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E-Vote: bacato, rischioso eppur ineluttabile?

10 Febbraio 2004

E-Vote: bacato, rischioso eppur ineluttabile?

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Montano in USA le polemiche sul voto elettronico, e perfino il Pentagono ci ripensa

Si è fatto acceso il dibattito sulle elezioni elettroniche in USA. Alle recenti polemiche sulla sicurezza del software di nuove macchine da implementare sul territorio nazionale, si sono aggiunti ora i pesanti dubbi su un progetto di e-vote curato dal Pentagono. Dubbi che hanno infine convinto le autorità militari a fare dietro-front, confermando così la legittimità dei problemi messi a nudo. Insiste però qualche esperto: il voto online è inevitabile e perfino auspicabile, pur se non ancora perfetto.

Va innanzitutto ricordato che nei mesi scorsi uno studio condotto in Maryland aveva rivelato “vulnerabilità ad alto rischio” nei sistemi gestionali delle macchine tipo touch-screen impiegate in quello stato e altrove in USA. Ampiamente pubblicizzato, lo studio aveva contribuito ad alimentare le perplessità di varie autorità locali. Tra queste, i responsabili di Alameda County (che include Berkeley e Oakland) hanno poi rivelato la possibilità che nel recall per il governatore del 4 novembre scorso le macchine touch-screen abbiano usato software non certificato. Decidendo così di bloccare l’implementazione dei nuovi sistemi Diebold, prevista a marzo per le primarie presidenziali della California. In attesa di indagini più approfondite, è stata cioè rinviata indefinitamente la certificazione delle nuove macchine, pur tra la ‘delusione’ dei dirigenti Diebold. Senza dimenticare come nella stessa Alameda County l’intero sistema elettronico elettorale fosse stato rinnovato appena un anno fa per la non modica cifra di 12 milioni di dollari.

Ancora: a fine gennaio RABA Technologies ha pubblicato un nuovo studio che critica i sistemi elettronici di Diebold, il cui software andrebbe riscritto onde riparare le falle della sicurezza. Secondo gli autori della ricerca, tali sistemi non offrono difese sufficienti a prevenire intrusioni di hacker e/o malintenzionati, decisi ad alterare i risultati dei voti elettronici. Pur aggiungendo che gli apparecchi si dimostrano capaci di contare e registrare i voti in maniera accurata. Per tutta risposta, un portavoce di Diebold ha spiegato che l’azienda è in grado di sistemare prontamente ogni difetto, onde avere i sistemi “up and running” per le imminenti primarie in Maryland e Georgia, i cui governi statali hanno comunque deciso di fidarsi.

Altre preoccupazioni ha suscitato, un paio di mesi addietro, la notizia della libera disponibilità, seppur per un breve lasso di tempo, del software di Sequoia Voting Systems, senza protezione alcuna, su un comune server FTP gestito da Jaguar Computer Systems. Prontamente allertata, la società di assistenza ai sistemi elettorali in California ha rapidamente bloccato l’accesso al server, ma la notizia era già rimbalzata ovunque. Come pure la decisione dei giudici californiani a favore della denuncia presentata da Electronic Frontier Foundation e Cyberlaw Clinic presso Stanford University contro Diebold. Quest’ultima ha dovuto smettere di inviare lettere di “cease-and-desist” a provider e utenti per aver diffuso online una memo interna che delineava i problemi sulla sicurezza di tali macchine. Sentenza che, secondo Wendy Seltzer, legale della stessa EFF, “ha impedito a Diebold di usare infondate norme sul copyright per impedire il dibattito pubblico sull’accuratezza delle electronic voting machines.”

Alla luce di un simile scenario, arriva ora la decisione del sottosegretario alla difesa Paul Wolfowitz di bloccare l’annunciato progetto di e-vote per militari e altro personale statunitense residente all’estero. Evento che avrebbe interessato circa sei milioni di cittadini, tra militari e relative famiglie. Motivo dell’auspicato ripensamento è ancora una volta il rischio-sicurezza: il sistema “non può assicurare la legittimità dei voti arrivati via internet.” In pratica le autorità del Pentagono hanno recepito le documentate critiche rispetto a tale sistema, chiamato Secure Electronic Registration and Voting Experiment (SERVE) e curato da Accenture eDemocracy Services.

Nelle scorse settimane varie fonti qualificate avevano infatti posto l’urgenza di una simile decisione. Docenti della University of California a Berkeley e della Johns Hopkins University, insieme ad esperti già operanti all’IBM, avevano pubblicamente criticato il programma attivato dal Pentagono. A nome del gruppo di studio, Avi Rubin e Barbara Simons avevano subito chiarito i termini della questione: “Non è possibile creare un sistema sicuro di votazione tramite comuni PC che usano Microsoft Windows e l’attuale internet.” Il team, noto come Security Peer Review Group, aveva inoltre diffuso un report in cui si sosteneva come ogni progetto basato su internet ponesse “rischi seri e inaccettabili” di frodi elettorali. A tutta prima, però, i responsabili del Pentagono parevano intenzionati a procedere comunque, prevedendo di sottoporre SERVE a un primo test con le primarie democratiche in South Carolina di martedì scorso. Decisione rimangiata a 24 ore dalla prevista implementazione, e rapidamente estesa all’intero progetto.

Mentre è ovvio che l’intera questione va ampiamente riconsiderata, sembra tuttavia che debba prevalere l’ineluttabilità dell’e-vote, ovviamente una volta risolte le attuali difficoltà tecniche. Qualcuno la ritiene anzi una soluzione auspicabile nel contesto più generale del moderno processo democratico. Una voce per tutti è quella di Michael Alvarez, condirettore del Voting Technology Project firmato da CalTech e MIT: “le possibilità di minacce alla sicurezza vanno misurate contro la maggiore conoscenza dei sistemi tecnici e l’incremento d’accesso al voto per i cittadini.” Forse che si tratti davvero di rischi accettabili?

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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