Partecipare a un TOC è sempre un’esperienza stimolante. Circa un migliaio di editori e professionisti dell’editoria accorrono a New York da tutto il mondo e per tre giorni hanno la possibilità di confrontarsi e annusare nuove tendenze, come abbiamo raccontato via Twitter.
L’industria, tradizionalmente restia ai cambiamenti, sta forse attraversando uno dei suoi momenti più duri. In difficoltà prima di tutto sono i segmenti a valle della filiera – distributori e librerie – ma da qui la crisi risale e rimette tutto in discussione.
Sotto osservazione il ruolo dell’editore che fatica a staccarsi da un modello di business basato sul libro come prodotto e stenta a prendere confidenza con le grammatiche della Rete, forzate a proprio favore da Amazon e altri grandi player.
Ci sono tuttavia ragioni per essere ottimisti, a parafrasi di Tim O’Reilly:
#TOCcon @TimOReilly: @realjohngreen It’s “about collaborating w others to make something new.” O’Reilly: “That’s the reason for optimism.”
— Porter Anderson (@Porter_Anderson) 13 febbraio 2013
Ma prima è necessario mettere un punto fondamentale: non viviamo il tempo degli ebook, siamo nell’era post-book. Libri, ePub, Mobi, app, browser, ereader sono contenitori di contenuto. Indifferentemente.
Il libro è un contenitore basato su una tecnologia ben definita e consolidata nei secoli, messa a punto per offrire un’esperienza di contenuto ricca di significato. Ora la tecnologia sta evolvendo e non a causa di Amazon e Kindle, ma perché sono in transizione i modelli di consumo delle informazioni da parte di lettori sempre più circondati da schermi e connessi alla Rete.
L’editore si trova così davanti alla necessità di capire la tecnologia come non mai e usarla per creare nuove esperienze sul contenuto, il che non significa per forza nuovi contenuti ma nuovi paradigmi e interfacce. In questo può e deve recuperare la sua funzione primaria: pubblicare, rendere pubblico.
Libri come piattaforme
Il TOC indica quindi un futuro possibile dove l’editore segue un workflow basato su (X)HTML(5) (non XML, attenzione), formato standard e aperto, ideale sia per gestire in maniera semanticamente importante il contenuto, sia per rielaborarlo in chiave ePub (2-3), Mobi, PDF, app (eccetera) ma anche e soprattutto Web. Si parla quindi di libri come piattaforme informative aperte e coerenti alle tecnologie web, attorno a cui sviluppare servizi, nuove vie di accesso ai e tra i contenuti tramite interfacce di programmazione (API, Application Programming Interface). E su questi servizi costruire un business diverso.
Il quadro che prende forma mostra un’editoria diversa che si riappropria con forza del suo ruolo di gatekeeper di informazioni, rivendicando una funzione culturale e pedagogica che storicamente le appartiene ma a cui ha troppe volte rinunciato delegando a Google prima e Amazon poi il ruolo di traghettare il catalogo verso nuove interfacce e formati.
In nuce si intravvede qui il motivo per cui essere ottimisti: possiamo chiamarlo open book o platforming book ed è l’antitesi – l’antimateria? – dei walled garden tipici di Amazon. L’editore può vincere la partita spostando l’attenzione da quello che è il punto di forza di Amazon – vendere – a quello che è il suo punto di forza: pubblicare. Non si tratta necessariamente di pensare nuovi prodotti ma nuove architetture, ricordandosi un grande asso nella manica da giocare, ovvero creare quello che Amazon non può (ancora?) dare ai lettori: un’esperienza sui contenuti al 100% aperta e arricchita non di effetti speciali ma di interconnessioni con il cuore di un editore, il catalogo e i suoi autori.
Meno carta, più software
In questo scenario futuribile, affascinante e difficile, dettagli come la scelta tra ePub 2, ePub 3 o app passano in secondo piano (seppure ePub 3 guadagni interesse per il suo nucleo HTML5), mentre l’attenzione si sposta verso la necessità di integrare i quadri produttivi con un know-how proprio di UX (user experience) e interaction designer, visionari che immaginano e sviluppano le nuove esperienze integrandole nella strategia definita a monte.
Ma servono anche designer software. Quindi pratici di metadati in grado di dare forza e coerenza al corpus informativo attraverso analisi di dati e ottimizzazioni SEO (per Google ma anche per gli store come quelli di Amazon e Apple). In tutto questo la cura del prodotto digitale oggi prioritario – il libro in formato ePub – diviene l’ABC del lavoro, con soluzioni tipografiche e fallback ottimali sul lato del markup e fogli di stile sempre più accurati, in grado di garantire buona lettura su ogni device.
È un’impresa sfidante quella che aspetta l’editoria, a cui ben pochi oggi sono realmente pronti. Tim O’Reilly dal palco del TOC sentenzia profetico e sicuro alla platea:
Editori: we have still a job to do! @timoreilly #toccon
— Apogeo Editore (@apogeonline) 13 febbraio 2013
È vero. L’editore ha ancora un sacco di lavoro da fare. La domanda è se sarà capace di cambiare come serve per affrontarlo come deve.