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Erotismo e socialità nell’epoca di Internet

10 Agosto 2001

Erotismo e socialità nell’epoca di Internet

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"Sesso no-profit", antidoto all'omicidio della socialità online tentato dai media nostrani.

Sembra proprio che Internet in Italia non sia mai nata. Dopo quattro-cinque anni di sfondamento anche al di sotto delle Alpi e pur a fronte di dati eclatanti sulla penetrazione nelle famiglie e in ufficio, l’evidenza quotidiana dimostra come la scena italica Internet sia stata poco o nulla toccata dall’andirivieni del mondo digitale. Meno che mai, evento più che certo, la gente della penisola è stata sfiorata da quella creatura poliforme, tentacolare che apre la comunicazione in senso orizzontale, da quel magma libero e liberante che unisce i quattro poli del pianeta — il vento del cambiamento, di sé e degli altri. Qualcosa che, al contrario, negli USA e altrove ha incendiato menti e computer di un’intera generazione, prodotto cultura e avviato nuove occupazioni — pur tutti i riflussi odierni

Notoriamente molta della colpa (inevitabile?) ricade sui cosiddetti grandi media, che hanno dipinto Internet al grande pubblico via via come covo di hacker malefici (già dimenticata l’operazione Hardware 1 che nel ’94 distrusse la pur fiorente cultura delle BBS nostrane?), poi luogo ideale per efferati crimini di pedofili o al massimo vetrina per le peggiori passioni pornografiche; Infine, è storia dei nostri giorni, come testa di ponte per la rivoluzione della new economy, la quale nel frattempo si è rivelata più old e stantia di quella del passato prossimo. Tutti cyber-criminali o cyber-scemi, insomma, gli utenti italiani. Ai quali non resta, ahimè, che sorbirsi l’ennesimo minestrone proposto giorni fa da una nota testata di disinformazione, “la Repubblica”: “L’estate è una super chat, le città capitali del sesso grazie a Internet.” Tralasciando ovviamente i contenuti (contenuti?) del pezzo, basti segnalare come a suggello di una siffatta notizia (notizia?) si affianchi, addirittura in taglio basso di prima pagina una colorita nota di Natalia Aspesi su, udite udite, “la gelosia ai tempi delle chat”.

Scegliete pure voi se ridere o piangere, tanto fa lo stesso. Ai suddetti in ogni caso non frega un bel nulla. Lo sappiamo bene, in questi anni erano in altre faccende affaccendati, probabilmente dormivano, sanno poco o nulla di quel che andava (e va) realmente accadendo dentro e intorno a Internet. Ancora una volta, s’impacchetta così alla bell’e meglio qualche dato a caso e poco o nulla verificabile (2 milioni gli italiani che ‘chattano’, 40.000 dei quali ‘fanno sesso prevalentemente’ su Internet), si offrono scenari tanto falsi quanto scontati: “Chi si rivolge alla vita virtuale non intende servirsene per rendere più brillante, più ricca, più felice la sua vita reale. Ma per lasciare la stessa alle sue spalle…per crearsi un luogo proprio, impenetrabile alla realtà, chiuso in se stesso, con sue leggi e suoi comportamenti, sue emozioni e una sua vita”, azzarda Aspesi. Ma per l’italiano medio tutto ciò basta e avanza, giusto?, soprattutto nel pieno dell’afa estiva.

Senz’alcuna polemica, a costoro occorrerebbe recapitare quantomeno una copia di “La vita sullo schermo”, prima e fondamentale indagine sociologica dedicata proprio al mondo della socialità online. E sì che quel volume di Sherry Turkle, psicologa e docente del MIT, è apparso in USA nell’ormai lontano 1996 e l’anno successivo in traduzione italiana. Da allora, quelle analisi sono state pienamente confermate, vengono tuttora stra-citate a destra e a manca. Ovvero il chat come laboratorio dove esplorare aspetti meno ovvi e comuni della propria personalità, modalità quasi psicanalitica per conoscersi meglio e affrontare in certa sicurezza problemi irrisolti a livello profondo. Ambienti MUD come sperimentazioni a cielo aperto per nuove modalità espressive, ricerche di incontri tra simili al di fuori delle convenzioni sociali, esplorazioni verso libertà inattese tutte da conquistare ma potenzialmente importanti. Certo, con l’inevitabile dose di rischi, delusioni, problemi — al pari di altre esperienze di vita vissuta. In ogni caso, niente a che fare con la chiusura verso l’esterno o il sesso sfrenato via Internet.

Anzi, visto che il sesso online fa sempre ‘notizia’, basterebbe forse regalare ai suddetti una copia di un recente lavoro tutto nostrano, “Sesso no-profit: l’erotismo degli italiani in Internet”, curato da Carlo Galeotti per Stampa Alternativa (191 pagine, lire 16.000, giugno 2001). Indagine di tipico taglio giornalistico, il volume si rifà chiaramente alle tesi appena esposte per illustrare da vicino percorsi di sperimentazione tesi verso una socialità non convenzionale. Attenzione: niente a che fare con la pornografia o il rimorchio facile; tutt’al più un primo reportage, “laico e antiproibizionista” — su uno degli aspetti fondamentali della socialità umana, la sessualità. Come recita il retrocopertina, “Gli italiani, in questi ultimi anni, hanno scoperto la rete non solo per investire in Borsa, ma anche per dar sfogo al loro esibizionismo sessuale, alle loro preferenze erotiche.”

Un excursus all’interno di aree chat e siti web i cui protagonisti si cercano e si aprono lungo le strade di una sessualità non prezzolata che va cambiando sull’onda nuove tecnologie. Sentieri ricchi della necessaria dose di libertà, spontaneità e serietà che si accompagnano ad ogni onesto ricercatore. Partendo sì da Internet ma espandendosi rapidamente agli onnipresenti SMS e a quant’altro seguirà. Un’indagine a tutto campo sulle nuove forme di socialità offerte dal digitale, senza pregiudizi o conformismi né falsi pudori. Perché se è certo che la cultura digitale è in agonia, ancor più vero rimane il fatto che possibili sacche di speranza (e resistenza) vanno cercate nei territori di frontiera, ieri come oggi appesi alle voglie dei singoli di cambiare se stessi e, perché no?, il mondo intero.

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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