Breve articolo estivo, che fa caldo e di questi tempi si legge con più fatica. E affrontiamo un tema stagional-tecnologico, legato al solleone che ci sta rendendo gradevoli (o insopportabili) le vacanze. Qualche tempo fa si è verificata una fuga di gas nel palazzo dove vivo (o meglio, per voi che leggete, vivevo: a quest’ora ho già traslocato). Morale della favola: quattro giorni senza gas.
A parte iproblemi di igiene personale, che con molta virilità (e complice il calore estivo) si risolvono con le docce fredde, il problema grosso è stato cucinare – non avendo noi piastre elettriche in cucina. Alla fine, tra microonde e forno tradizionale, ce la siamo cavata; ma inevitabile è stato riflettere riguardo a un futuro in cui non potremo forse più cucinare come siamo abituati: sia per la scarsità delle risorse (a lungo termine) che (a brevissimo termine) per l’impellente necessità di abbattere la produzione (anche domestica) di Co2 eccetera. Sperando di essere ancora in tempo e che il mare, crescendo, non trasformi Cavenago in una stazione balneare.
A livello di cucina domestica, per non usare il gas, non appaiono esserci moltissime soluzioni. Possiamo ricorrere all’elettricità prodotta dal nucleare (con tutte le complicazioni del caso), dall’eolico (con tutti i complessi problemi del caso) o dall’idroelettrico. Possiamo attrezzarci per bruciare sterco di vacca (problemi di popolarità coi vicini) o legna rubata al parco (soluzioni ecologicamente problematiche e passibili d’arresto). Insomma, a farla breve, sembrerebbe che l’unica soluzione possibile sia quella di orientarci verso la cucina più ecologica che c’è, quella veramente a zero emissioni: la cucina solare.
Avete presente gli specchi ustori di Archimede, quella grossa bufala storica? Beh, l’idea è la stessa. Abitando in un luogo soleggiato (il che esclude Milano per lunghi mesi) e avendo a disposizione un prato, un giardino o un ampio terrazzo (il che esclude buona parte di Milano in qualsiasi periodo dell’anno) possiamo cuocere facilmente e con soddisfazione utilizzando l’energia del sole. Meteorologia e spazi a disposizione a parte, la cucina solare è in realtà alla portata anche della famiglia tipo, grazie a compatti apparati quali i “forni solari”. Questi apparati si prestano bene anche a forme di autocostruzione – comprese soluzioni semi-survivalistiche minimali, letteralmente assemblabili con due cartoni e un po’ di foglio d’alluminio.
Se non siete dei bricoleur vi potete comprare un inquietante parabolone tra i 200 e i 400 euro. Una volta venuti in possesso di quello che i vicini scambieranno per un antenna Sky in grado di vedere il campionato di Plutone, non vi resterà che posizionarla adeguatamente per poter far bollire (gratuitamente) una pentola d’acqua in 25 minuti o preparare succulenti piatti a fuoco lento. Il problema sta nel fatto che il sole gira, e che quindi è necessario inseguirlo con la parabola per assicurare la focalizzazione del calore sulla pentola o sul forno solare. In assenza di meccanismi automatici di inseguimento, si rende necessaria la presenza di una apposita casalinga (o colf) che segua in diretta il processo di cottura e l’inseguimento dell’astro, tenendo conto che un piatto di verdure richiede normalmente circa un’ora e mezzo circa, in funzione anche del tipo di apparato di cui disponete e della situazione meteorologica e che si può arrivare alle tre ore e più di cottura.
Sembrerebbe quindi che questo tipo di cucina sia poco compatibile con la nostra struttura sociale, mentre è molto più adatta a luoghi che non solo hanno un meteo più favorevole, ma problematiche della condizione femminile estremamente diverse dalle nostre – ad esempio il problema per le donne di fare molti chilometri al giorno per trovare un po’ di legna. Per questo la soluzione solare si presenta estremamente promettente ad esempio in molti paesi africani, tramite la realizzazione di appositi impianti, ed è al centro di numerosi progetti di supporto alle popolazioni locali sviluppati da varie Ong e da associazioni per lo sviluppo di questa tecnologia tra la popolazione.
Quanto a noi, l’unica soluzione plausibile per portare a zero le emissioni della nostra cucina sembra essere quella di andare al ristorante. O di sopravvivere a insalata e panini.