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È nato un nuovo medium

29 Ottobre 2003

È nato un nuovo medium

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Quindici anni fa pochi avrebbero scommesso che la telefonia mobile sarebbe diventata uno dei più significativi nuovi media: i primi telefoni mobili erano valigette piuttosto ingombranti, più status symbol che autentici oggetti d'uso. Leggi la prefazione di Fausto Colombo a "I Padroni del display", il libro di Stefano Betti.

Prevalentemente maschi, adulti, appartenenti al ceto politico o imprenditoriale, i suoi utilizzatori lo consideravano alla stregua di una cornetta d’ufficio, dotata di un filo infinito. Oggi – lo sappiamo – il nuovo medium si incorpora nel cittadino già dall’ultima infanzia, indifferente al gender, al ceto sociale di appartenenza, alle attitudini e ai gusti. È portatore di un complesso linguaggio relazionale che si materializza tanto in un galateo, quanto in lingue scritte/orali (gli Sms, gli squillini). Al centro del suo sviluppo c’è stata la digitalizzazione, e al centro della trasformazione generata dalla digitalizzazione c’è stata la rilevanza del display, un’interfaccia che richiama l’evoluzione del monitor del computer e soprattutto quella lunga rivoluzione che cominciò con il Macintosh di Apple e oggi appartiene a tutti i personal, grazie a (o per colpa di) Microsoft e del suo Windows.

Ora, il display è un’interfaccia pensata per essere sì interattiva, ma anche e soprattutto per trasferire informazioni in modo chiaro e semplice, attraverso un linguaggio più iconico che verbale, più vicino – per dire – al cinema e alla televisione che alla pagina di un libro. Non sorprende dunque che, così come è accaduto per Internet, il conflitto fra il cellulare come strumento relazionale (sul modello del vecchio telefono) e il cellulare come terminale per ricevere contenuti da qualche forma di broadcasting sia oggi molto acceso. Il punto è che la nuova generazione di telefonia mobile (Umts), e anche la cosiddetta seconda generazione e mezzo (Gprs) sono sul crinale tra i due modelli di media, con una spiccata preferenza per il secondo. E mentre il primo è consolidato dai quindici anni trascorsi, quest’ultimo è ancora oscuro nei suoi confini. Anche perché vi è grande incertezza – nel mondo dei content provider – sulle regole del gioco: l’MP3, lo shareware, gli open source e così via hanno colpito duro alcuni cardini dell’economia classica dell’industria culturale nata dell’Ottocento e trionfante per i primi tre quarti del Novecento: proprietà intellettuale, standardizzazione, ripetitività controllata, professionalità riconosciute nel mondo editoriale e produttivo. Tutto ciò è in trasformazione, e il nuovo terminale mobile generato dall’evoluzione del cellulare potrebbe assestare l’ultimo colpo.

Il libro di Betti guarda dentro questo vaso di Pandora, senza vocazione alla profezia, ma con il mestiere del giornalista curioso. Di questi tempi non è poco. Mi verrebbe da dire che libri come questo – aiutando a capire – possono anche dare una buona spinta a innovazioni significative. Il cellulare ha cambiato le nostre vite. E le nostre vite hanno cambiato il cellulare. Cos’altro succederà, adesso?

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