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«È ora di salvare Internet»

09 Luglio 2007

«È ora di salvare Internet»

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La Rete è fonte di innovazione e produttività, ma anche vittima di frodi e illegalità. Il conflitto tra apertura e censura, tra creatività e controllo - secondo il docente statunitense - si può vincere con la cittadinanza digitale, i mash-up e maggior sostegno agli Isp

«Bisogna salvare Internet». È questo l’appello lanciato da Jonathan Zittrain in un lungo articolo pubblicato sul numero di giugno di Harvard Business Review (consultabile solo dietro sottoscrizione). Docente di Internet Governance a Oxford e Visiting Professor all’Harvard Law School, Zittrain è autore di una originale teoria della Rete come piattaforma “generativa” (qui un paper a riguardo): «La generatività è ciò che rende Internet una fonte continua di innovazione e produttività, ma anche ciò che la rende vulnerabile allo spam, alle frodi, al porno, e ai sempre più gravi attacchi all’infrastruttura stessa». È così che, ora più che mai, Internet si trova a essere attraversata da due forze in conflitto tra loro: da una parte l’apertura, la creatività, la diversità tra pari che collaborano in un ambiente produttivo orizzontale senza precedenti; dall’altra i tentativi di censura, controllo e chiusura messi in atto dai governi (in nome della sicurezza) e dalle grandi corporation (in nome del profitto). Cittadinanza digitale, network neutrality per i mash-up, maggior aiuti agli Isp, macchine virtuali sono le quattro soluzioni indicate da Zittrain per non disperdere l’apertura generativa dell’attuale rete e, contemporaneamente, farla restare un posto ancora vivibile.

Dal punto di vista dell’evoluzione delle pratiche produttive, quali sono le conseguenze più dirompenti dei sistemi generativi?

I sistemi generativi permettono a qualsiasi persona creativa e talentuosa di contribuire e partecipare, anche senza essere accreditata o autorizzata. In questo modo i risultati ottenuti possono essere condivisi anche con gli utenti mainstream – e così l’intero sistema riesce ad evolvere verso direzioni inaspettate. Tutto ciò può essere positivo – e ha sicuramente funzionato molto bene con Internet, dove alcuni degli strumenti più popolari, a cominciare dal web e dall’e-mail, sono arrivati proprio da fonti amatoriali o no-profit. Dirompente è anche il modo in cui un programma come Napster, scritto da uno studente al college, sia riuscito a stravolgere così velocemente il panorama dell’industria musicale. Naturalmente, si può affermare che Napster è stato un utile campanello d’allarme per l’industria tradizionale affinché individuasse nuove strategie per mettere i propri prodotti online. Resta però il dato che l’industria non avrebbe mai fatto un passo del genere.

La natura generativa della Rete non riguarda solo l’aspetto tecnologico…

Certo, la generatività a livello tecnico può poi trasferirsi anche ad altri livelli, come le applicazioni e i contenuti. Una persona – prendi Ward Cunningham – scrive il software wiki, e un’altra persona non collegata a lui – prendi Jimbo Wales – lo utilizza per sviluppare Wikipedia, che a sua volta permette a un sacco di persone di contribuire all’enciclopedia con nuovi contenuti.

Lei non è molto a favore di una neutralità che vede Internet come un’infrastruttura indifferente alla configurazione dei suoi punti finali. Perché dice che è meglio concettualizzare la rete come griglia generativa?

Sostengo questa posizione perché temo che i sistemi generativi, quando diventano popolari, favoriscono anche l’abuso e la sovversione degli scopi per cui sono stati creati. Così, la sorprendente capacità di far girare nuovo codice – propria di ogni Pc standard – diventa anche un pericoloso campo minato: qualsiasi nuovo codice può trasformare la macchina in uno zombie. Se non si educano gli utenti a saper stabilire quale codice è benigno e quale maligno, saranno sempre più le persone che opteranno per sistemi chiusi. E lo stesso per il web generativo. Un box chiuso su un network aperto non mi sembra un gran bella soluzione.

Eppure sembra proprio questa la direzione verso cui si stanno orientando alcuni governi e grandi corporation. Legittimati da “nobili intenti” o semplicemente per motivi di marketing si tenta di recintare o controllare i sistemi generativi. Nel suo ultimo saggio lei parla proprio dei software e dei dispositivi “a guinzaglio” (tethered), come l’iPod. Perché crede che la chiusura non sia la giusta soluzione?

Perché chiusura vuol dire anche meno innovazione. Con la chiusura non avremmo mai avuto il web. Ci saremmo invece trovati di fronte a pericolosi proprietari del network come CompuServe o AOL. E poi, i sistemi che spingono a contribuire incentivano le persone a dare il meglio di sé. Per il semplice motivo che diventano parte attiva piuttosto che meri consumatori.

Crede che i sistemi generativi potranno conciliarsi bene con i modelli di business tradizionali?

Penso sia un bene che esistano applicazioni informative e altri dispositivi non generativi; spesso ci assicurano le migliori innovazioni presenti su Internet. Anche se ormai tutti vogliamo sempre più dispositivi generativi che ci permettano di far girare nuovo codice. Proprio questo bisogno renderà i sistemi chiusi più onesti: se non offrono un buon servizio, le alternative arriveranno dai sistemi aperti.

Che cosa pensa della tendenza di molte compagnie che offrono servizi 2.0 a centralizzare e diventare proprietari dei dati personali degli utenti?

Ci sono diversi modi di intendere la privacy rispetto compagnie e in questo l’Europa ha fatto molta strada fino ad ora. Piuttosto sono i dati raccolti e distribuiti in maniera generativa – attraverso i database come Flickr – che stanno creando una situazione abbastanza confusa.

Rispetto ai contenuti, come è possibile incentivare la creatività e la qualità nei social media, limitando al tempo stesso il vandalismo?

Si tratta di una questione non facile. Credo che la risposta sia soprattutto di ordine sociale, oltre che di sviluppo di strumenti tecnologici giusti. Wikipedia è sopravvissuta a lungo al suo stesso successo (e ai tentativi di molti di sabotarla); possiamo imparare molte cose da questo esempio. Comunque, sono convinto che si tratti anche di una questione educativa: prima introduciamo i nostri studenti agli strumenti generativi e meglio è per tutti.

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