto una netta ripresa. La risalita sarebbe intorno al 14 per cento, anche se, si sono affrettati ad aggiungere gli autori dell’indagine, potrebbe però trattarsi di una “crescita stagionale”, dovuta alla voglia di paragonare le disponibilità dei giri P2P con quelle dei diversi servizi legali di fresca nascita. Oltre che, forse, del tipico rialzo d’interesse per la musica dell’ultimo trimestre dell’anno, quando si vende un quinto dell’intero fatturato.

Nulla di cui preoccuparsi, ha insistito un portavoce della RIAA, per il quale la misura del successo rimane la “creazione di un ambiente dove i servizi di musica online legali possano continuare fiorire”. Nel complesso, pur se il ricorso al P2P illegale è diminuito dallo scorso aprile (quando le major hanno lanciato le campagne legali contro i singoli utenti), le varie indagini sul campo confermano l’esistenza di un vasta rete di persone sparse nel mondo che proseguono imperterriti. E, a ben vedere, non potrebbe essere diversamente.

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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