Il mutamento in rete è una buona pratica condivisa da siti e piattaforme, in particolare quelli che costruiscono il proprio collante sulla socialità. È la logica della beta permanente, il cui significato affonda nella storia del software, in quell’esigenza di proporsi ai propri utenti con prodotti mai definitivamente chiusi, facendoli testare e lasciando la porta aperta a sempre nuove release. In rete questo atteggiamento diventa modo di pensare, comportamento comune, e sa raccontare della necessità di mettere al centro il cambiamento come valore assoluto. Pensiamo ad esempio a Google e alla costruzione di applicazioni sempre nuove che sfruttano le grammatiche social.
Dalle pagine al flusso
Spesso i cambiamenti servono a supportare le mutazioni delle dinamiche sociali e sviluppare un maggiore controllo da parte delle piattaforme, altre volte sollecitano le mutazioni per ricondurre i comportamenti sociali a forme utili, ad esempio per strategie di marketing 2.0. Prendiamo la storia più recente di Facebook e il modo in cui ha introdotto modifiche rilevanti nel racconto delle relazioni sociali che costruisce attorno ai profili. Nel marzo 2009, ad esempio, Facebook introduce lo stream, che ha permesso agli utenti di avere aggiornamenti istantanei sui propri amici. Viene scardinata la logica del passaggio tra pagine a favore del flusso, di una realtà continua fatta di comunicazioni in cascata che raccontano in chiave temporale lo scorrere degli status update degli amici. Il vero valore cui pensare sono i contenuti sociali degli utenti e la passibilità di condividerli e metterli in connessione.
Nell’ottobre 2009 la realtà un po’ caotica dello stream trova un suo ordine sociale con la distinzione tra un news feed e live feed. Il primo viene considerato l’ingresso privilegiato quando ci si connette e ci mette direttamente in contatto con le notizie ritenute più interessanti dalla nostra rete di amici. I like vengono soppesati algoritmicamente mostrando come rilevanti quelle news piaciute a quegli amici con cui abbiamo avuto rapporti ad esempio più continuativi nel tempo. Il live feed, invece, mantiene la logica di flusso temporale introducendo però la visibilità di una serie di contenuti sui rapporti sociali, ad esempio le amicizie che abbiamo accettato o le modifiche del nostro status sentimentale. In pratica con il news feed si misura la rilevanza in base al capitale sociale che abbiamo costruito nel nostro network e con il live feed si afferma la rilevanza e centralità anche dei contenuti puramente relazionali, quelli che quando “it’s complicated” cambia fanno scattare l’analisi approfondita dei profili degli amici. Sono le relazioni sociali, è evidente, il valore su cui puntare sia per far crescere a dismisura il network che per mettere a fuoco ciò che può essere rilevante per le imprese che su Facebook vogliono investire per sviluppare un brand o tentare approcci di neo(?)-marketing.
Profilo a due
Oggi Facebook cambia il proprio volto, o meglio: il volto di ogni utente, e lo fa strutturando un nuovo modo di pensare al proprio profilo. In evidenza troviamo le informazioni sintetiche dell’identità e all’utente viene richiesto di arricchirle in modo da auto-profilarsi al meglio: quanto saranno utili profili sempre più completi per la targettizzazione lo sapremo in futuro. Di fatto si rende più facile individuare le informazioni rilevanti di una persona e la presentazione del sé auto-costruita si lega immediatamente a una serie di immagini alle quali siamo stati taggati e che ci rappresentano, in qualche modo. Quando vai sul profilo di un amico trovi in evidenza la storia del vostro rapporto e con un clic di “vedi dettaglio amicizia” puoi ripercorrere la relazione sociale attraverso i contenuti che vi accomunano: post in bacheca, foto, eventi a cui avete partecipato, commenti, cose che vi piacciono. In pratica si crea un profilo a due che è simile al profilo personale (c’è anche la foto del profilo scelta fra quelle in cui siete entrambi taggati) ma che racconta tutta la storia di un rapporto… secondo Facebook.
Ciò che viene misurato non è l’intensità della relazione personale ma la prolificità di scambi connessi: un nuovo modo di (ri)pensare l’amicizia nell’epoca di social network. Un’amicizia, anche questa, in beta permanente. Tant’è che si potranno mostrare gli amici raggruppati, ad esempio per interesse o lavoro, e scegliere quale gruppo di amici privilegiare. In fondo il racconto della nostra identità è dato anche da chi vogliamo mostrare come amici. Con questa modifica di profilo Facebook ci sovraespone con maggiore decisione, chiedendoci una complicità nel trovare affinità con gli altri e mostrare le nostre vocazioni più che mettere in evidenza semplicemente i nostri status. E che uno degli obiettivi che Facebook ha è quello di favorire la creazione di gruppi, poiché un suo limite è proprio la difficoltà di riuscire a creare gruppi di interesse che permettano di condividere competenze ed esperienze. La recente introduzione di una modalità per costruire gruppi va proprio in questa direzione.
Relazioni manipolate
Perché non dobbiamo dimenticare che Facebook è un apparato, un dispositivo e, usando le parole di Michel Foucault, va ricordato che «ha essenzialmente una natura strategica, il che significa dare per scontato che si tratta di una certa forma di manipolazione di oggetti o forze raggiunta sviluppandole in particolari direzioni, arrestandole, stabilizzandole, utilizzandole eccetera. L’apparato è perciò sempre iscritto in un gioco di potere, ma è anche sempre legato ad alcune coordinate di sapere che nascono da esse sebbene, in ugual misura, lo condizionano». L’essere permanentemente in beta è, in fondo, una coordinata di sapere che racconta bene questa modificazione continua di forze, di relazioni sociali che vengono “manipolate” in direzione di un equilibrio più sfruttabile ai fini dell’apparato stesso, che sottendono un rapporto di potere ben preciso: ricordiamoci che nessuno di noi è proprietario dei contenuti di cui riempie questo social network.
Facebook crea un racconto che mostra bene come le imprese oggi siano passate dal controllo sui nostri consumi a quello sulle nostre relazioni sociali, delle dinamiche emotive ed affettive connesse. Si tratta quindi di cominciare a sviluppare una critica sulla natura politica di questi dispositivi e di farne un territorio più consapevole del nostro abitare.