Un’emozione è per sempre
Era il 1948 quando il copywriter Frances Gerety della N.W. Ayer & Son di Philadelphia riuscì a emozionare il mondo con l’indimenticabile slogan Un diamante è per sempre per l’azienda sudafricana di diamanti De Beers. Cinque parole che hanno saputo incastonare nell’immaginario di tutti una pietra rara perfetta per la celebrazione dell’amore eterno; cinque parole che sanno toccare le corde più profonde dentro di noi. Funzionano perché non si concentrano sulle specificità del prodotto, non creano paragoni con altre realtà. Piuttosto, si legano a un’emozione universale, l’amore, e trasformano il diamante in un simbolo di un desiderio umano. Anziché giocare sulla USP di quegli anni, la unique selling proposition orientata al prodotto, anticipano un’altra modalità, la ESP, l’emotional selling proposition: in primo piano c’è innanzitutto l’emozione che si può provare con quel bene o servizio.
Oggi la Rete chiede sempre più di lavorare con la ESP per coinvolgere un pubblico e interagire con lui. Saper emozionare tramite il riconoscere i bisogni, le aspettative e le sensazioni delle persone che vogliamo intercettare online, infatti, aiuta a costruire contenuti e messaggi migliori. Succede perché instauriamo una relazione emotiva ed empatica oltre lo schermo: ci mettiamo in ascolto dell’altro, e dimostriamo proprio con le nostre parole di essere presenti e attenti. L‘integrazione dell’ascolto dei comportamenti umani nelle strategie creative è un approccio che sta lentamente guadagnando terreno anche all’interno delle aziende ed è caratterizzato dalla combinazione di diverse discipline umanistiche in un metodo agile per estrarre informazioni rispetto a come le persone pensano, sentono e prendono decisioni, anche di acquisto. Una di queste discipline è la netnografia, che affonda le sue radici nelle scienze sociali e che studia usi, costumi, valori, tradizioni e linguaggi di noi esseri umani (e consumatori) interconnessi grazie alla Rete.
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Da quando ci svegliamo a quando andiamo a dormire abitiamo i territori digitali e, muovendoci al loro interno, compiamo dei gesti, come ricercare una parola su Google, commentare un post su Facebook o mettere like a un’immagine su Instagram. Lasciamo così delle tracce, piccoli indizi che possono raccontare storie interessanti su chi siamo e perché ci comportiamo in un certo modo, che cosa proviamo: queste tracce sono gli small data, l’ingrediente speciale che può fare la differenza nella costruzione di un lancio di comunicazione, di un contenuto o di un piano editoriale.
Maestra nell’arte di ascoltare è la sociologa Marianella Sclavi, che ha dedicato buona parte della sua attività proprio all’ascolto attivo. Tra le sue sette regole dell’arte di ascoltare, la quarta è forse quella più importante per chi fa comunicazione digitale, eccola:
Le emozioni sono degli strumenti conoscitivi fondamentali se sai comprendere il loro linguaggio. Non ti informano su cosa vedi, ma su come guardi. Il loro codice è relazionale e analogico.
Emozionare, per creare narrazioni efficaci
Insomma, mai dimenticare che siamo esseri umani, con tutte le nostre emozioni positive e negative, anche (e soprattutto) negli habitat digitali. Ci arrabbiamo, litighiamo, ci divertiamo, rimaniamo delusi, ci innamoriamo allo stesso modo. E così, nello zaino di un buon comunicatore, servono metodo, attitudine all’ascolto, capacità di individuare equilibri e correlazioni, ma soprattutto serve intuito, per emozionare. Ed è proprio dall’intuizione e dalla capacità di codificare e decodificare emozioni che nascono le narrazioni più efficaci per i prodotti e per i servizi che vogliamo comunicare verso l’esterno. Anche quando si tratta di una promessa per l’eternità.
Bonus extra, un buon libro da tenere sul comodino: L’Atlante delle emozioni umane. 156 emozioni che hai provato, che non sai di aver provato, che non proverai mai, di Tiffany Watt Smith. Ad esempio: hai mai provato la basoressia online?
Immagine di apertura di Priscilla Du Preez su Unsplash.
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